Venerdì della VII settimana del Tempo di Pasqua




«Simone, mi ami tu?». 
Non hai detto: «Non peccare, non tradire, non essere incoerente». 
Non hai toccato nulla di questo. 
Hai detto: «Simone, mi ami tu?». 
Questa è la voce che echeggia dalla capanna di Betlemme: 
«Mi ami tu?». 
Ognuno di noi non riesce a sfuggire completamente 
al fatto che Cristo è amabile da noi esattamente così come siamo, 
più di qualsiasi altro essere di cui ci si innamori. 
Anzi, splendore diventa la preferenza 
solo se investita dallo sguardo che uno porta a Cristo: 
Cristo coincide con la preferenza più grande che possiamo avere nella vita. 
«O quam amabilis, dulcis Jesu». 

Don Giussani




Dal Vangelo secondo Giovanni 21,15-19.

Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi».


IL COMMENTO


Tutto nasce dal perdono. Nel cristianesimo tutto è fondato sulla misericordia. L'episodio famosissimo del Vangelo di oggi è per tutti noi una Parola di grande speranza. Ci avvicina al cuore vero e vivo della Chiesa. L'esperienza di Pietro quel giorno sulle rive del Mare di Galilea è il tesoro più grande della Chiesa. Il perdono, l'amore che vince ogni peccato, che abbraccia e ricrea quello che sembrava morto e perduto. La Chiesa è questo perdono di Dio offerto ad ogni uomo.

Esso non elude la verità, anzi. Infatti l'amore di Gesù penetra sempre più nel cuore di Pietro proprio conducendolo sino al fondo della propria realtà. Tre volte aveva tradito, e Gesù lo riporta a quel tradimento, alla verità del suo cuore, senza sconti, senza lasciare ombre a pretesto di giustificazioni o compromessi. No, Gesù prende per mano Pietro e lo accompagna sino al buio della morte che covava dentro.

L'amore di Dio non è eros passionale. Non è paternalismo o sentimentalismo. E' un amore vero, crudo, reale, paterno di Colui che riconosce nel peccatore il suo stesso seme e lotta, gelosamente, per riportarlo all'originario splendore. E materno, perchè misericordioso, un amore che è viscere di misericordia, un seno nel quale poter rinascere, rivivere, tornare ad essere figli.

Gesù dunque accompagna Pietro, con amore. Ogni gradino sceso nella verità si fa, con Gesù, con la sua Parola, esperienza di un'altra verità, tanto più grande da abbracciare e spegnere, e cancellare il peccato.

Mi ami tu? Al sì di Pietro, che è un desiderio macchiato dall'impotenza e dal peccato, corrisponde, sempre più forte, sempre più intenso, il sì di Gesù, il sì dell'amore a quell'amore povero, debole, incapace di fedeltà che era il sentimento di Pietro.

Lui, il primo Papa, immagine di tutti i suoi successori, immagine d'ogni figlio della Chiesa, ha sperimentato che laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la misericordia. Scendendo i gradini del fonte battesimale Pietro è giunto alla Roccia, quella che ancora possiamo contemplare sulle rive del Mare di Galilea. La Roccia cosiddetta del Primato. La Roccia di un amore infinito, invincibile. La Roccia, Cristo. E' sceso Pietro al fondo di se stesso, spogliandosi a poco a poco dell'uomo vecchio, delle difese, della superbia, della carne e dei suoi desideri. E' sceso e ha incontrato la Roccia. Nudo ha potuto rinascere e fondare la propria vita, il proprio ministero di pastore, su quella Roccia. Ne sarà, da allora il testimone e il garante.

Quella Roccia è indistruttibile, l'amore di Dio non verrà mai meno. Mai. E la fede, ovvero l'esperienza vivissima nella sua carne di questo amore, Pietro confermerà nei secoli ai suoi fratelli. Tutto per lui è nato dall'amore misericordioso di Dio. Così per noi, tutto nasce dall'incontro con l'amore di Dio, fatto carne in Cristo Gesù. Ogni giorno, nella storia che viviamo, negli errori e nei peccati che ci restano tra le mani, nei fallimenti, nella debolezza, Cristo è lì, ad accompagnarci nella verità, che ci dice quel che siamo, ma che è, soprattutto, il suo amore infinito. Comprendiamo allora quanto sia importante per tutti noi camminare nella Chiesa, scendere, accompagnati dalla sua sapienza materna, i gradini che ci conducono alle acque del nostro battesimo. Ogni giorno. Sino al giorno del battesimo che ci aprirà le porte del Cielo.

Imparare a non scandalizzarci di noi stessi, nell'incontro quotidiano con la misericordia di Dio. Imparare ad avere pazienza, a non dubitare dell'amore di Dio. Uniti a Pietro, camminando con la Chiesa, desiderando lo Spirito Santo che sigilli in noi l'amore che esso riversa nei nostri cuori, prepariamoci alla Pentecoste di quest'anno, che rinnoverà il miracolo del perdono e della Vita divina in noi.




Dall'omelia di inizio pontificato di Benedetto XVI.










"Stavolta li incontra sul mare, 
luogo che richiama alla mente le difficoltà 
e le tribolazioni della vita; 
li incontra sul far del mattino, 
dopo un’inutile fatica durata l’intera nottata. 
La loro rete è vuota. I
n certo modo, ciò appare come il bilancio 
della loro esperienza con Gesù: 
lo avevano conosciuto, gli erano stati accanto, 
ed Egli aveva loro promesso tante cose. 
Eppure ora si ritrovavano con la rete vuota di pesci"


Benedetto XVI, Omelia nella Celebrazione Eucaristica nella Piazza Ducale di Vigevano


IL COMMENTO - II



Bisogna conoscere sino in fondo che cosa sia l'angoscia della precarietà, quella che ti prende dentro, che ti atterrisce, ti svuota nonostante all'apparenza ci sembra di avere tutto per essere sereni e in pace. La precarietà spirituale.


Lo scoprire la propria completa debolezza, l'incertezza dei propri sentimenti, l'impossibilità di appoggiarsi alle proprie decisioni e alle proprie ragioni. Il guardarsi indietro e accorgersi di aver sbagliato tutto o quasi, anche ciò che si pensava aver fatto per amore. La precarietà che avvolge ogni istante della vita, e ti fa sentire perduto, e ti spinge a cercare qualcosa, anche piccolo, cui appoggiarti. Qualcosa che dia un minimo di sicurezza, in mezzo a tanta precarietà. Dev'essere stata questa l'esperienza più profonda dei discepoli, così come appare in questo Vangelo.


E' la pericope che narra della terza apparizione di Gesù, quella decisiva. Gli Apostoli avevano già visto il Signore risuscitato. Avevano mangiato con Lui. Tommaso aveva fissato e forse toccato le sue piaghe gloriose. Avevano ricevuto lo Spirito Santo e l'invio in missione ad annunciare al mondo la Buona Notizia del perdono dei peccati. Ma, sorprendentemente, si ritrovano al punto di partenza. Sono lì, sulla riva del solito lago, impegnati nel solito lavoro, l'unica certezza della loro vita, quella che avevano lasciato tre anni prima per seguire Gesù. Erano tornati all'unica cosa che pensavano di saper fare. Gerusalemme, i tumulti, il chiasso, gli avvenimenti della Città santa erano lontani. Ora era la pace dolce della Galilea, il mare, i tramonti, le barche. E quella spiaggia, quello spicchio di mare, i luoghi del primo amore.


Chissà, al di là degli stessi incontri pasquali, era quel primo incontro con il Maestro a percuotere il loro petto di un'invincibile nostalgia. Pietro, come per vincere un'impasse che sembra pervadere mente e cuore, decide, e va a pescare. Non c'è altro da fare, nonostante quella struggente nostalgia. Gli altri lo seguono. Si infilano nella notte, come tante altre volte, ma non succede assolutamente nulla, rientrano sul far del mattino con le reti vuote. Alla nostalgia s'era così aggiunto il fallimento. Anche l'ultima speranza, la fredda routine che chiude le ore, i sentimenti e i pensieri nel freddo cellophane degli automatismi ripetuti, conosciuti e senza pericoli, anche l'unica certezza s'era fatta incertezza.


L'alba che incede e spinge alla vita e una morte dentro a strozzare speranze e desideri. La realtà di Pietro, di quel gruppo di amici, di ciascuno di noi. E un uomo, e una parola. Una domanda, secca, tagliente, a svellere la vergogna, e a far luce sul lato più oscuro, il fondo del fallimento: "Figlioli, avete qualcosa da mangiare?". Mangiare nel Vangelo di Giovanni è sempre riferito alla vita. Quell'uomo si pone dinnanzi agli Apostoli ed inizia uno scrutinio serio e profondo. Proprio laddove tutto era iniziato, sul luogo esatto del primo amore, della prima parola che li aveva messi in cammino, gli apostoli si debbono ora confrontare con quegli anni, con gli esiti della loro vita, con loro stessi. E niente, non avevano preso nulla, niente pesce, niente cibo, niente vita.


Gli Apostoli sono ora sul bordo di quel mare, davanti a quelle acque, e non avrebbero mai pensato che di lì ad un istante si sarebbero trasformate per loro nella sorgente della Vita, le acque benedette del battesimo. Possono lasciare ora, sulla domanda di quell'uomo, le ultime difese, spogliarsi e arrendersi. Ora, riconoscendo il loro nulla, possono ascoltare l'invito a ritornare in mare, e fare qualcosa di assurdo, come Naaman invitato ad immergersi sette volte nel Giordano per vedere curata la propria lebbra, esattamente come pescare quando normalmente non c'è pesce. In una parola, ora possono gettarsi nella morte.


Quell'uomo li invita infatti a tornare in mare, a gettare la rete alla destra, il luogo di Cristo risuscitato, dello Spirito Paraclito, della sorgente di vita scaturita dal Tempio.Laddove l'uomo carnale, intelligente della sapienza mondana fallisce, s'apre il cammino per l'uomo celeste. E i discepoli, disperati, incapaci di balbettare la minima obiezione, obbediscono. Ascoltano quelle parole e fanno esattamente come gli è stato detto. Gli esiti sono incredibili, una quantità enorme di pesci, la vita laddove era stata solo la morte. "Troverete" gli aveva detto quell'uomo, ed era risuonata la voce del Maestro che, fissandoli, aveva chiesto "Che cercate?". Quel giorno andarono e videro dove Gesù abitava. E anche ora sono andati, hanno gettato, e hanno trovato. E, trovando, hanno visto. "E' il Signore!" grida il discepolo amato, e un brivido, qualcosa d'irrefrenabile, e Pietro si riveste della veste bianca della vita nuova, emerge da quelle acque dove aveva trovato la Vita, e si getta all'incontro con quell'uomo che gli aveva rapito il cuore, ma al quale era rimasto sino ad un istante prima legato così affettivamente, così carnalmente, così piantato in se stesso.


Ma ora Pietro era un altro uomo, ora era sceso alle acque della rigenerazione, ora era libero, colmo di quel miracolo d'amore che gli aveva dischiuso gli occhi e dilatato il cuore oltre la carne. Ora ha compreso, per la propria personale esperienza, che l'unica vita era Lui, che l'unico cibo era compiere la sua volontà. Ora l'amore rispondeva ad un'elezione misteriosa eppure concretissima, ed entra nella barca e trascina solo quella quantità smisurata di vita, come fu per Giacobbe al pozzo quando rotolò la pietra dal peso sovrumano per far abbeverare le pecore condotte da Rachele, colei che le aveva rapito il cuore.


Ora era un amore che era passato oltre la barriera della morte. E può nutrirsi Pietro con i suoi amici, di quel banchetto celeste, già pronto, servito dal Servo vittorioso sul peccato. Ora Pietro con i suoi fratelli erano introdotti nella cella del vino, nell'intimità del Signore. Ora si compiva la Pasqua, e il pane e il pesce - il cibo escatologico secondo i rabbini, quello che avrebbe portato il messia - era finalmente il senso stesso della loro vita.


Ora, dal fondo delle loro angosce, dei loro fallimenti, nella totale precarietà avevano trovato l'ancora per la loro vita. Ed era l'amore, il perdono, la misericordia. Per questo, dopo essersi nutrito di quella vita sovrabbondante d'amore, la nuova vita celeste ricevuta in dono, Pietro può inoltrarsi con Gesù nell'intimità più intima, e ricevere il sigillo del primato, a nome di ogni fratello che nei secoli della storia sarebbe stato pescato dalla rete della Chiesa, che mai sarà spezzata perchè intessuta nel filo incorruttibile della misericordia. 


Pietro si trova ora avvinto dallo sguardo di Gesù, e le sue parole, più dolci del miele, son puro amore. Gesù e Pietro, come Abramo ed Isacco, l'intreccio d'un amore che non si esaurirà mai. "Mi ami?". Ecco scoccare il dardo della domanda più importante, eco di quella fatta da Gesù poco prima, "Avete qualcosa da mangiare?". Il cibo è la vita, e la vita è l'amore. Vivere è amare Cristo, nulla anteporre a Lui. Senza quest'amore la vita è solo morte, angoscia, tenebra. Ora questa domanda gli azzanna il petto, gli apre il cuore, ora è il momento Decisivo.


Tre volte Gesù ripete la domanda, a significare la solennità e l'importanza della questione. Tre volte, come recita lo Shemà, amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze. Tre volte, come le apparizioni di Gesù nel vangelo di Giovanni. Tre volte, come il tradimento consumato, segno d'un'apostasia completa, "solenne", senza scusanti. Le prime due volte Gesù usa il verbo che rimanda all'agape, all'amore celeste, e Pietro risponde che sì, lo ama, ma d'un amore d'amicizia, bello, bellissimo, ma ancora stretto nei vincoli della carne. Nell'ultima domanda Gesù rovescia la cosa, e chiede a Pietro, quasi come in un sussurro, se lo ama, usando il verbo utilizzato da Pietro, ed è come se gli avesse chiesto: "mi sei amico, mi ami almeno come amico?". E qui accade il miracolo, il più grande. Qui sorge la dichiarazione d'amore vero, celeste, l'agape di Pietro.


"Sì, si tu sai tutto di me, sai che sino ad ora t'ho amato d'amore umano, ed è stata un'amicizia stupenda, ma tu lo sai come si sia infranta nella mia debolezza. Sino ad ora t'ho amato a modo mio, ed era un modo destinato a fallire, perchè fondato sul nulla. Ma tu lo sai che in quel nulla hai deposto il tuo amore, il tuo perdono. Tu sai tutto Signore, tu sai che ora non sono più io a vivere, ma tu in me, ora che mi hai nutrito del cibo venuto dal Cielo, della tua stessa vita, del tuo stesso amore. Signore tu sai tutto, tu sai che ora sì che ti amo". Ecco il cuore di Pietro rinato a vita nuova, ecco il cuore della Chiesa. Ecco l'umiltà vera, reale, e non di facciata, quella che scioglie le labbra di Pietro sigillate da tante, troppe parole fallite, in una parola sincera perchè sgorgata dalla Verità stessa che ha preso dimora in lui.
E' questo l'amore di Pietro, l'amore stesso di Cristo che ne ha assorbito ogni fibra, ormai svuotata dell'orgoglio tipico di chi crede di potercela fare da solo. L'amore semplice di chi s'appoggia solo nella misericordia di Dio, e non teme guardando le proprie debolezze, ma che ne è invece come rafforzato, certo del potere del Signore.


La fede di Abramo che non resistette nell'incredulità guradano la morte che lo schiacciava, e credette contro ogni speranza. L'amore di Pietro, l'amore della Chiesa, che ama contro ogni speranza. Pietro e con lui la Chiesa madre di tutti i popoli, consegna finalmente a Dio la Gloria d'una fede fatta amore, quello capace di vincere la morte d'una carne incapace d'amare. L'amore di Pietro che accoglie la chiamata definitiva, quella che lo condurrà dove lui non vorrà andare, sulle orme del suo Signore che nel Getsemani ha sperimentato lo stesso cammino oltre i desideri della carne. L'amore che lo crocifiggerà ad immagine del Suo amato. L'amore che stenderà le sue mani nella consegna al martirio che completerà in lui, e in tutti i Pietro e tutti i figli della Chiesa, quello che in ogni generazione manca alla passione del Signore per la salvezza di ogni uomo.


Pascere gli agnelli, guidare e governare la Chiesa sarà allora, sempre, una questione di amore. E di perdono. Scrive il Card. Ratzinger: "Nel cuore stesso del nuovo ministero di sciogliere e legare, di rimettere i peccati, quello che toglie energia alle forze della distruzione, c'è la grazia del perdono. E' essa che costituisce la Chiesa. La Chiesa è fondata sul perdono. Pietro stesso rappresenta nella sua persona questo fatto: colui che è caduto nella tentazione, ha confessato e ricevuto il perdono, può essere detentore delle chiavi. La Chiesa è nella sua intima essenza luogo del perdono in cui viene bandito il caos. Essa viene tenuta insieme dal perdono... essa non è la comunità dei perfetti, ma la comunità dei peccatori, che hanno bisogno del perdono e lo cercano. Dietro l'autorità diventa visibile il potere di Dio come misericordia, e quindi come pietra angolare della Chiesa; in sottofondo udiamo la parola del Signor: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori". La Chiesa può sorgere solo là dove l'uomo giunge alla propria verità, e questa verità consiste precisamente nel fatto che ha bisogno di questa Grazia" (J. Ratzinger, Il primato di Pietro e l'unità della Chiesa, In La Chiesa, Milano 1991).


In Pietro siamo invitati a guardare tutti oggi la nostra vita. A tornare con lui alla nostra storia, alla prima chiamata, a guardare cosa abbiamo fatto in questi anni della nostra vita con il Signore. A riconoscere oggi il fallimento guardando senza timore al fondo del nostro cuore. A rispondere al Signore che ci chiede se, oggi, abbiamo davvero vita in noi. E ad essere sinceri per nutrirci, dal fondo della nostra realtà, della sua misericordia. Per abbandonarci, nell'abbraccio misericordioso di Gesù, alla dichiarazione d'amore che sola può dare consistenza e senso alla nostra vita, qualunque essa sia.
E' questo l'incredibile, lo straordinario dell'essere di Cristo: potere ogni giorno ricominciare, riascoltare per pura misericordia il desiderio d'amore del Signore. E, senza orgoglio e nella perfetta umiltà che solo chi conosce se stesso può avere, gridare a Gesù il nostro amore. Certi che non è altro che il suo stesso amore, quello che ogni giorno ci perdona, ci ricrea, ci dà vita. Seguirlo non è altro che amarlo, del suo stesso amore. E' la nostra chiamata, l'elezione che ci ha colti, la strada che ci conduce al Cielo, le orme di Dio che il mondo può trovare e, con esse, la salvezza. 


Sant’Agostino
 (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Commento al vangelo di San Giovanni, 123, 5 (Nuova biblioteca agostiniana)

«Pasci le mie pecorelle»

Il Signore domanda a Pietro se gli vuole bene – ciò che già sapeva ; gli domanda, non una sola volta, ma una seconda e una terza ; e altrettante volte niente altro gli affida che il compito di pascere le sue pecore. Così alla sua triplice negazione corrisponde la triplice confessione d'amore, in modo che la sua lingua non abbia a servire all'amore meno di quanto ha servito al timore, e in modo che la testimonianza della sua voce non sia meno esplicita di fronte alla vita, di quanto lo fu di fronte alla minaccia della morte. Sia dunque impegno di amore pascere il gregge del Signore, come fu indice di timore negare il pastore.

Coloro che pascono le pecore di Cristo con l'intenzione di volerle legare a sé, non a Cristo, dimostrano di amare se stessi, non Cristo, spinti come sono dalla cupidigia di gloria o di potere o di guadagno, non dalla carità che ispira l'obbedienza, il desiderio di aiutare e di piacere a Dio. Contro costoro, ai quali l'Apostolo rimprovera, gemendo, di cercare i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2, 21), si leva forte e insistente la voce di Cristo. Che altro è dire: “Mi ami tu? Pasci le mie pecore”, se non dire: Se mi ami, non pensare a pascere te stesso, ma pasci le mie pecore, come mie, non come tue; cerca in esse la mia gloria, non la tua; il mio dominio, non il tuo; il mio guadagno e non il tuo… Non siamo dunque amanti di noi stessi, ma amiamo il Signore. Nel pascere le sue pecore, cerchiamo il guadagno del Signore senza preoccuparci del nostro.


Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Disorso Guelferbytanus 16, 1; PLS 2, 579 


« Signore tu sai tutto ; tu sai che ti voglio bene »


Il Signore, dopo la sua risurrezione, si presenta di nuovo ai suoi discepoli. Interroga l'apostolo Pietro, costringe a confessare il suo amore, colui che, dalla paura, lo aveva rinnegato tre volte. Cristo è risuscitato secondo la carne, e Pietro secondo lo spirito. Così come Cristo è morto soffrendo, Pietro è morto rinnegando. Il Signore Cristo, essendo risuscitato dai morti, ha risuscitato Pietro grazie all'amore che egli nutriva per lui. Ha interrogato l'amore di colui che ora lo confessava, e ha affidato a lui il suo gregge.

Quale vantaggio procura a Cristo il fatto che Pietro lo ami ? Se Cristo ti ama, il profitto è per te, non per Cristo. Se tu ami Cristo, il profitto è ancora per te, non per lui. Tuttavia, il Signore volendo mostrarci come occorra che gli uomini gli diano una prova del loro amore, ce lo rivela chiaramente : amando le sue pecore.

« Simone di Giovanni, mi vuoi bene ? – ti voglio bene. – Pasci le mie pecorelle. » E questo una volta, due volte, tre volte. Pietro non dice altro che il suo amore. Il Signore non gli chiede altro che il suo amore ; non gli affida altro che le sue pecore. Amiamoci dunque gli uni gli altri, e ameremo Cristo.








S. Agostino


Invitato, il Signore si reca ad un festino di nozze. C’è da meravigliarsi che vada alle nozze in quella casa, lui che è venuto a nozze in questo mondo? Se non fosse venuto a nozze, non avrebbe qui la sposa. E che senso avrebbero allora le parole dell’Apostolo: Vi ho fidanzati ad uno sposo unico, come una vergine pura da presentare a Cristo? Che cosa teme l’Apostolo? Che la verginità della sposa di Cristo venga corrotta dall’astuzia del diavolo. Temo – dice – che come nel caso di Eva, il serpente nella sua astuzia corrompa i vostri sentimenti, deviandoli dall’amore sincero e casto verso Cristo (2 Cor 11, 2-3). Il Signore ha qui, dunque, una sposa che egli ha redento col suo sangue, e alla quale ha dato come pegno lo Spirito Santo. L’ha strappata alla tirannia del diavolo, è morto per le sue colpe, è risuscitato per la sua giustificazione. Chi può offrire tanto alla sua sposa? Offrano pure gli uomini quanto c’è di meglio al mondo: oro, argento, pietre preziose, cavalli, schiavi, ville, possedimenti: ci sarà forse qualcuno che può offrire il suo sangue? Se uno offrisse il suo sangue per la sposa, come potrebbe sposarla? Il Signore invece affronta serenamente la morte, dà il suo sangue per colei che sarà sua dopo la risurrezione, colei che già aveva unito a sé nel seno della Vergine. II Verbo, infatti, è lo sposo e la carne umana è la sposa; e tutti e due sono un solo Figlio di Dio, che è al tempo stesso figlio dell’uomo. II seno della vergine Maria è il talamo dove egli divenne capo della Chiesa, e donde avanzò come sposo che esce dal talamo, secondo la profezia della Scrittura: Egli è come sposo che procede dal suo talamo, esultante come campione nella sua corsa (Sal 18, 6). Esce come sposo dalla camera nuziale e, invitato, si reca alle nozze. ...
Che il Signore abbia accettato l’invito e sia andato a nozze, a parte ogni significato mistico, è una conferma che egli è l’autore delle nozze. ... E non si può dire che siano prive di nozze quelle donne che consacrano a Dio la loro verginità, esse che occupano nella Chiesa un grado più elevato di onore e di santità; poiché anch’esse partecipano insieme con tutta la Chiesa di quelle nozze nelle quali lo sposo è Cristo. Il Signore, dunque, accettò l’invito alle nozze, per consolidare la castità coniugale, e rivelare il mistero dell’unione nuziale. Lo sposo delle nozze di Cana, infatti, cui fu detto: Hai conservato il buon vino fino ad ora, rappresentava la persona del Signore. Cristo, infatti, aveva conservato fino a quel momento il buon vino, cioè il suo Vangelo.
E così cominciamo a scoprire i significati reconditi, secondo quanto ci concede colui nel cui nome ci siamo impegnati con voi. La profezia è esistita fin dai primordi, e ogni tempo ha avuto le sue profezie; ma finché in esse non si riusciva a vedere Cristo, erano come acqua. In un certo senso, infatti, il vino è nascosto nell’acqua. L’Apostolo c’insegna che cosa dobbiamo intendere in questa acqua: Fino al giorno d’oggi, quando si legge Mosè, rimane come un velo sopra il loro cuore; e non vien tolto, perché solo il Cristo può farlo sparire. Solo quando ci si convertirà al Signore, il velo cadrà (2 Cor 3, 15-16). Il velo è l’oscurità che avvolge la profezia, sì che questa rimane inintelligibile. II velo è tolto quando ti converti al Signore: quando ti converti al Signore è tolta l’insipienza, e ciò che era acqua, per te diventa vino. Cosa c’è di più insipido, di più insignificante di tutti i libri profetici, se li leggi senza scoprire in essi il Cristo? Ma se vi scopri il Cristo, non solo acquista sapore ciò che leggi, ma addirittura ti inebria, ed elevando la tua anima ben al di sopra del corpo, ti farà dimenticare ciò che ti sta dietro, per farti protendere verso ciò che ti sta davanti.


(Dai Trattati su Giovanni 8, 4. 9, 2-3)




S. Beda il Venerabile


Perciò il Signore per la gioia delle nozze non ha voluto fare vino dal nulla, ma dopo aver comandato che si riempissero di acqua sei vasi, mirabilmente l’ha trasformata in vino, in quanto egli ha fatto dono alle sei età del mondo dell’abbondanza della sapienza, che dà la salvezza, e poi venendo in terra, l’ha arricchita di un significato più alto: quelle verità che gli uomini carnali intendevano solo secondo la carne, egli ha rivelato che erano da intendersi secondo lo spirito. Volete sentire, fratelli, come ha trasformato l’acqua in vino? Dopo la risurrezione è apparso ai due discepoli, che camminavano per la via e andava con loro e, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, interpretava loro ciò che in tutte le Scritture era scritto su di lui. Volete ora sentire in che modo i due furono inebriati da questo vino? Dopo aver conosciuto chi era colui che porgeva loro la parola di vita, dicevano tra loro: Non ci sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi, mentre ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture? (Lc 24, 32).
Gesù ordinò loro: Riempite di acqua le idrie. E le riempirono fino all’orlo. Chi sono i ministri, cui si comanda di far questo, se non i discepoli di Cristo, che hanno riempito le idrie di acqua? Non nel senso che essi abbiano fornito le passate età del mondo degli scritti legali e profetici, ma perché hanno sapientemente compreso ed esattamente spiegato che la Scrittura tramandata dai profeti era salutare per attingere la sapienza celeste e utile per la correzione del modo di vita. Riempirono le idrie fino all’orlo, poiché compresero che non c’era stata nessuna età priva di maestri, che avevano svelato ai mortali la via della vita con le parole, con gli esempi e anche con gli scritti. ...
Gesù fece questo primo dei suoi miracoli in Cana di Galilea e manifestò la sua gloria. Manifestò con questo miracolo che era re della gloria e sposo della Chiesa egli che, venuto alle nozze come uomo comune, come Signore del cielo e della terra trasformava a suo piacimento gli elementi. E con suggestiva correlazione colui che aveva mutato l’acqua in vino come primo dei miracoli che da mortale avrebbe mostrato ai mortali, egli stesso come primo dei miracoli che, ormai immortale in virtù della risurrezione avrebbe mostrato a quanti avrebbero desiderato solo la vita immortale, ha imbevuto la loro mente carnale, e per così dire insipida, della scienza divina. Infatti dapprima, mentre stava in terra svelò loro col dono del suo Spirito il senso per comprendere la Scrittura e dopo, inviato dal cielo quello stesso Spirito infuse nei loro cuori più grande fragranza di amore divino e di sapienza spirituale, dando inoltre la conoscenza di tutte le lingue, per poter diffondere in tutto il mondo la grazia della vita che avevano ricevuto. Perciò, fratelli carissimi, amiamo con tutto il cuore queste nozze di Cristo e della Chiesa, che allora erano prefigurate in una sola città e ora sono celebrate in tutto il mondo; uniamoci con indefessa intenzione di buone opere al loro gaudio celeste. Dato che, grazie alla fede, siamo venuti a queste nozze, celebriamole con la pura veste dell’amore e laviamo scrupolosamente le macchie delle nostre azioni e dei nostri pensieri prima del giudizio finale, perché non avvenga che il re, che ha fatto queste nozze per suo figlio, vedendo che non abbiamo la veste nuziale dell’amore, ci scacci e ci respinga nelle tenebre esteriori, legati con mani e piedi, cioè preclusi dalla possibilità di agire bene (cfr. Mt 22, 11-13). Purifichiamo con la fede i capaci recipienti dei nostri cuori secondo la purificazione che danno i precetti celesti e riempiamoli con l’acqua della scienza che salva, attendendo con più zelo alla lettura dei sacri testi. Preghiamo il Signore che quella grazia della scienza che ci ha dato, non ci gonfi di superbia, e invece ci riscaldi col fervore del suo amore e ci volga a cercare e sapere solo le cose del cielo perché, inebriati nello spirito, possiamo cantare col profeta: Ci hai dato da bere il vino di compunzione (Sal 59, 5). Così anche a noi, se avremo bene progredito, ora in parte, per quanto ne siamo capaci, e in futuro in modo perfetto, Gesù manifesti la sua gloria, nella quale vive e regna col Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.



S. Bruno di Segni


Uscirono e salirono sulla barca e in quella notte non presero nulla. Perché nella notte avevano faticato per niente e Gesù non era ancora venuto da loro, perché erano venuti a pescare per sé e non mandati da un altro. Stavano ancora a significare quelli che vengono a predicare e a reggere la Chiesa non dietro regolare mandato, ma di proprio arbitrio. I pesci di Dio li fuggono e rifiutano di entrare nelle loro reti e di ascoltare le loro predicazioni.
Fattasi ormai mattina, Gesù si presentò sulla riva ma i discepoli non si accorsero che era Gesù. Ecco che cominciano ad indicare qualcosa d’altro: non lavorano più nella notte, vengono incontro al giorno e vedono Gesù. Disse loro Gesù: Figli, non avete qualcosa da mangiare? Gli risposero: No. Disse allora Gesù: Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. Come se dicesse: Io quella volta non vi ho mandato, avete lavorato a sinistra, non avete preso nulla. Ora dunque gettate la rete a destra, faticate secondo il mio comando, predicate la mia dottrina: non sappia la vostra sinistra quel che fa la vostra destra e troverete. Pescare a destra significa predicare con sincero affetto e cuore puro la vera e cattolica dottrina. I pescatori sono gli apostoli, predicatori e dottori; le reti invece sono i vangeli e in genere ogni scritto divinamente ispirato. Per pesci si intendono i fedeli tutti. Tali pesci nuotano nel fiume del Battesimo, sono catturati dalle reti del Vangelo e dall’amore per la fede.
La gettarono dunque e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. O grande miracolo! Pur lavorando tutta la notte non avevano preso nulla ed ecco che al comando del Signore subito accorre una tal moltitudine di pesci! ...
Visto il miracolo, quel discepolo che Gesù amava, disse a Pietro: È il Signore! Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si cinse la tunica, poiché era spogliato; e si gettò in mare. Ovunque Pietro è trovato di fede più fervente e di più forte amore. Gli altri discepoli vennero con la barca; infatti non erano lontani da terra. Che cosa intendiamo per terra se non la terra dei viventi? Da essa non erano lontani, poiché sciolti dai legami del corpo, vi sarebbero giunti presto.
Traendo quasi per duecento cubiti le reti piene di pesci. Il numero di cento è già perfetto ed inoltre è duplicato quando è adempiuto con la parola e l’operaI maestri della fede traggono allora la rete piena di pesci per duecento cubiti quando con la parola e con l’opera attirano dietro di sé alla vita eterna quelli che ascoltano.
Appena scesi a terra videro un fuoco di brace e del pesce sopra e del pane. Di questo cibo si ristorano i pescatori e i predicatori di Cristo e riprendono forza quando ritornano stanchi dal loro operare. Vedono il fuoco di brace, il pesce sopra e il pane ogni volta che si ricordano della passione e della predicazione di Cristo e allora si dimenticano della fatica, della stanchezza e di tutte le loro tribolazioni. E che cosa è il pesce arrostito sulla brace se non il Cristo nella passione della croce? E che cosa è il pane, se non la predicazione evangelica, con la quale il Signore era solito ristorare i suoi discepoli dicendo: Non temete quelli che vogliono uccidere il corpo, ma non possono uccidere l’anima (Mt 10, 28)? Da queste parole i discepoli sono rinvigoriti, da queste parole sono animati e saziati e sono incitati a riprendere la loro fatica.
Dice loro il Signore: Portate qui dei pesci presi or ora. Incessantemente gli apostoli e i maestri portano pesci al Signore: sempre con l’esempio e la dottrina portano a lui l’anima dei fedeli. Perciò viene detto anche: Salì Simon Pietro e trasse a terra la rete piena di grossi pesci, centocinquantatré, e pur essendo tanti la rete non si spezzò.Erano pesci buoni quelli per cui la rete non si spezzava. Sono pesci cattivi quelli per cui la rete dei vangeli ogni giorno si spezza, gli eretici e gli scismatici. E per i centocinquantatré che cosa intendiamo se non tutti i battezzati e i fedeli? ...
Gesù disse loro. Venite a mangiare! E nessuno dei discepoli osava domandargli: Chi sei? sapendo bene che era il Signore. E venne Gesù e prese il pane e lo diede loro e così pure il pesce. Ogni giorno il Signore ci invita al suo pranzo; ogni giorno ci offre il suo cibo evangelico e le delizie del suo Corpo e del suo Sangue. Finché noi leggiamo questi Vangeli ci ritempra in terra con il cibo del suo pane. Ci offre anche il pesce arrostito, perché qui troviamo in qual modo abbia patito. E non possono trarre bene a terra le reti quelli che non si ristorano con assiduità con questo cibo.
Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli dopo essere risorto dai morti. Qui parla di quelle manifestazioni che si sono verificate a molti o a tutti insieme riuniti.
Dopo che ebbero mangiato, dice Gesù a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Gli risponde: Certo Signore, tu sai che ti amo. Il Signore chiede a Pietro se lo ama, a lui che sempre vedeva distinguersi per un più forte sentimento di amore nei suoi confronti. Così, poco prima, quando gli altri erano andati da lui con la barca, lui non aveva potuto aspettare la lentezza della barca, ma sotto l’impulso dell’amore immenso, si era gettato nel mare per poter arrivare prima al Signore.Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro, tu che dimostri verso di me un affetto più grande del loro? Gli risponde: Sì, Signore, tu sai che ti amo. Sì, Signore, ti amo e tu sai che ti amo. Tu sai quanto ti voglio bene. Io invece non so se ti amo più degli altri.
Gli dice: Pasci i miei agnelli! Il Signore non vuole affidare ad un altro i suoi, se non a chi ama, egli che li ha tanto amati da degnarsi di dare se stesso per loro. Prima interroga il pastore della Chiesa, per sapere se lo ama, poi gli affida i suoi agnelli da pascere. Gli dice di nuovo: Simone di Giovanni, mi ami? Gli risponde: Sì, Signore, tu sai che ti amo. Gli dice: Pasci i miei agnelli. Gli dice per la terza volta: Simone di Giovanni, mi ami? Allora Pietro, rattristato, e temendosi sospettato dal Signore, risponde dicendo: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo. Gli dice: pasci le mie pecorelle. Prima gli affida gli agnelli, poi le pecore perché lo costituisce non solo pastore, ma pastore dei pastori. Dunque Pietro pasce gli agnelli, pasce anche le pecore; pasce i figli e pasce anche le madri: regge i sudditi e regge i capi. È pastore di tutti perché, oltre ad agnelli e pecore, nella Chiesa di Dio non c’è nulla d’altro, niente, dico, che il Signore abbia affidato ai suoi pastori.
Ecco, Pietro che per tre volte aveva rinnegato, per tre volte risponde affermando di amare il Signore: affinché l’amore distrugga la colpa, l’affetto tolga l’offesa. E gli dice ancora Gesù: Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Cosa questo significhi, lo dice lo stesso Evangelista: Questo gli disse per significare con quale morte avrebbe glorificato Dio. Infatti il beato Pietro, confitto alla croce, e su di essa stendendo le mani, fu da altri cinto e legato. Giustamente poi, dopo che per tre volte aveva risposto di amare il Signore, il Signore gli annuncia la morte con cui, in modo apertissimo, ha dimostrato quanto lo amasse davvero. Per cui anche si aggiunge: Gli dice: Seguimi! Se mi ami, seguimi, vieni dietro a me, imitami, così che come io sono morto per te così tu morirai per me.


(dal Commento a Giovanni, III, 55-56)



S.
 Agostino


Voi ricordate che l’apostolo Pietro, il primo di tutti gli Apostoli, si turbò nella passione del Signore. Da sé si turbò, ma fu rinnovato da Cristo. Un primo tempo fu infatti un audace presuntuoso, ma poi divenne un timido rinnegatore. Aveva promesso che sarebbe morto per il Signore, mentre sarebbe morto prima, per lui, il Signore. Perciò quando diceva: Sarò con te fino alla morte (Lc 22, 23); e Darò la mia vita per te gli replicò il Signore: Darai la tua vita per me ? In verità, ti dico: Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte (Gv 13, 37-38). Si giunse al momento e poiché Cristo era Dio, Pietro, invece, un uomo, si compì la Scrittura: Io ho detto nel mio sgomento: Ogni uomo è mentitore (Sal 115, 11). Dice l’Apostolo: Poiché Dio è verace, ogni uomo invero è mentitore (Rm 3, 4). Verace Cristo mentitore Pietro.
E che? Proprio a lui si rivolge il Signore, come avete ascoltato durante la lettura del Vangelo, e gli domanda: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Quello risponde dicendo: Sì; certamente, tu sai che ti amo. E il Signore glielo chiede di nuovo e gli ripete la domanda una terza volta. Ed a lui che rispondeva di amare, affidò il gregge. Infatti, ogni volta, a Pietro che asseriva: Ti amo, il Signore Gesù assegnava: Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Nel solo Pietro era figurata l’unità di tutti i pastori, ma dei buoni, di quelli che sanno pascere le pecore di Cristo non per sé, ma per Cristo. In questo momento Pietro era forse mentitore, oppure mentiva nel rispondere al Signore che lo amava? La sua risposta era pienamente sincera: infatti rispondeva ciò che scopriva nel suo cuore. Quando poi aveva detto:Darò la mia vita per te, volle presumere delle sue future capacità. Ma ogni uomo forse conosce quale egli è oggi che parla; chi conosce di sé quale sarà domani? Perciò Pietro volgeva gli occhi all’interno del suo cuore quando veniva interrogato dal Signore e, fidandosi, rispondeva quanto vedeva dentro: Sì; certamente, Signore, tu sai che ti amo. Tu conosci quello che ti dico: vedi anche tu ciò che io vedo nel mio cuore. Non ardì tuttavia rispondere a tutto ciò che il Signore aveva domandato. Il Signore infatti non aveva detto semplicemente: Mi ami, ma aveva aggiunto: Mi ami più di costoro? Cioè: Mi ami più di quanto mi amano costoro? Si riferiva agli altri discepoli; quello poté dire solo: Ti amo, non osò ammettere: più di costoro. Non volle essere di nuovo mentitore. Gli era bastato dare testimonianza al proprio cuore: non dovette essere giudice del cuore altrui.
Verace, dunque, Pietro, o piuttosto, verace Cristo in Pietro? Ma il Signore Gesù Cristo, quando volle, lasciò Pietro a se stesso e Pietro si scoprì uomo; quando poi al Signore Gesù Cristo piacque, ispirò Pietro e si constatò che Pietro era verace. La pietra aveva reso verace Pietro; la pietra era Cristo infatti. E di che lo fece avvertito quando per la terza volta il Signore a Pietro affidò le sue pecorelle? Gli fece prevedere la sua passione: Quando eri più giovane - disse - ti cingevi da solo, e andavi dove volevi: ma quando sarai vecchio, tenderai le mani e un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vuoi. L’Evangelista ci ha spiegato il senso delle parole di Cristo. Ma gli diceva questo - dice - per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio: che doveva essere crocifisso per Cristo; questo vuol dire infatti: tenderai le tue mani. Dov’è il rinnegatore? Dette queste cose, il Signore aggiunse: Seguimi. Non così come prima, quando chiamò i discepoli. Infatti anche in quel caso disse: Seguimi, ma allora era per la formazione, ora per la corona. Forse che non ebbe timore di essere ucciso quando rinnegò Cristo? Ebbe timore di patire ciò che Cristo soffrì. Ma ora non c’era da temere. Vedeva vivente nella carne colui che aveva veduto appeso al legno. Risorgendo, Cristo fece sparire il timore della morte e, poiché aveva tolto il timore della morte, a ragione interpellava l’amore di Pietro. Il timore aveva rinnegato tre volte, tre volte confessò l’amore. Triplice rinnegamento: l’abbandono della verità; triplice confessione: la testimonianza dell’amore.


(dal Discorso 147)


Tutte le cose che al presente si leggono nel santo Vangelo sono fatti e detti del tempo dopo la risurrezione. Perciò abbiamo ascoltato il Signore Gesù Cristo che interrogava l’apostolo Pietro, chiedendogli se l’amasse. Così il Signore interrogava il servo, il Maestro il discepolo, il Creatore l’uomo, il Redentore il redento, l’Immutabilità l’esitante, il Presago l’ignaro; e, quando egli mostrava il bisogno di sapere, allora si rivelava maestro. Infatti non è che Cristo poteva ignorare che cosa Pietro portasse nel cuore. Interroga una volta, quello risponde. Non basta, interroga di nuovo, e non su altro, ma su ciò che aveva domandato: anche quello ripete la stessa risposta. La domanda è ripetuta per la terza volta, per la terza volta risponde l’amore. Infatti quello che tre volte aveva negato per timore, tre volte è interrogato per amore. Quando il Signore doveva morire, ebbe timore, si sgomentò e negò; ma risorgendo, il Signore gli infuse l’amore, dissipò il timore. In realtà chi doveva temere ormai Pietro? Infatti quando negò, proprio per questo negò, perché ebbe paura di morire; una volta risorto il Signore, nel quale constatava che era morta la morte, che doveva temere? Davvero vivo, proprio quello stesso che rivolgeva la domanda, colui che, morto era stato sepolto; era presente colui che era stato sospeso sulla croce. Quando il Signore nostro Gesù Cristo era stato condannato dai Giudei allora Pietro, interrogato - quel che è peggio da una donna e, particolare assai indecoroso, da una serva - ebbe timore e negò; davanti ad una serva ebbe paura, alla presenza del Signore fu padrone di sé. Ma a chi confessava il suo amore una volta, e una seconda, e una terza, affidò le sue pecore. Mi ami? domandò. Signore, tu sai che ti amo. Ed egli: Pasci i miei agnelli. Questo una prima volta, questo una seconda, questo una terza; come se Pietro non avesse avuto altro modo di dimostrare il suo amore per Cristo, che con l’essere pastore fedele sotto il Principe di tutti i pastori. Mi ami? Ti amo. E quale sarà la tua corrispondenza amandomi? Che offrirai tu, uomo, a me tuo Creatore? Che prova darai del tuo amore, tu, riscattato, al tuo Redentore, tu che al più sei soldato, al tuo Re? Che darai? Esigo questo solo: Pasci le mie pecore.

(Dal Discorso 147/A, 1)


Gv. 21. Commento esegetico di Silvano Fausti



Messaggio nel contesto

«Mi ami?». Sono le parole di Gesù, morto e risorto, a Pietro. Ogni lettore le sente rivolte a sé, come fine o, meglio, principio di tutto il Vangelo. Il racconto del quarto Vangelo è già perfettamente concluso con il c. 20. Ma il c. 21 non è un'aggiunta, più o meno superflua. È come il ripetersi successivo di quell'ondata che Gesù ha messo in moto; ora essa si ripercuote nei discepoli e, tramite loro, si allarga all'infinito, vivificando del suo Spirito il mondo intero. Questo capitolo si può chiamare un «epilogo» del Vangelo, iniziato con un «prologo». Il prologo ci ha presentato «la preistoria di Gesù»: il Verbo eterno di Dio, vita e luce del mondo, è diventato carne. Il racconto del Vangelo ci ha presentato «la storia di Gesù»: la sua carne ci ha rivelato il Padre e ci ha donato di diventare suoi figli. L'epilogo ci presenta «la storia dopo Gesù»: i discepoli continuano la sua opera e lo testimoniano al mondo. Nel c. 20 i discepoli hanno visto il Risorto, accolto il suo Spirito, ricevuto la sua missione e creduto in lui, Signore e Dio, per avere vita. Ora vediamo come Gesù si «manifesta» loro mentre continuano la missione loro affidata. Egli è presente nella «pesca» (vv. 1-8), che raffigura la loro attività apostolica rivolta ai fratelli, e nel «banchetto» (vv. 9-14), che richiama l'eucaristia, principio e fine di ogni missione. Particolare attenzione è rivolta ai due aspetti essenziali della comunità, ambedue fondati sull'amore e sulla sequela: la dimensione «istituzionale», rappresentata da Pietro (vv. 15-19), e quella «carismatica», rappresentata dal discepolo che Gesù amava (vv. 20-23). Sono due istanze diverse, una pastorale, più attenta alla struttura e conservatrice, l'altra creativa, più attenta alle persone e libera. Il conflitto inevitabile tra i due aspetti trova qui una soluzione ideale, legittimando ambedue e dando la priorità all'amore e alla libertà. Alla fine il redattore conclude indicando nel di-scepolo che Gesù amava l'autore del Vangelo (vv. 24-25). Troviamo parte di questo materiale anche nei sinottici: la pesca (cf. Le 5,1-11; cf. Mc 1,16-20p), il pasto con il Risorto (Le 24,30s.41-43), il ruolo di Pietro (Mt 16,18) e l'invito alla sequela. Tutto è liberamente rielaborato e intrecciato sul tema dell'amore. Probabilmente è materiale giovanneo, redatto da altri e posto nel finale, con somiglianze e differenze di vocabolario, di stile e di temi rispetto al resto del Vangelo. Il e. 21 sta al Vangelo di Giovanni come gli Atti degli Apostoli al Vangelo di Luca. Dopo il racconto di ciò che Gesù ha fatto e detto (At 1,1), si narra in modo sintetico e paradigmatico ciò che i suoi discepoli fanno e dicono. Nel Figlio dell'uo-mo innalzato tutto è compiuto: la «cristologia» dei cc. 1-19 culmina sulla croce, do-ve Gesù rivela l'amore estremo e consegna lo Spirito. Nel c. 20 la cristologia diven-ta «pneumatologia»: i discepoli vedono il Risorto, accolgono lo Spirito e sono invia-ti al mondo. Nel c. 21 cristologia e pneumatologia diventano «ecclesiologia»: chi ha visto la carne di Gesù e accolto il suo Spirito, diventa figlio e continua nel mondo la missione di rivelare il Padre. Ora i discepoli sono all'opera. Non sono più di sera e al chiuso in Gerusalemme (20,19), ma di mattina e all'aperto sul lago di Tiberiade, luogo della vita quotidiana, loro e di Gesù. Il tempo e il luogo sono significativi: l'alba è il limite tra notte e giorno, il litorale è il limite tra mare e terra. Alba e litorale sono il tempo e il luogo tipico dell'uomo, posto tra due realtà contrarie, chiamato a varcare la soglia dalla tenebra alla luce, dalla morte alla vita. I discepoli sono usciti da dove il Signore ha lavato loro i piedi (cf.14,31) e affrontano con lui e come lui il mondo. Dopo il dono di Gesù, che li ha amati fino a dare se stesso ed è tornato mostrandosi vincitore della morte e principe della vita, inizia il giorno del Signore: è ogni giorno, da vivere ormai nell'amore del Padre e dei fratelli.

Per questo i sette vanno a «pescare uomini per la vita» (cf. Lc 5,10). Come ha fatto Gesù, anch'essi strappano i fratelli dall'acqua dove annegano, per comunicare loro la sorgente d'acqua viva. Questa pesca è il «molto frutto» (15,5) che Gesù aveva promesso a chi è unito a lui, obbedendo alla sua parola e osservando il suo comando di amarci come lui ci ha amati (15,1-17). Chi non è unito a lui, rimane nella notte, come Giuda. Ogni sua fatica è infeconda e mortifera. Comunque ormai la tenebra è sconfitta e la luce è venuta: il Signore già ha fatto dono della propria vita e ha preparato il suo banchetto. Non a caso la scena si svolge sul lago di Tiberiade, dove la Parola era diventata Pane (cf. c. 6). Anche qui la missione culmina nel pasto comune (cf. Mc 6,7-13.30-44p), al quale i discepoli danno il loro contributo. Chi mangia il corpo del Signore, vive di lui e in lui: riceve il suo Spirito, che gli fa riconoscere il Risorto e lo rende capace di testimoniarlo (cf. 15,26-27). Uniti a lui e ascoltando la sua parola questa è la sottolineatura del testo la nostra pesca diventa feconda, anche più della sua (cf. 14,12). Il centro di tutto, come si vede nella triplice domanda rivolta a Pietro, è l'amore per Gesù, che lo fa dimorare in noi. Ma l'origine permanente del nostro amore per lui è il suo amore per noi, come ci testimonia il discepolo prediletto, che ha contemplato il Trafitto. Questo capitolo, posto alla fine del Vangelo, più che una conclusione è un'apertura. Dischiude infatti al mondo intero l'orizzonte della vita nuova che il Figlio offre ai fratelli. Alla luce di quanto abbiamo già visto nel Vangelo, la ricchezza di questo breve capitolo è inesauribile: si potrebbero scrivere tante cose che non basterebbe il mondo intero per contenerle (cf. v. 25). Trasformando il versetto finale del Vangelo, possiamo dire che ormai il mondo intero altro non è che la riscrittura, anzi il diventare carne della Parola, mediante la testimonianza dell'amore dato/ricevuto e corrisposto nella «pesca», che alimenta di nuovo cibo il banchetto imbandito dal Figlio. La storia del mondo è ormai storia di Dio, manifestazione progressiva della Gloria. Dio è entrato nel creato perché ogni creatura entri in Dio: il Verbo di vita è diventato carne perché ogni carne partecipi alla vita del Verbo.

La Chiesa, chiamata da Paolo «corpo di Cristo», ne è la pienezza anticipata (cf. Ef 1,1-23); come la carne di Gesù, dove tutto è compiuto. Attraverso di essa si rivela e, rivelandosi, si comunica a tutti il dono di Dio (cf. 17,22s): «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1Gv 3,1). Il c. 21 è composto di due parti principali, a loro volta molto articolate, dove si riprendono i temi fondamentali della vita di Gesù, che risuonano ormai in quel-la dei discepoli. La prima parte mostra i discepoli nella loro missione, con la presenza del Signore in mezzo a loro, e culmina nell'eucaristia (vv. 1-14); la seconda riabilita Pietro e il suo ruolo pastorale, fondato sull'amore e sulla sequela (vv. 15-19), armonizzandolo con il ruolo del discepolo amato, testimone dell'amore (vv. 20-23). La conclusione finale (vv.24-25) riprende 20,30s, identificando il discepolo amato con l'autore del Vangelo. Attraverso questa aggiunta, il Vangelo, come tut-ta la Scrittura, si dichiara esplicitamente come uno «scritto aperto», da riscrivere all'infinito. Gesù ha compiuto l'opera del Figlio: amare i fratelli con lo stesso amore del Padre. Ora, salito a lui, torna a noi, anzi in noi, con il suo Spirito perché portiamo avanti la sua opera. La Chiesa, attraverso la testimonianza apostolica vitalmente ricevuta e trasmessa, diventa una «riscrittura» progressiva del Vangelo eterno di Dio nel mondo: è realmente «il quinto» Vangelo, il Vangelo vivo. Così dice Paolo alla comunità di Corinto: «Voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con l'inchio-stro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori» (2Cor 3,3). Nell'ascolto di quanto Gesù ha vissuto e il Vangelo ha raccontato, la nostra storia diventa storia di Dio, rivelazione della Gloria.




Lettura del testo

v. 1: Dopo queste cose. L'espressione richiama Gesù che dona il pane (cf. 6,1) e lava i piedi a Pietro (cf. 13,7). È un'indicazione di tempo che rimanda a un prima. Il tempo successivo viene «dopo queste cose» accadute «quel giorno»: è il «giorno uno» (cf. 20,1.19), da cui tutto fluisce, come l'acqua dalla sua sorgente. È un tempo senza tempo, perché è ormai ogni tempo. 

si manifestò ancora Gesù ai discepoli. È un'ulteriore manifestazione di Gesù, diversa dalle precedenti. La parola «manifestarsi», usata da Giovanni 9 volte, è ap-plicata 3 volte agli incontri con il Risorto e tutte in questo racconto (vv. lbis.14). Manifestare (phaneróo) significa rendere chiaro. Suggerisce un uscire dall'oscurità per venire alla luce: egli è ormai sempre presente e «si manifesta così». Questo sarà d'ora innanzi il suo modo di essere con i suoi discepoli. Mentre noi siamo nel mare del mondo a compiere l'opera che ci ha affidato, lui è già a riva, sulla «terra». Da lì ci assiste e si manifesta nella Parola che rende fruttuosa la nostra pesca e nel banchetto che condivide con noi. In altre parole il Signore Risorto è sperimentato nella Parola-missione e nell'eucaristia, che ci fanno partecipare alla sua fecondità di vita. 

sul mare di Tiberiade. Il dono del pane avvenne al di là del «mare di Galilea, di Tiberiade» (6,1). Qui è chiamato solo «Tiberiade», evidenziando il nome pagano della capitale della Galilea, costruita in nome dell'imperatore Tiberio. Questo incontro con il Risorto non è nel cenacolo, dove i discepoli hanno ri-cevuto il pane, lo Spirito e la missione. Avviene all'aperto, tra i pagani. L'eucaristia che seguirà (v. 13s) è una «messa sul mondo», all'alba e in riva al mare, dove si arriva alla fine di una notte di fatica. 

si manifestò così (cf. v. 14). Questo incontro con il Risorto, diverso dai precedenti, avviene sulla soglia tra mare e terra. Su questa riva, luogo di partenza e di ap-prodo di ogni missione, il discepolo fa una spola continua tra il mondo da salvare e il Salvatore del mondo. Si dice inoltre che Gesù «manifestò se stesso», non che i discepoli lo «videro». Lo incontrano ormai come colui che si rivela attraverso l'ascolto della Parola ed è riconosciuto attraverso l'amore del discepolo prediletto e il dono del pane. Queste parole, riprese al v. 14, fanno da inclusione alla prima parte del testo e sottolineano il «così», che è il modo nuovo di presentarsi del Signore, ancora e sempre, ai discepoli. 

v. 2: erano insieme. Dopo il dono di Pasqua, i discepoli sono «insieme». Si parla di sette discepoli. Non sono i Dodici (cf. 6,70), che rappresentano le tribù d'Israele. Sono sette, numero di totalità, che rappresenta le nazioni pagane. È ormai la comunità delle sette chiese (cf. Ap 2-3), aperta al mondo. 

Simon Pietro. Gesù gli aveva promesso che, «dopo queste cose», avrebbe capito il suo gesto di lavargli i piedi (13,7). Simone, fratello di Andrea, è uno dei primi che lo ha incontrato, ricevendo il nome di Pietro (1,42). È lui che, dopo il dis-corso sul pane di vita, dice a nome di tutti: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (6,68s). Lo ritroviamo nell'ultima cena a più riprese: non vuo-le che Gesù gli lavi i piedi (13,6-9), chiede all'altro discepolo di domandare chi è il traditore (13,24) e dichiara di essere disposto a seguire il Signore fino a morire per lui (13,36-38). Nel giardino estrae la spada per difenderlo (18,10s) e nel cortile, dove l'ha introdotto il discepolo amato, lo rinnega (18,15-27). Lo incontriamo, ancora insieme a lui, nella corsa mattutina al sepolcro (20,2-10). L'intreccio del loro cam-mino continua anche in questo racconto (cf. vv.1-14) e trova nel finale - come sintesi di tutto il Vangelo - la sua spiegazione (cf. vv. 15-24). 

Tommaso, detto Didimo. Tommaso si dichiara disposto a morire accanto a Gesù (11,16). Nell'ultima cena gli chiede inoltre dove va; e ottiene la risposta: «Io-Sono la via, la verità e la vita» (14,5s). Riappare nel racconto precedente come l'incredulo che raggiunge la piena fede, esclamando: «II mio Signore e il mio Dio» (20,28). 

Natanaele, quello di Cana di Galilea. È il vero israelita che, superando i suoi dubbi (1,46), per primo riconosce Gesù come Figlio di Dio e re d'Israele (1,49). Si precisa che è di Cana di Galilea, dove Gesù fece il primo segno e «manifestò la sua gloria» (2,11). 

quelli di Zebedeo. È l'unica volta che nel quarto Vangelo ricorre quest'espressione. Sappiamo dagli altri Vangeli che sono Giacomo e Giovanni (cf. Mc 1,19p), coloro che, con Pietro, partecipano alla pesca di Le 5,1ss. Nella tradizione il secondo di questi fratelli è stato identificato con il compagno anonimo di Andrea (cf. 1,35-40), «l'altro discepolo», quello che Gesù amava, autore del quarto Vangelo.

altri due dei suoi discepoli.
 Chi sono questi due altri discepoli? Inutile chiederselo, perché sono anonimi. Sappiamo che sono due, principio di molti. Rappresentano i discepoli che verranno in seguito, chiamati «altri», come l'«altro discepolo», quello che Gesù amava. 

v. 3: dice loro Simon Pietro. Nel c. 21 Simon Pietro ha un ruolo di preminenza: prende l'iniziativa della pesca (v. 3), si butta nel mare (v. 7b) e tira a riva la rete piena di pesci, senza che si rompa (v. 11). A lui, dopo il pasto, Gesù si rivolge direttamente per affidargli la sua missione di Pastore bello (vv. l5ss). Però è l'«altro discepolo» che per primo riconosce il Signore (v. 7a; cf. 20,8) e resta come testimone perenne di colui che viene (vv. 22-24). 

me ne vado a pescare. Simon Pietro non ordina agli altri di pescare. L'autorità non è comando - «armiamoci e partite!» -, ma un modello da imitare. L'imitazione dell'altro, il cui esempio dà corpo ai desideri di ognuno, è principio di ogni agire umano, nel bene e nel male. Come Gesù se ne va al Padre, Simon Pietro se ne va verso i fratelli. I discepoli sono scelti e inviati a portare avanti la missione del Figlio: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto» (15,16). C'è una stretta parentela, con numerosi punti in comune, tra questo racconto e la pesca di Lc 5,1-11, dove Pietro riceve la promessa: «Da ora uomini pescherai per la vita» (Lc 5,10; cf. Mc 1,17; Mt 4,19). 

veniamo anche noi con te. Gli altri decidono spontaneamente di andare con lui. Non sono dei subordinati, più o meno insubordinati, ma persone in comunione, per libera decisione dello Spirito. Questa comunione tra di loro resta però sterile fino a quando non è comunione con Gesù, obbedienza alla sua parola. La preposizione «con» (= syn), che indica appunto comunione, appare solo al-tre due volte in Giovanni. Si parla di Lazzaro, risorto, che giace a mensa «con» Gesù (12,2) e di Gesù che entra nel giardino «con» i suoi discepoli (18,1). Per Tommaso, che dice di essere disposto a morire accanto a Gesù, si usa la preposizione greca «metà», che indica piuttosto l'essere a fianco (cf. 11,16). 

uscirono ed entrarono nella barca. Gesù è uscito dal Padre per venire nel mondo incontro ai fratelli. I discepoli escono dal luogo dove si trovano ed entrano nella barca, in mezzo al mare. La loro è la stessa missione del Figlio: pescare uomini perché vivano. Nell'acqua infatti muoiono. 

quella notte. Finora si è parlato di «quel giorno» (cf. 19,31; 20,1.19). Ma qua-lunque giorno rimane notte fino a che non si manifesta la luce del mondo: «Noi bisogna che operiamo le opere di chi mi inviò mentre è giorno; viene la notte, quando nessuno può operare. Finché sono nel mondo, sono luce del mondo» (9,4s; cf. 11,9s). Lui è ormai sempre nel mondo, ma non lo vediamo fino a quando la Parola ascoltata e il Pane condiviso non ci aprono orecchi e occhi. 

non catturarono nulla. L'iniziativa comune di Pietro e degli altri è senza risultato: «Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» (Lc 5,5a). Infatti «il tralcio non può portare frutto da se stesso se non dimora nella vite, così anche voi, se non dimorate in me [...]. Chi dimora in me e io in lui fa molto frutto» (15,4s). Lui dimora in noi come noi in lui, se ascoltiamo la sua parola: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di lui» (14,23). Gesù può manifestarsi perché l'amore, che è concreta osser-vanza della sua parola, ce lo rende presente: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e io amerò lui e a lui mi manifesterò» (14,21). Ogni iniziativa apostolica, con tutte le reti e le perizie del mondo, se non sca-turisce dalla comunione con il Signore, resta infruttuosa. Senza l'amore, tutto è nulla (cf.iCor 13,1-3). 

v. 4: venendo già l'alba. È preferibile leggere, con molti codici, «venendo» invece che «venuta» l'alba. Infatti la notte finisce e viene l'alba con la presenza di Gesù. Con lui inizia il giorno nuovo (20,1), che dissolve la tenebra in cui si trovano i discepoli.

Gesù stette (in piedi) sul litorale. Gesù è ritto in piedi sulla riva, come prima nel cenacolo (20,19.26). Al v. 13, descrivendo il gesto eucaristico, si dirà che «viene», come in 20,26. 

non sapevano i discepoli che è Gesù.
 Gesù, compiuta la sua missione, è già arrivato a riva. Da lì è presente ai discepoli che continuano la sua missione. Ma questa rimane sterile, e lui non riconosciuto, fino a quando non osservano la sua parola. 

v. 5: dice loro Gesù: Figlioli. È un appellativo affettuoso, usato per il figlio del funzionario regio che sta per morire (4,49) e per l'uomo nuovo che viene al mondo (16,21). In questo racconto è salvata da sicura morte la comunità nascente ed è generata l'umanità nuova.

avete qualcosa di companatico?
 Gesù interroga i discepoli sulla fatica notturna: chiede loro del «companatico». Il «pane» c'è già: è lui, che ha dato se stes-so per la vita del mondo. Manca il «companatico» da aggiungere a questo pane: è la risposta al suo amore, che solo noi possiamo dare. Essa consiste nel nostro andare verso i fratelli in obbedienza alla sua parola. Il nostro cibo è il medesimo del Figlio: compiere l'opera del Padre (4,34), che vuol salvare tutti i suoi figli, con l'ultimo dei quali Gesù si è identificato. Nell'ultimo dei fratelli infatti vediamo il Figlio da amare. 

gli risposero: no!
 Gesù aveva promesso ai discepoli che avrebbero compiuto le sue opere e anche di più grandi (14,12). La loro risposta è un secco «no», pieno di delusione. Quante volte, nonostante il nostro darci da fare con perizia e impegno, brancoliamo nella notte e non peschiamo nulla (cf. Lc 5,5). Se la missione è senza frutto, significa che non siamo uniti a lui, che non ascoltiamo la sua parola. 

v. 6: gettate la rete dalla parte destra, ecc. Gesù ordina di gettare la rete da una parte precisa, l'unica che può essere feconda di vita. Per questo ci ha dato un preciso comando, il «suo», offrendoci il potere divino (richiamato dall'espressione «la parte destra») di amarci a vicenda con lo stesso amore con il quale lui ci ha amati. Solo l'obbedienza a questo comando fa dimorare lui in noi e ci dona la sua vita. Come Maria disse: «Avvenga a me secondo la tua parola» (Lc 1,38), anche il discepolo dice: «Sulla tua parola, getterò le reti» (Lc 5,5b).

e non riuscivano più a tirarla per la moltitudine dei pesci.
 In obbedienza al «comando» del Signore la loro pesca è abbondante: si può «catturare» alla vita solo mediante l'amore. Il termine «moltitudine», che in greco indica «pienezza» (plèthos), ricorre a proposito degli infermi ai bordi della piscina che attendono salvezza (5,3). Nella rete tirata a terra c'è una «moltitudine» di uomini salvati dalle acque, una «pienezza» che abbraccia l'umanità intera. È il molto frutto del tralcio unito alla vite (15,5). La missione non è opera nostra, ma dello Spirito che Gesù ci ha donato (cf. 20,22s). Dal frutto si riconosce l'albero (cf. Mt 7,20). 

v. 7: allora quel discepolo che Gesù amava. È colui che conosce l'amore di Gesù: posava il capo sul suo grembo e sul suo petto quando Pietro gli chiese di informarsi sul traditore (13,23ss). Egli introdusse Pietro nel luogo in cui Gesù dava testimonianza (18,15s) e corse con lui, precedendolo, al sepolcro (20,2ss). Egli inoltre stava con la Madre ai piedi della croce (19,26) e contemplò il Trafitto, che testimoniò a noi nel Vangelo (19,35).

dice a Pietro.
 Questo discepolo, come già detto, appare sempre vicino e in contrappunto a Pietro. 

è il Signore. È lui che notifica a Pietro la presenza del Signore. Solo l'amore vede (cf. 20,8) e segnala, a Pietro come a tutti, la via migliore (cf. 1Cor 12,31-13,13): quella di Gesù, verità della vita, che è l'amore

Simon Pietro, udito che è il Signore, si cinse la veste, ecc.
 Questo versetto contiene vocaboli altamente evocativi. Saranno ripresi nei vv. 18-19, quando si dirà che anche Pietro, finalmente, può seguire Gesù e diventare come lui. Simon Pietro si cinge la veste e si butta nel mare, come prima era entrato nel sepolcro (20,6). Gettarsi in acqua e risalire, nudità e veste sono allusioni al battesimo. Simon Pietro seppellisce il suo passato, affogando presunzioni e colpe, per risalire a riva e incontrare Gesù. La parola «cingersi» esce nella lavanda dei piedi, quando Gesù si cinge il panno del servo (13,4s). Qui la veste di Pietro è chiamata «sopraveste», che egli mette sopra la sua nudità. È la veste del Signore stesso, che lo avvolge nel suo amore e gli permette di affrontare il mare. Proprio qui, «dopo queste cose», anche lui riconosce chi è il Signore e Maestro (13,7.13). Sembra strano cingersi la veste per gettarsi in acqua; ma quando si pesca di notte, per proteggersi dal freddo, si indossa sulla pelle un camiciotto che di giorno si toglie. Pietro si cinge di questo indumento, che ha un profondo significato: la veste con la quale si battezza nel mare per risalire a terra richiama l'eredità che il Crocifisso lasciò ai suoi crocìfissori (19,23). 

v. 8: gli altri discepoli vennero con la barchetta. Mentre Simon Pietro scompare nell'acqua, gli altri vengono con la barchetta, portando la moltitudine di pesci. Le due barche di Lc 5,7 sono diventate una e, per giunta, piccola. La Chiesa è una sola e abbraccia tutti; rimane però sempre una barchetta e non diventa mai un transatlantico.

non erano lontani dalla terra.
 «La terra», per antonomasia, è la terra promessa, dove Gesù è già arrivato e i discepoli approdano con il frutto della loro missione.

circa duecento cubiti.
 1200 cubiti richiamano i 200 denari necessari per sfamare la folla (6,7). La distanza dal mare alla terra ha un costo: quello del pane che Gesù ha offerto gratuitamente. La gratuità è l'unico prezzo della vita.

trascinando la rete dei pesci.
 Come la barchetta, anche la rete è unica: i vari di-scepoli compiono la stessa missione, in obbedienza al comando dell'amore. La rete - nominata 4 volte (cf. vv. 6.8.1 Ibis), numero di totalità - è ciò che raccoglie in «uno» gli uomini, per portarli a salvezza: tutti gli uomini sono uniti, in libera comunione tra di loro. 

v. 9: quando discesero sulla terra. «La terra» è dove ormai Gesù sta e si mani-festa: è da dove si parte per la missione e dove si torna portando nuovi fratelli. È il luogo dell'eucaristia, vera terra promessa, dove si vive da figli e da fratelli. 

guardano brace distesa e pesce sopra e pane. Non si dice che vedono Gesù, ma brace con pesce e pane. La brace, evocando il rinnegamento di Pietro (cf. 18,18), prepara il seguito della scena. Pesce e pane - c'è una sovrimpressione tra Gesù e i doni eucaristici - richiamano il fatto dei pani e dei pesci, quando Gesù anticipò la sua Pasqua (6,9-11). Ora i discepoli capiscono il suo discorso fatto nella sinagoga di Cafarnao sul pane di vita (6,26-59): Gesù è il pane offerto. Anche il pesce, che vive nell'abisso e viene sulla terra per essere cotto e diventare cibo, è lui: «Il pesce arro-stito sul fuoco rappresenta Cristo nella passione» (sant'Agostino). Infatti il pesce vive nella morte (= mare) e, morendo sulla terra, si dona come vita per gli altri. Piscis assus, Christus passus: Gesù, proprio in quanto rinnegato e ucciso, è cibo per tutti. Ora che lui ci ha amati fino al dono di sé, anche noi abbiamo il suo Spirito e possiamo fare come lui. Dall'eucaristia del Figlio, celebrata in solitudine sulla cro-ce, scaturisce la nostra eucaristia di fratelli, partecipi della sua missione e del suo frutto. Dall'eucaristia si parte da figli verso i fratelli, all'eucaristia si torna con nuo-vi fratelli che diventano figli, capaci di andare a loro volta verso altri fratelli. E così via, finché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28). Allora i figli di Dio, dispersi, saranno raccolti in unità nel Figlio (cf. 11,51s). E il Padre suo diventerà Padre nostro, di tutti (cf. 20,17). 

v. 10: portate dei pesci che avete catturato adesso. La nostra pesca, prima infrut-tuosa (cf. v. 3), «adesso» è feconda perché abbiamo ascoltato il comando dell'amore. La parola «cattura» finora era riferita a Gesù, che si consegnò a chi voleva cat-turarlo (cf. 7,30.32.44; 8,20; 10,39; 11,57). Anche altri fratelli, «catturati» dall'amore grazie alla nostra testimonianza, sono diventati come lui, che si fa cibo per la vita del mondo. Questo è il frutto della missione, che trasforma gli uomini in figli che sanno amare i fratelli come il Figlio li ha amati. L'imperativo è al plurale, come nel v. 6: «Gettate le reti». Tutti i discepoli partecipano, per ordine diretto del Signore, alla fatica e al frutto. Pietro si distingue per la sua iniziativa di dare il buon esempio e di mantenere l'unità della rete (cf. v. 11). 

v. 11: Pietro salì. Pietro ora sale dall'acqua dove si è immerso, come Gesù nel suo battesimo (cf. Mc 1,10). Ora Simone diventerà Pietro, con il suo nome nuovo. 
tirò la rete sulla terra. Pietro non «tira» più la spada per uccidere (18,10), ma ti-ra verso la vita la grande moltitudine di uomini, perché anche lui, come tutti, è stato (at)tirato dall'amore del Crocifisso (cf. 12,32). La rete tiene unito il frutto della pesca, mentre è trascinato sulla «terra» dove sta il Figlio. Questi infatti aveva pregato il Padre affinché i fratelli fossero «uno» nell'amore (17,11.21-23). 

piena di grandi pesci, centocinquantatré. Si sottolinea l'abbondanza della pesca. Questi pesci, attratti dal Figlio innalzato (12,32), sono assimilati a lui, pesce e pane offerto per la vita del mondo. La cifra ha certamente un significato. Ci sono varie interpretazioni, nuove e antiche, più o meno plausibili. Ne offriamo alcune per mostrarne l'infinita varietà. San Girolamo, commentando Ez 47,6-12, dice che gli zoologi contavano 153 specie di pesci. La cifra indicherebbe quindi la totalità degli uomini. Sant'Agostino nota che 153 è la somma dei numeri naturali da 1 a 17. Il numero 17 a sua volta è la somma di 10 e di 7, che rappresentano rispettivamente il Decalogo della legge e lo Spirito con i suoi doni. Il numero 153 indicherebbe tutti i salvati: essi, con la grazia dello Spirito, osservano la legge, che non è più per la morte, ma per la vita. Si può inoltre osservare che 10 è il numero della comunità e 7 il numero della moltitudine: la rete, simbolo della Chiesa, è la comunità che contiene la moltitudine degli uomini portati a salvezza. Un'ulteriore interpretazione richiama l'attenzione sul fatto che 17 è la somma di 5 e di 12, cifre che richiamano il dono del pane a Tiberiade, dove dei 5 pani sovrabbondarono 12 ceste (cf. 6,9.13): grazie alla missione, la moltitudine degli uomini diventa eucaristia, assimilata al corpo del Figlio. Ancora partendo dall'intuizione di sant'Agostino: tenendo presente che in ebraico ogni lettera dell'alfabeto corrisponde a un numero (a = 1, b = 2, c = 3, ecc.), 17 è il valore numerico della parola ebraica tov (= buono, bello); allora 153, che contiene tutti i numeri da 1 a 17, allude a quella bontà/bellezza che abbraccia in unità ogni singolarità. Un'altra interpretazione dice: «Il significato della cifra può chiarirsi prestando attenzione ai dati del Vangelo e al linguaggio di quella cultura. La cifra 153 è la somma di tre gruppi di 50, più un 3 che è appunto il moltiplicatore. Il numero 50, posto in relazione con i 5.000 dell'episodio dei pani, designa una comunità come profetica, la comunità dello Spirito (vedi commento a 6,10). Ciascun gruppo di 50 pesci "grandi" corrisponde perciò a una comunità di "uomini adulti" (6,10; Cf. 9,20-21), la creazione dei quali cioè è completata dallo Spirito. Il numero 3, che moltiplica la comunità, è il numero della divinità, e qui potrebbe rappresentare Gesù (20,28: "Signore mio e Dio mio!"). La cifra 153 indicherebbe pertanto che le comunità dello Spirito (il frutto) si moltiplicano esattamente in proporzione alla sua presenza» (J. Mateos - J. Barreto). Facendo calcoli più complessi, si possono dare altre interpretazioni: in ebraico 153 è il valore numerico delle espressioni «la Chiesa dell'amore», «il mondo che viene», «figli di Dio», ecc. Al di là di ogni possibile interpretazione, non sappiamo con precisione cosa l'autore intendesse. Sembra che voglia lasciare più che mai spazio alla fantasia: chi più ne ha, più ne metta, se gli giova. Certamente vuol indicare «il molto frutto» (Cf. 12,24; 15,5) della missione di colui che è il salvatore del mondo (4,42) e tutti vuol attrarre a sé (12,32). 

pur essendo così tanti.
 Tutti gli uomini - e sono «così tanti» -, sono «in rete», collegati in unità. La missione del Figlio è riunire in «uno» i fratelli (10,16; 11,52; 17,11.21-23). Questa unione, è utile ribadirlo, non è mai uniformità e omologazione, quasi un frullato indistinto di individui, ma libertà nella distinzione, propria delle persone che si amano. 

non si squarciò la rete. Il verbo squarciare (skízo) richiama «scisma», la divisione all'interno della comunità. Quest'unità non si lacera, perché è nell'amore che accetta e mantiene ogni diversità. Non va squarciata, come la tunica inconsutile, tessuta dall'alto in basso, tutta di un pezzo (Cf 19,23). Dividersi tra fratelli è divi-dere il corpo del Figlio. Anche per questo le sue ferite resteranno aperte, fino a quando un solo uomo al mondo sarà escluso dalla comunità dei fratelli. Nell'ultima cena Gesù aveva pregato perché fossimo «uno» con lui e il Padre, «perfetti nell'unità», «perché il mondo sappia che tu mi amasti e li amasti come ami me» (cf. 17,20-23). Solo attraverso l'unione dei fratelli si conosce il Padre comune: la credibilità di Dio è affidata all'amore tra di noi. Le scissioni al nostro interno sono il grande peccato: oscurano al mondo la Gloria, unità perfetta tra Padre e Figlio nell'identico Spirito. 

v. 12: venite, pranzate. Gesù invita al banchetto: è il pasto eucaristico che, unendoci al Figlio e al Padre nell'unico amore, ci fa entrare in seno alla Trinità. Contro ogni aspettativa (cf. Lc 17,7s), quando il servo torna dal lavoro, il suo Signore lo invita a tavola, si cinge la veste e si mette a servirlo. Colui che ci ha lavato i piedi è sempre in mezzo a noi come colui che serve (Lc 22,27). Il Signore non può essere che servo. Infatti, essendo tutto non ha bisogno di nulla, essendo amore dà tutto se stesso a servizio degli altri. La missione parte dall'eucaristia e porta all'eucaristia. In essa, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana», si mangia e si ringrazia di ciò che è stato donato, anticipo di ciò che sarà ulteriormente donato in forza di questo mangiare e ringraziare.

nessuno dei discepoli osava chiedergli.
 Per chi partecipa all'eucaristia, ricevendo e dando amore, è evidente «che è il Signore». Il riconoscimento di Gesù viene dalla comunione con lui, dal mangiare e vivere di lui. Allora lo vediamo, perché lui vive e noi viviamo (Cf. 14,19). Spezzare il pane, facendo memoria e vivendo del suo amore per noi, ci apre gli occhi e ce lo fa riconoscere (cf. Lc 24,30s.35). In quell'ora c'è una gioia che nessuno ci può togliere, perché attingiamo alla sorgente dell'amore. È giunto «quel giorno» nel quale non gli chiediamo più nulla (16,22s), perché ab-biamo tutto. La nostra gioia è completa, perché è la sua gioia (17,13).

tu, chi sei? Era la domanda rivolta al Battista (1,19) e poi a Gesù (8,25). Il Battista rispose: «Io-non-sono» (1,20) e Gesù rispose: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete Io-Sono» (8,28). 

sapendo che è il Signore. Come il discepolo amato (v. 7), ora anche gli altri riconoscono Io-Sono, il Signore. È il banchetto della nuova alleanza, che ci salva dal mare dei nostri fallimenti, offrendoci il perdono dei peccati. Qui tutti conosciamo il Signore, dal più piccolo al più grande (cf. Ger 31,31-34): è colui che fa rivivere le ossa aride, apre le nostre tombe e ci fa riposare sulla terra. «Allora saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò. Oracolo del Signore Dio» (Ez 37,13s). Ora che quanto fu preannunciato è compiuto, vedendo il suo amore anche noi lo amiamo e osserviamo il suo comando di amarci gli uni gli altri (14,15). In questo sta il suo ritorno a noi, che ce lo fa vedere perché lui, il Vivente, vive in noi che lo amiamo (14,18). L'evangelista evita di dire che i discepoli vedono il Signore: si dice per tre volte che «si manifesta» (vv. 1bis.14), preludio del suo manifestarsi successivo ai credenti che non l'hanno visto (cf. 20,29). I primi l'hanno visto con gli occhi della carne e hanno saputo con il cuore che è il Signore. Anche noi, come i discepoli di questo racconto, sappiamo che il Signore è presente. Con gli occhi vediamo solo brace, pane e pesce: il banchetto da lui preparato. Ma lo riconosciamo dall'abbondante frut-to dell'obbedienza al suo comando, che ci fa partecipare attivamente al dono che lui fa di sé nel suo pasto (cf. v. 13).

v. 13: viene Gesù.
 Prima Gesù stava ritto a riva: è il Risorto, già arrivato sulla «terra», tornato al Padre e presente ai fratelli. Ora si dice che viene, come in 20,26. Infatti il Risorto viene a noi nell'eucaristia. Egli è «il Veniente», che di continuo viene a noi nel memoriale del suo amore. Attende solo di essere accolto, per accoglier-ci con sé in seno al Padre. 

prende il pane e lo dà loro; e similmente il pesce. L'espressione richiama il dono dei pani e dei pesci (6,11). «Prendere il pane e dare» sono le parole dell'eucaristia, dove riceviamo il pane del cielo che dà vita eterna: chi lo mangia entra in comunione con lui e vive di lui, come lui del Padre (cf. 6,48-58). Questo pane ci rende capaci di amare come lui ci ha amati: allora lui dimora in noi come noi in lui (cf. 14,20-23). È il compimento in noi del dono del Figlio. I verbi, coniugati al presente (cf. invece 6,11, dove sono al passato), indicano che la Presenza è ormai sempre presente. In questo banchetto, oltre al pane e al pesce che Gesù ha donato, c'è anche quanto noi abbiamo pescato (v. 10), che serve da companatico (v. 5), da aggiungere al cibo che lui ci dà. Questa «aggiunta» è la nostra risposta al suo dono, che ci fa par-tecipare pienamente alla sua natura di Figlio che, come riceve dal Padre, così dà ai fratelli amore e vita. L'eucaristia coinvolge noi e coloro ai quali ci rivolgiamo, fino ad abbracciare il mondo intero, raffigurato nella moltitudine di pesci. C'è una stretta relazione tra eucaristia e missione: non c'è messa senza missione (cf. 20,19-23) e non c'è missione senza messa (cf. v. 10). Per questo ogni discepolo è inviato ai fratelli, per portare loro l'amore del Padre.

v. 14: così, già per la terza volta, si manifestò Gesù ai discepoli (cf. v. 1).
 «Così», in questo modo, per la terza e definitiva volta - dopo la prima alla sera di Pasqua e la seconda otto giorni dopo -, si manifestò il Signore ai discepoli riuniti insieme. Le tre manifestazioni «graduali» indicano il passaggio da quella riservata ai primi, che «credono perché vedono», a quella rivolta a noi che «non vediamo e crediamo». In mezzo c'è l'esperienza di Tommaso, che sta tra il primo e questo terzo modo di presenza del Risorto.

Sì parla delle tre manifestazioni ai discepoli, tralasciando quella a Mariam. Non perché sia unica e riservata, ma perché indica la dimensione profonda di ogni incontro con Gesù, che si compie nell'amore.

destato dai morti.
 L'incontro con Gesù, destato dai morti, ci ridesta dalla mor-te, comunicandoci il suo amore per il Padre e i fratelli. Qui finisce la prima parte del c. 21, che mostra il modo nel quale ormai il Signore si manifesta perennemente alla sua comunità. 

v. 15: quando ebbero dunque pranzato. Inizia la seconda parte del racconto che, dopo la missione e il banchetto eucaristico, tocca il nodo dei rapporti all'interno della comunità. La partecipazione al corpo dato è per i discepoli principio di comprensione e norma di azione: il Pane apre gli occhi sul Signore, ma anche su di sé e sugli altri. Per questo, dopo il banchetto, si chiariscono i rispettivi ruoli di Pietro e del discepolo amato. La loro differenza emerge già nella pesca: Pietro prende l'iniziativa che gli altri seguono (v. 3), si butta in mare e tira a terra la rete senza che si laceri (vv. 7b.11), mentre l'altro discepolo riconosce per primo il Signore (v. 7a). In questa seconda parte si esplicita il rapporto di Pietro con Gesù e con i fratel-lì (vv. 15-19), in particolare con l'altro discepolo (vv. 20-23). Si tratta del servizio di Pietro, della sua sequela e del suo martirio. Il suo ministero è visto in stretta relazione con l'altro discepolo, quello che Gesù amava. Ogni aspetto istituzionale è animato e misurato dall'amore, altrimenti non ha nulla a che fare con Gesù e il suo comando. La Chiesa è un'istituzione che ha l'amore come principio e come fine la libertà.

dice Gesù a Simon Pietro.
 C'è un dialogo serrato, con dieci scambi di parola tra Gesù e Simon Pietro. Tema è il suo ruolo di guida e custode dell'unità, già emerso durante la pesca. Dopo il dialogo, centrato sull'amore, c'è la chiamata a seguire il Pastore bello che dà la vita per le pecore. Gesù si rivolge a Pietro all'interno della comunità dei discepoli. Rimane ancora aperta la ferita del suo triplice rinnegamento, che Gesù aveva predetto (13,38). Ma questa non è la parola definitiva. Il suo peccato lo apre a una storia nuova: lo rende capace di capire il mistero del Signore come perdono e della debolezza, propria e altrui, come luogo di maggior amore. 

Simone di Giovanni. Gesù lo chiama con il nome suo e di suo padre, come al-l'inizio (cf. 1,42a). Dopo l'esperienza dell'amore e della fedeltà del Signore per lui, diventerà Pietro, come gli fu detto nel primo incontro (1,42b). 

mi ami tu più di costoro?
 Colpiscono queste parole rivolte a Pietro e a ciascu-no di noi che le ascoltiamo. Fa tenerezza un Dio che mi chiede: «Mi ami tu?». Dopo averci svelato sulla croce il suo amore estremo, può ormai esporre senza pudore questa richiesta, fondamentale per chiunque ama: l'amore desidera essere amato. La domanda di Gesù può significare: «Ami me più di quanto ami costoro?», oppure: «Ami me più di quanto costoro mi amano?». Certamente l'autore intende il secondo senso, alludendo alla pretesa di Pietro che disse: «Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò» (Mc 14,29p). Gli aveva infatti protestato il suo amore fino a dare la vita per lui (13,36s); si era esposto per difenderlo nell'orto (18,10) e l'aveva seguito dentro il cortile di Anna, disposto a tutto, tranne che a rinnegarlo (18,15ss). Gesù usa la parola agapào, che indica l'amore originario e gratuito con il quale Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio (3,16), l'amore estremo con il quale Gesù ci ha amati (13,1), che è lo stesso con il quale il Padre ama noi (15,9). È l'amore con il quale ora anche noi possiamo amarci gli uni gli altri (13,34; 15,12.17), fino a dare la vita (15,13). È quell'amore la cui forza è la debolezza di chi espone, dispone e depone la propria vita per l'amato, gli lava i piedi e gli si dona senza riserva, come nel boccone offerto a Giuda. Gesù chiede a Pietro se ha accolto l'amore che gli ha mostrato. Ora, dopo la croce, può capirlo. Gesù chiede a Pietro se lo ama «più» degli altri per ridimensionare la sua pretesa di essere migliore degli altri. Ma non solo: l'amore ha come molla il «più». E infatti sempre una competizione; ma non con gli altri, bensì con se stessi, per vincere egoismo, orgoglio e paura. L'amore è sempre un di «più» - se non cresce, diminuisce - nell'umiltà e nella dedizione. E la nostra partecipazione al magis proprio della «maestà» (majestas deriva da magis = più) del Dio amore, a immagine del quale siamo creati. Il nostro cuore infatti è spinto dal desiderio insaziabile di un di più senza fine. Ciò che finisce è finito, ma non perfetto. Questo «di più», marchio divino dell'uomo, è il suo tormentoso destino, di felicità o di dannazione: segna il progres-so della sua storia se investito nell'amore, il regresso se investito nell'egoismo. La scena, alludendo al rinnegamento di Simon Pietro, richiama la parola di Gesù a Simone il fariseo a proposito della peccatrice: «Chi amerà di più?». La risposta è: «Colui al quale è stato perdonato di più» (Lc 7,42s). Nessuna persona religiosa è in grado di capire quest'ovvietà, perché intenta alla propria perfezione e al proprio amore per Dio più che alla perfezione di Dio e al suo amore per lui. Pietro, pur disposto a morire per Gesù, non era disposto ad accettare che lui gli lavasse i piedi. Il nostro amore è risposta all'amore ricevuto, proporzionato ad esso. E l'amore ricevuto si realizza massimamente nel perdono, dove rivela la sua essenza di gratuità, amando ciò che non è amabile. 

sì, Signore, tu sai che ti sono amico. La risposta affermativa di Pietro non si fon-da sulla sua sicurezza di dare la vita per Gesù (cf. 13,37). Si fonda su quanto il Signore sa: gli aveva predetto la sua defezione (13,38), ma pure che lo avrebbe seguito più tardi (13,36b). Pietro lascia perdere l'emulazione con gli altri: non risponde al «più di costo-ro». Inoltre non usa la parola di Gesù (agapào), bensì philéo, che significa essere amico. Non è una semplice variazione stilistica. Il verbo agapào indica l'amore che dà la vita: origine di questo amore è solo lui, il Signore. Quando accettiamo che lui ci lavi i piedi, allora anche noi possiamo amare come lui. Il verbo philéo aggiunge sfumature di amicizia e reciprocità affettiva, ormai possibile perché abbiamo accol-to il suo amore assoluto. «Nessuno ha un amore più grande di questo, che qualcuno ponga la propria vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che vi comando» (15,13s), amandovi gli uni gli altri con l'amore con cui io ho amato voi (15,12). 

pasci i miei agnelli. Grazie all'esperienza di amore ricevuto, Pietro è associato alla missione del Pastore bello. L'essere pastore non è onore, ma onere. Scaturisce dal pondus amoris, da quel peso di amore noto solo a colui al quale è perdonato di più. Pietro è posto a servizio dell'unità tra i fratelli perché, nel suo peccato perdonato, ha coscienza dell'amore di Cristo. Per questo il suo ministero sarà contrassegnato da perdono e riconciliazione. La sua preminenza non è nel dominio, ma nel servizio di misericordia e perdono (cf. 20,21-23). Istituzione e amore non vanno mai separati. Senza amore ogni istituzione è perversione; anzi, più l'istituzione è perfetta, più grande è la perversione. La Chiesa è un'istituzione che ha come fine quello di amare l'uomo per-ché sia libero di amare. Cristo ci ha liberati per questa libertà (cf. Gal 5,1.13). La parola «pascere» è in connessione con la pastura, il cibo da procurare al gregge. Il vero cibo è la carne di colui che ha dato la vita per i fratelli. Parola e pane sono il cibo da garantire: quella Parola che si è fatta pane, quel Pane che la Parola stessa dà.

«Agnelli» richiama l'«agnello di Dio» (1,29.36): i discepoli di Gesù sono identificati con lui. Qui si parla di «agnelli», piccoli, e poi di pecore, grandi. I due termi-ni contrapposti indicano la totalità, che coniuga insieme distinzione e uguaglianza. Pietro è chiamato ad essere pastore al seguito di Gesù, entrando per quella porta che è lui stesso (10,9). Come il nostro Pastore è l'Agnello che ha portato su di sé il peccato del mondo, così ogni pastore è una pecora che sa come il Pastore bello ha dato la vita per lei. Pietro è pastore sotto il segno del perdono, prima ricevuto e poi accordato. 

v. 16: gli dice ancora una seconda volta.
 Non basta una volta: la domanda di Gesù sarà ripetuta sempre un'altra volta. La coscienza del suo amore deve essere senza limite, come la nostra fragilità e capacità di oblio. Simone di Giovanni, mi ami? Gesù ripete la stessa domanda, tralasciando il «più di costoro». Pietro, nella sua esperienza di tradimento, è già sufficientemente guarito dalla pretesa di essere meglio degli altri. Però non è ancora guarito dalla sfiducia che gli impedisce di amare. Il più dell'amore è proporzionato al meno dell'or-goglio, ma anche al più della fiducia; altrimenti l'umiltà diventa maschera di pusillanimità invece che stimolo alla magnanimità (cf. il Magnificat). Le parole tra Gesù e Simone di Giovanni sono un dialogo di guarigione. Il vecchio Simone, tanto generoso e volenteroso quanto fragile e presuntuoso, viene alla luce come Pietro; diventa stabile come la Roccia da cui è tratto (cf. Is 51,1), fratello di colui che è la Pietra (cf.1Cor 10,4), scartata dai costruttori e diventata pietra angolare (cf. Mc 12,10; At 4,11). 
sì, Signore, tu sai che ti sono amico. La seconda risposta di Pietro è identica alla prima. Conferma la propria amicizia, fondata non su di sé, ma su di lui che sa ogni cosa. Gesù, oltre al tradimento di Giuda, sapeva anche del suo rinnegamento, prima ,che lui ne sospettasse la possibilità. La sua conoscenza divina è elemento comune alle tre risposte di Pietro. 

pascola le mie pecore. Gesù ribadisce la sua fiducia in lui. Rispetto al v. 15 c'è «pascola» invece di «pasci» e «pecore» invece di «agnelli». Pascolare, termine più ampio di pascere, indica l'azione del pastore che guida il gregge (cf. Sal 23). Gesù affida a Pietro piccoli e grandi, agnelli e pecore, perché provveda loro il cibo, guidandoli ai pascoli. Pietro è associato al servizio di Gesù, senza però sostituirsi a lui. Non gli dice che è pastore: unico è il Pastore, l'Agnello che ha dato la vita per tutti e a tutti. Pietro deve condurre il gregge a quel pascolo dove il Signore è pastore e pastura. Questo servizio è connesso alla sua esperienza dell'amore gratuito di colui che gli ha lavato i piedi. Gesù parla sempre di «miei» agnelli (v. 15) e di «mie» pecore (vv. 16.17). Agnelli e pecore sono sempre e solo del Figlio e del Padre, non di Pietro. Il gregge non appartiene a lui: non è il padrone, ma il servo della sua fede (cf. 1Pt 5,1-4). Il gregge è di Dio stesso, che comunica a tutti e a ciascuno la Gloria. Il servizio di Pietro è dare l'esempio (cf. 1Cor 11,1;1Tm 4,12) e conservare l'unità nella diversità. Infatti l'essere «uno» nell'amore è la testimonianza al mondo della Gloria (cf. 17,20-23).

v. 17: gli dice la terza volta.
 Questa terza volta è sottolineata nella sua diversità dalle altre e richiama il triplice rinnegamento (13,38; 18,17.25-27). 

Simone di Giovanni, mi sei amico? Gesù ora lo interroga su ciò che due volte Pietro ha affermato: è sicuro di essergli amico? Vuole fargli esplicitare che questa sicurezza c'è; ma non deriva dalla sua bravura, bensì dall'esperienza del triplice rinnegamento. Grazie a esso ha sperimentato il perdono di colui che lo conosce meglio di quanto lui conosca se stesso, perché lo ama più di se stesso. Solo allora è sicuro che nulla lo può ormai separare dall'amore di Dio. Non dal suo amore per Dio, ma da quello di Dio per lui in Cristo Gesù ( cf. Rm 8,32-39). La sua sicurezza non è più presunzione, perché è fondata sul «tu sai». 

si contristò Pietro perché gli disse la terza volta, ecc. Pietro si contrista al ricordo della sua infedeltà. Eppure proprio questa è il fondamento del suo «amare di più», come Gesù gli ha chiesto all'inizio. È nella sua infedeltà che sperimenta chi è il Signore, fedele e misericordioso. Pietro considera ancora la sua infedeltà come ombra, fonte di tristezza, non come luce e gioia del perdono. Per questo Gesù continua con lui il dialogo di guarigione. Il servizio di Pietro, che mantiene l'unità dei fratelli nella fedeltà del Signore, continuerà anche dopo di lui. Quest'unità sarà sempre garantita da un «di più» nell'amore, che scaturisce da un «di più» di perdono nella coscienza del proprio peccato. L'unità tra i fratelli non può fondarsi che sul perdono.

Signore, tu sai tutto.
 Pietro amplia la prima parte delle due risposte precedenti. Tu, Signore, sai tutto di me (cf. Sal 139); e io so che sei tu a dare la vita per me, non io per te. Tu sai che io ti rinnego e sai che, nella tua fedeltà a me, anch'io saprò riconoscerti e amarti.

tu conosci che ti sono amico.
 Tu sai che il mio esserti amico non è capacità mia, ma dono tuo, che mi hai promesso che capirò ciò che tu mi hai fatto (13,7) e poi ti seguirò (13,36b). 

pasci le mie pecore.
 Per la terza volta gli è confermata la fiducia. Quest'ultima risposta di Gesù sintetizza le altre due: dice «pasci» come la prima volta e «le mie pecore» come la seconda. Pietro, con e come il Pastore bello, pasce le sue pecore nell'amore, perché ci sia un solo gregge libero, un solo pastore (cf. 10,16b). Egli ha l'iniziativa nella missione e conserva l'unione del frutto abbondante, perché non si laceri l'essere «uno» dei salvati. Il ricordo della sua infedeltà e del suo peccato lo rende «sacramento» di unità nel perdono. Pietro ricorda a tutti l'amore del Pastore bello, che nessuno esclude. Questo amore per noi è il centro della nostra fede: «Abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi» (1Gv 4,16).

v. 18: amen, amen ti dico: quando eri più giovane, ecc.
 Gesù predice a Pietro che ora sarà in grado di seguirlo e andare dove lui stesso è andato (cf. 13,36). Il testo è un contrappunto giovane/vecchio, cingersi/essere cinto, andare/essere portato, volere/non volere. C'è una differenza tra il precedente Simone, che da giovane si cinge-va la veste credendo di andare dove voleva, e il nuovo Simone, che da vecchio sarà cinto della veste da un altro e sarà portato dove non vuole. E proprio quello il luogo dove prima voleva, ma non poteva andare (cf. 13,36): è lo stesso dove il suo Signore e Maestro è andato, ponendo la propria vita a servizio dei fratelli. Se Pietro voleva dare la vita per Gesù, Gesù ha dato la vita per lui. Lavandogli i piedi, gli ha dato la libertà di amare come è amato. Per questo «tenderà le mani» e sarà condotto a morire accanto a Gesù, come i due malfattori. Infatti, crocifis-so nel 64 d.C., stenderà le mani sul patibolo della croce. Eusebio dirà che fu crocifisso a testa in giù. Solo in questo capovolgimento si raddrizzerà. Allora si compirà il suo battesimo, iniziato nel suo buttarsi in mare cinto della veste (cf. v. 7). Crocifisso con Cristo (cf. Rm 6,6), deporrà definitivamente l'uomo vecchio e rivestirà l'uomo nuovo: diventerà come il Pastore bello che sa dare la vita (10,11). Così gli sarà veramente amico (15,13).

v. 19: questo disse significando con quale morte avrebbe glorificato Dio. È il commento del redattore: Gesù ha predetto il martirio del suo discepolo. Come era stato promesso, la Gloria che il Padre ha dato al Figlio, questi l'ha data ai discepoli (17,22). Ora anche per Pietro l'andarsene dal mondo non sarà più un morire, ma un glorificare Dio (cf. 11,4), manifestando in sé il suo amore (cf. 12,26-33). 

segui me.
 Come Filippo all'inizio (1,43), ora anche Pietro è chiamato dal Signore a seguirlo. Se prima non poteva (13,36), adesso può, perché nel perdono conosce il suo amore. Pietro non è il pastore da seguire, ma l'agnello che segue l'Agnello, fino al martirio. Con la sua testimonianza offrirà ai fratelli il cibo di cui lui stesso si è nutrito. Seguire Gesù è un'espressione che dice in sintesi tutta la vita cri-stiana: si segue chi si ama, per essere con lui e come lui. 




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