Emiliano Jimenez. il cuore, i beni e la luce degli occhi.

DISTACCO DALLE RICCHEZZE (Mt 6,19-34)

a) Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore

Gesù, nella sua catechesi sull'elemosina, la preghiera e il digiuno, ci ha parlato della ricompensa che il Padre celeste dà a quanti le praticano non per essere lodati dagli uomini, ma per compiacere Lui. Questa ricompensa eterna, nei cieli, è un tesoro sicuro. Ora Gesù ci invita ad agire in questa stessa prospettiva rispetto al denaro. Le ricchezze possono essere un tesoro accumulato sulla terra o depositato in cielo: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19-21). La sapienza di Israele aveva già raccolto l'invito a non dedicare tempo ed energia alle ricchezze come se fossero l'unico tesoro che valesse la pena accumulare: «Beato l'uomo che ha trovato la sapienza e il mortale che ha acquistato la prudenza, perché il suo possesso è preferibile a quello dell'argento e il suo provento a quello dell'oro. Essa è più preziosa delle perle e neppure l'oggetto più caro la uguaglia» (Pr 3,13-15). La Sapienza, personificata, consiglia: «Accettate la mia istruzione e non l'argento, la scienza anziché l'oro fino, perché la scienza vale più delle perle e nessuna cosa preziosa l'uguaglia» (Pr 8,10-11). «Il mio frutto vale più dell'oro, dell'oro fino, il mio provento più dell'argento scelto» (Pr 8,19).

Nelle raccomandazioni che fa ai suoi discepoli, Gesù Ben Sira già si avvicina all'insegnamento evangelico: «Non far attendere troppo l'elemosina al misero. Per il comandamento soccorri il povero, secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote. Perdi pure denaro per un fratello e amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra. Sfrutta le ricchezze secondo i comandi dell'Altissimo; ti saranno più utili dell'oro. Rinserra l'elemosina nei tuoi scrigni ed essa ti libererà da ogni disgrazia. Meglio di uno scudo resistente e di una lancia pesante, combatterà per te di fronte al nemico» (Sir 29,9-13). Nel testo del giovane ricco Gesù ripete quanto dice nel sermone della montagna: «Va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo» (Mt 19,21). E, poiché dov'è il tesoro là è il cuore, meglio avere il tesoro in cielo, affinché il cuore, la persona nella sua totalità, sia al sicuro. È significativo vedere come Gesù passi dal voi al tu, facendo l'appello diretto, personale. Lo fa spesso nel sermone del monte. Lo fa qui desiderando toccare il cuore di ogni ascoltatore: «dov'è il tuo tesoro, là sarà il tuo cuore». Il salmista vede Dio come «tarlo che corrode i tesori» (Sal 39,12) dell'uomo, per correggerlo. Gli Israeliti fabbricarono il vitello d'oro con gli oggetti preziosi che avevano portato via dall'Egitto. Quanti giunsero nel deserto con il cuore pieno del bottino dell'Egitto, pieno dei desideri e delle ambizioni degli Egiziani, soccombettero alla tentazione di adorare il vitello d'oro invece di porre il cuore nel Dio che li aveva tratti dalla schiavitù d'Egitto. Il cuore egiziano è sempre e ovunque schiavo dell'Egitto. Nel deserto risuona la voce della tentazione: «Tutte queste cose io ti darò se, prostrandoti, mi adorerai» (Mt 4,9). Lì, nel luogo della prova, si scopre il cuore. Nella prova si mostra il cuore puro che scopre Dio come suo Signore e lo adora. E si mostra il cuore idolatra che lascia Dio per poche monete, per un applauso, per un poco di affetto o di gloria.
È tremenda la requisitoria di Giacomo contro i ricchi che hanno posto la loro vita nelle ricchezze: «E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle terme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il girono della strage» (Gc 5,1-5).
La stessa conclusione si deduce dalla parabola narrata da Gesù per disilludere coloro che pongono le loro speranze nei beni effimeri che finiscono con la morte, dalla quale non possono salvare: «Disse loro: Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni. Disse poi una parabola: La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio» (Lc 12,15-21). In opposizione alla precarietà delle ricchezze accumulate sulla terra, esposte sempre al rischio di essere divorate dalla tignola o dalla ruggine o rubate dai ladri, c'è il tesoro posto nel cielo, come qualcosa di permanente, «inesauribile», dice il libro della Sapienza, in riferimento alla sapienza divina:

«Implorai e venne in me lo spirito della Sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto; non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l'oro al suo confronto è un po' di sabbia e come fango sarà valutato di fronte ad essa l'argento. L'amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana. Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile. Godetti di tutti questi beni, perché la sapienza li guida, ma ignoravo che di tutti essa è madre. Senza frode imparai e senza invidia io dono, non nascondo le sue ricchezze. Essa è un tesoro inesauribile per gli uomini; quanti se lo procurano si attirano l'amicizia di Dio, sono a lui raccomandati per i doni del suo insegnamento» (Sap 7,8-14).

La raccomandazione di Paolo a Timoteo vale anche per noi: «Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull'incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (1Tm 6,17-19). Nella tradizione biblica sapienziale il tesoro nel cielo corrisponde alla ricompensa delle opere buone, soprattutto dell'elemosina (Th 4,7-11; Sir 29,9-12). Su questa stessa linea si esprime Matteo parlando del tesoro in cielo. Il regno di Dio è il tesoro che Dio dà a chi pone in Lui la sua fiducia e non cerca sicurezza nelle ricchezze. Dando il denaro ai poveri, si accumula un grande tesoro nel cielo: «Gli disse Gesù: Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo» (Mt 19,21).


b) Luce o tenebre - Dio o Mammona


Il Signore, parlando delle ricchezze, intercala una sentenza oscura o luminosa, che ci fornisce la chiave di quanto sta dicendo: «La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!» (Mt 6,22-23). Con l'immagine della lucerna, simbolo dell'occhio, ci insegna che se la nostra fede si oscura a causa delle tenebre del peccato o della perfidia, tutta la nostra persona diventa oscura trovandosi avvolta nelle tenebre. L'occhio sano, la luce della fede, illumina tutto il corpo, dà senso a tutta l'esistenza, induce a riporre fiducia in Dio, a servirlo di cuore, con la certezza di non essere deluso. Al contrario, l'occhio malato, o piuttosto l'occhio perfido (Mt 20,15), che giudica persino l'agire benevolo di Dio, quest'occhio, che è tenebroso, riempie di tenebre tutta la persona, tutta la vita. Se la luce è oscurità, tutto è doppiamente oscuro. Luca riprende lo stesso detto in un altro contesto del suo vangelo: «La lucerna del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. Se il tuo corpo è tutto luminoso senza avere alcuna parte nelle tenebre, tutto sarà luminoso, come quando la lucerna ti illumina con il suo bagliore» (Lc 11,34-36). I discepoli di Cristo, quali «figli della luce» (1Ts 5,5), sono stati «chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,9), per risplendere in mezzo agli uomini, in modo che questi diano gloria al Padre celeste. Nella Scrittura l'occhio, come il cuore, esprime l'orientamento di tutta la persona: «Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero iniquo: E vicino il settimo anno, l'anno della remissione; e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; egli griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te» (Dt 15,9). L'occhio cattivo designa l'atteggiamento dell'uomo invidioso, avaro o lussurioso: «E malvagio l'uomo dall'occhio invidioso; volge altrove lo sguardo e disprezza la vita altrui. L'occhio dell'avaro non si accontenta di una parte, l'insana cupidigia inaridisce l'anima sua. Un occhio cattivo è invidioso anche del pane e sulla sua tavola esso manca» (Sir 14,8-10; cfr. Mt 20,15). Invece, «chi ha l'occhio generoso sarà benedetto, perché egli dona del suo pane al povero» (Pr 22,9). L'uomo buono non ha l'occhio oscuro, perché mostra misericordia verso tutti gli uomini, benché siano peccatori. La Scrittura parla degli «occhi rivolti al Signore» (Sal 25,15; 123,1ss; 141,8), sono gli occhi sani che attendono l'ausilio del Signore (Sal 119,82.123). L'occhio luminoso guarda Dio e si vede avvolto nella luce di Dio. E con la luce sa distinguere dov'è il vero tesoro per riporre il cuore in esso, invece di andare dietro la vanità degli idoli. L'occhio ottenebrato, privato della luce di Dio, va in cerca di quanto lampeggia davanti a lui, perdendosi dietro il miraggio delle ricchezze. L'occhio invidioso, avaro, egoista, è come una lucerna spenta; si chiude alla luce di Dio e all'amore del prossimo. Con l'immagine della lucerna, simbolo dell'occhio, Gesù ci insegna che se la nostra fede è ottenebrata dalle tenebre del peccato e della perfidia, tutta la nostra persona diventa oscura trovandosi avvolta nelle tenebre. Chi ama le ricchezze è nemico di Dio. San Paolo quasi lo grida ai Corinzi: «Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l'iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli?» (2Cor 6,14-16). L'accumulazione delle ricchezze le trasforma in idolo, l'opposto di Dio. Impossibile stare con Dio e con gli idoli. C'è un detto antico che riprende questa stessa sapienza: «È impossibile che un uomo cavalchi su due cavalli o tenda due archi. Ed è impossibile che un servo serva due padroni». La luce e le tenebre sono inconciliabili. Dio e Mammona sono ugualmente inconciliabili. Voler conciliare il servizio a Dio con la consacrazione del corpo e dell'anima al denaro è come voler servire due signori nemici, opposti. Se si ama l'uno si odia l'altro: «Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6,24; Lc 16,13). Commenta Cromazio di Aquilea: «Due padroni stanno davanti a noi: Dio e Mammona o il Diavolo, autore di Mammona. Dio non si stanca di chiamarci alla sua misericordia; il Diavolo, all'avarizia. Dio ci invita alla vita; il Diavolo alla morte. Dio alla salvezza; il Diavolo alla perdizione. E possibile dubitare chi seguire?». Sul monte delle tentazioni il Diavolo ha presentato a Cristo «tutti i regni del mondo con la loro gloria», per darglieli se li avesse preferiti invece di seguire il disegno di Dio. La risposta di Gesù è quella che Egli pro-pone ai suoi discepoli: «Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto» (Mt 4,8-10). Prima di entrare nella Terra promessa, nella grande assemblea di Sichem, Giosuè presenta al popolo uri alternativa decisiva: deve scegliere tra seguire Dio o gli idoli. Giosuè dice al popolo: «Temete dunque il Signore e servitelo con integrità e fedeltà; eliminate gli dèi che i vostri padri servirono oltre il fiume e in Egitto e servite il Signore. Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dèi che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore. Allora il popolo rispose e disse: Lungi da noi l'abbandonare il Signore per servire altri dèi!» (Gs 24,14-16; si legga l'intero capitolo). In base alla scelta fatta in questa vita, per tutta l'eternità porteremo sulla fronte il numero 666, il sigillo della bestia (Ap 13,16-18), o il nome dell'Agnello, Signore della gloria (Ap 24,4). Chi non conosce il Padre si sente orfano. La sua vita dipende dalle cose, per cui accumula tesori sulla terra. Il suo occhio è malato; come gli idoli che adora, non vede. È schiavo di Mammona. Chi conosce il Padre vive come figlio, non ha bisogno di accumulare tesori sulla terra, poiché il suo tesoro sta in cielo. Il suo occhio è puro e vede in tutte le cose Colui che gliele dà, perché lo ama con amore di Padre. La sua vita è una perenne eucaristia.


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