1 gennaio. Solennità della Beata Vergine Maria Madre di Dio. Approfondimenti.



Letture patristiche per la Solennità di Maria Madre di Dio

1 Gennaio. Tutte le omelie di Benedetto XVI per la Solennità di Maria Madre di Dio




IN QUESTO POST:


Maria, madre di Dio, visione d'insieme

Maria, Madre di Dio (Dottrina)

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO Basilica Vaticana Mercoledì, 1° gennaio 2014

GERUSALEMME, MADRE DI DIO Frédéric Manns


Da Maria puerpera a Maria adorante
Evoluzione della postura della Madre di Dio nelle immagini della Natività
Maria Bergamo








Maria, madre di Dio, visione d'insieme

Un grande mistero
In una casa modesta di Nazaret viene compiuta l'inaudita opera dell'Incarnazione.
Compimento della creazione : in Gesù, l'umanità partecipa alla vita divina, una vita di amore e di luce.
Grande perdono di Dio, l'Incarnazione, incredibile dono della presenza di Dio, è la nostra riabilitazione nel amore ...

Senza lo Spirito Santo, che è Dio, l'Incarnazione del Figlio di Dio non poteva aver luogo, Dio non poteva essere l'uomo senza perdere la sua divinità. Cristo si è incarnato di Maria e dello Spirito Santo. Il ruolo di Maria dipende dall'azione dello Spirito Santo. Il dogma "Maria Madre di Dio" è inseparabile dal mistero di "Maria e lo Spirito Santo."

Tale ineffabile mistero si gioca in un dialogo. Il Signore è con te, dice l'angelo a Maria ... E per un effetto divino del disegno divino e della sua volontà d'amore, lo sarà per sempre... E per Christo denterai la madre dell'umanità che Dio viene ragiungere per portarla con Lui nella vità eterna, nell'unità dell'amore dello Spirito Padre, Figlio e Santo.

Questo è il grande mistero della divina maternità ...

L'espressione Maria Madre di Dio si radica nella Santa Scrittura
Riteniamo tre brani :

- Sul figlio di Maria, san Paolo ci dice che è il Figlio di Dio, inviato da Dio per la nostra salvezza.(Ga 4,4-6), nato da donna, egli ha una umanità verace, debole e umile, ed è sottomesso alla legge del suo popolo.

- San Matteo (Mt 2,21-23) presenta il carattere divino del nascituro di Maria dalle espressioni "Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati" e "Emmanuele... Dio con noi".

- San Luca (Lc 1) presenta il carattere divino del nascituro di Maria quando suggerisce che Maria è come la tenda del convegno o l'arca di Alleanza, il luogo della presenza divina. L'espressione "la Madre del mio Signore" (Lc 1,43) ha anche un senso forte.

I primi concili
Riteniamo per il nostro tema, i concili di Costantinopoli, Efeso e Calcedonia.
Il fulcro dei primi concili è di affermare che in Cristo è Dio che ci visita, non è apparenza, è veramente Lui, che si è unito a noi, rimanendo Dio.

Il primo concilio di Costantinopoli, nel 381 , suona così : « Et Incarnatus est de Spiritu Santo et Maria Virgine » : l'Incarnazione avviene per opera dello Spirito Santo e di Maria Vergine.
Dobbiamo leggere ciò che viene prima e dopo tale frasi. Prima, ci sono articoli di fede sulla divinita di Gesù e la sua discesa da Dio. Dopo, si capisce lo scopo : "per noi uomini e per la nostra salvezza". Dunque si vede che Maria è legata non soltanto all'Incarnazione come tale ma anche al suo scopo.
E facile qui fare un legamo con ciò che dice l'angelo nel vangelo di Matteo : Gesù è concepito dallo Spirito santo, e viene per salvare il suo popolo dai suoi peccati.

Il concilio di Efeso nel 431 afferma che la Vergine è la Theotokos (madre di Dio), « non nel senso che la natura del Verbo e la sua divinità abbiano avuto dalla santa Vergine il principio della loro origine, ma che avendo tratto da lei quel sacro corpo perfezionato dall'anima intelligente, al quale il Verbo di Dio era unito secondo l'ipostasi, si dice nato secondo la carne. »

Il concilio di Calcedonia nel 451 professa un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, Unigenito, in due nature, senza confusione o mutazione, senza divisione o separazione fra queste. Dà alla dottrina mariana del concilio d'Efeso la sua veste dogmatica : il Figlio, «che prima dei secoli è generato dal Padre secondo la divinità, negli ultimi giorni, lo stesso, per noi e per la nostra salvezza, è generato da Maria Vergine Madre di Dio secondo l'umanità».

Vaticano II
Quindici secoli dopo, il concilio Vaticano II, nel più importante dei suoi documenti, cioè la costituzione dogmatica (Lumen Gentium capitolo VIII "Maria, la Vergine, la Madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa")  in una prospettiva più larga :

Nel mistero di Cristo, Maria svolge un ruolo durante tutto l'arco della sua vita ; è sempre più unita al Cristo Salvatore, da una unione cosciente e libera. La sua maternità è la più grande dignità e il massimo servizio.

La principale finalità del Vaticano II è stata quella di proclamare la dottrina sulla Chiesa e la sua missione. In questa prospettiva, Maria è figura ("typus") della Chiesa nella maternità verginale : anche la Chiesa genera Cristo nelle anime, e la maternità della Chiesa si svolge nella verginità e dallo Spirito Santo. Tale rapporto fra Maria e la Chiesa apre alla teologia una nuova possibilità di riflessione su Maria come madre nostra.

Così, il mistero di Maria Madre di Dio è legato al mistero di
- Maria e lo Spirito Santo,
- Maria e il mistero della Chiesa,
- Maria nostra Madre nell'ordine della grazia.






Maria, Madre di Dio (Dottrina)





OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica VaticanaMercoledì, 1° gennaio 2014


La prima Lettura ci ha riproposto l’antica preghiera di benedizione che Dio aveva suggerito a Mosè perché la insegnasse ad Aronne e ai suoi figli: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). È quanto mai significativo riascoltare queste parole di benedizione all’inizio di un nuovo anno: accompagneranno il nostro cammino per il tempo che si apre davanti a noi. Sono parole di forza, di coraggio, di speranza. Non una speranza illusoria, basata su fragili promesse umane; neppure una speranza ingenua che immagina migliore il futuro semplicemente perché è futuro. Questa speranza ha la sua ragione proprio nella benedizione di Dio, una benedizione che contiene l’augurio più grande, l’augurio della Chiesa ad ognuno di noi, pieno di tutta la protezione amorevole del Signore, del suo provvidente aiuto.
L’augurio contenuto in questa benedizione si è realizzato pienamente in una donna, Maria, in quanto destinata a diventare la Madre di Dio, e si è realizzato in lei prima che in ogni creatura.
Madre di Dio. Questo è il titolo principale ed essenziale della Madonna. Si tratta di una qualità, di un ruolo che la fede del popolo cristiano, nella sua tenera e genuina devozione per la mamma celeste, ha percepito da sempre.
Ricordiamo quel grande momento della storia della Chiesa antica che è stato il Concilio di Efeso, nel quale fu autorevolmente definita la divina maternità della Vergine. La verità sulla divina maternità di Maria trovò eco a Roma dove, poco dopo, fu costruita la Basilica di Santa Maria Maggiore, primo santuario mariano di Roma e dell’intero Occidente, nel quale si venera l’immagine della Madre di Dio - la Theotokos - con il titolo di Salus populi romani. Si racconta che gli abitanti di Efeso, durante il Concilio, si radunassero ai lati della porta della basilica dove si riunivano i Vescovi e gridassero: «Madre di Dio!». I fedeli, chiedendo di definire ufficialmente questo titolo della Madonna, dimostravano di riconoscerne la divina maternità. È l’atteggiamento spontaneo e sincero dei figli, che conoscono bene la loro Madre, perché la amano con immensa tenerezza. Ma è di più: è il sensus fidei del santo popolo fedele di Dio, che mai, nella sua unità, mai sbaglia.
Maria è da sempre presente nel cuore, nella devozione e soprattutto nel cammino di fede del popolo cristiano. «La Chiesa cammina nel tempo … e in questo cammino procede ricalcando l’itinerario compiuto dalla Vergine Maria» (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris Mater, 2). Il nostro itinerario di fede è uguale a quello di Maria, per questo la sentiamo particolarmente vicina a noi! Per quanto riguarda la fede, che è il cardine della vita cristiana, la Madre di Dio ha condiviso la nostra condizione, ha dovuto camminare sulle stesse strade frequentate da noi, a volte difficili e oscure, ha dovuto avanzare nel «pellegrinaggio della fede» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 58).
Il nostro cammino di fede è legato in modo indissolubile a Maria da quando Gesù, morente sulla croce, ce l’ha donata come Madre dicendo: «Ecco tua madre!» (Gv 19,27). Queste parole hanno il valore di un testamento e danno al mondo una Madre. Da quel momento la Madre di Dio è diventata anche Madre nostra! Nell’ora in cui la fede dei discepoli veniva incrinata da tante difficoltà e incertezze, Gesù li affidava a Colei che era stata la prima a credere, e la cui fede non sarebbe mai venuta meno. E la “donna” diventa Madre nostra nel momento in cui perde il Figlio divino. Il suo cuore ferito si dilata per fare posto a tutti gli uomini, buoni e cattivi, tutti, e li ama come li amava Gesù. La donna che alle nozze di Cana di Galilea aveva dato la sua cooperazione di fede per la manifestazione delle meraviglie di Dio nel mondo, al calvario tiene accesa la fiamma della fede nella risurrezione del Figlio, e la comunica con affetto materno agli altri. Maria diventa così sorgente di speranza e di gioia vera!
La Madre del Redentore ci precede e continuamente ci conferma nella fede, nella vocazione e nella missione. Con il suo esempio di umiltà e di disponibilità alla volontà di Dio ci aiuta a tradurre la nostra fede in un annuncio del Vangelo gioioso e senza frontiere. Così la nostra missione sarà feconda, perché è modellata sulla maternità di Maria. A Lei affidiamo il nostro itinerario di fede, i desideri del nostro cuore, le nostre necessità, i bisogni del mondo intero, specialmente la fame e la sete di giustizia e di pace e di Dio; e la invochiamo tutti insieme, e vi invito ad invocarla per tre volte, imitando quei fratelli di Efeso, dicendole “Madre di Dio”: Madre di Dio! Madre di Dio! Madre di Dio! Amen.





GERUSALEMME, MADRE DI DIO

Frédéric Manns

Nel dialogo inter religioso Maria ha poco spazio, bisogna ammetterlo. Se i musulmani rispettano la madre di Issa, non è sempre così da parte dei giudei.
La comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme, preoccupata del rispetto dei fratelli maggiori, ribadisce che è impossibile di tradurre in ebraico l’espressione Maria, madre di Dio, senza provocare la loro indignazione. Per non turbare nessuno ella propone di tradurre ’em immanouel o ’em Yeshouah Eloheynou.
Il concilio di Efeso, che ha donato a Maria il titolo di Theotokos, ha conosciuto le stesse difficoltà e le stesse reticenze. Le obiezioni non mancarono da parte di Nestorio. Nonostante tutto, la Chiesa ha affermato che Maria è la Theotokos o la Dei Genitrix.
E’ un dato di fatto che l’inculturazione del messaggio cristiano, è stata fatta nel mondo ellenistico. Ma, poiché è impossibile riscrivere la storia al rovescio, una riflessione preliminare deve ricordare il significato dell’espressione: Maria madre di Dio.
Il catechismo della Chiesa universale al paragrafo 466 così si esprime: " Il Verbo unendosi nella sua persona una carne animata da un’anima razionale è diventato uomo.
L’umanità di Gesù non ha altro soggetto che la persona divina del Figlio di Dio che l’ha assunta è fatta sua sin dal concepimento. Per questo il concilio di Efeso ha proclamato nel 431 che Maria è diventata a pieno titolo Madre di Dio per mezzo del concepimento umano del Figlio di Dio nel suo seno: "Madre di Dio non già perché il Verbo di Dio ha preso da lei la sua natura divina, ma perchè è da lei che prende il corpo sacralizzato dotato di un anima razionale unita al quale nella sua persona il Verbo è detto nascere secondo la carne".
Più avanti, al paragrafo 495, il catechismo continua: " Maria chiamata nei Vangeli madre di Gesù è chiamata anche sotto l’ispirazione dello Spirito la Madre del mio Signore (Lc 1,43).
Di fatto, colui che Maria ha concepito come uomo per l’azione dello Spirito e che è diventato suo Figlio secondo la carne è il Figlio eterno del Padre, la seconda persona della Trinità. La Chiesa riconosce che Maria è la Theotokos".
La traduzione ebraica di Lc 1,43: ’em ’adony potrebbe servire da modello ad una versione moderna dell’espressione Maria, madre di Dio.
La versione siriaca del Vangelo di Luca ha così tradotto: ’emeh de mary, Mar essendo il titolo riservato a Dio.
L’espressione Maria "Madre di Dio" non dovrebbe turbare i fratelli maggiori, perchè è un titolo assegnato a Gerusalemme. Sofonia 3,5 diceva che Dio abita nel seno di Gerusalemme (beqirbah).
Per il fatto che la città contiene la presenza simbolica di Dio, essa è chiamata Madre di Dio. Ciò che risulta dal Targum del Cantico del Cantici III, 11 " Uscite figlie di Sion, guardate il re Salomone con il diadema con il quale sua madre l’ha coronato, il giorno delle sue nozze, il giorno della gioia del suo cuore."
Quando il re Salomone venne per celebrare la dedicazione del santuario, un araldo gridò ad alta voce dicendo così: Uscite abitanti delle regioni della terra d’Israele e popolo di Sion. E guardate il re Salomone con il diadema e la corona con il quale il popolo della casa d’Israele lo incoronò il giorno della dedicazione del Tempio. E rallegratevi per la festa dei Tabernacoli per 14 giorni.
In questo commentario le figlie di Sion sono gli abitanti della terra d’Israele e il popolo di Gerusalemme. Il re Salomone è Dio. Il nome Salomone indica direttamente Dio in tutto il Targum. La madre del Re è il popolo della casa d’Israele. La corona che il popolo ha posato su Dio è il Tempio.
Israele è madre di Dio fino a quando contiene la presenza di Dio nel Tempio. Il midrash Sifra Lev 9,221 attribuisce la stessa interpretazione alla tenda del convegno nel deserto dopo la teofania del Sinai. La presenza di Dio in mezzo al suo popolo fa di quest’ultimo la madre di Dio.
L’espressione" Maria madre di Dio", in effetti, non turba i fratelli maggiori giudei più che l’affermazione dell’Incarnazione di Dio.
Questo mistero è rifiutato allo stesso modo in nome della trascendenza di Dio. Significa che i cristiani hanno rinunciato al monoteismo stretto per tornare alla mitologia greca?. L’accusa è frequente anche nei centri aperti al dialogo inter religioso. La fede al Cristo nella teologia cristiana si rende piena in Maria, madre di Dio secondo l’umanità, di una luce nuova. Paradossalmente Maria non cessa di svelare il viso umano di Dio. Sergio Boulgakov afferma che il segreto che Maria svela è quello della maternità di Dio.
L’amore di Dio ha un viso femminile, numerosi teologi lo hanno ricordato recentemente. Maria svela ancora un altro segreto: quello della Chiesa: "Non c’è che una sola Vergine Madre e mi piace chiamarla Chiesa", scriveva Clemente di Alessandria. " La Madre di Dio è la Chiesa che prega", afferma dal proprio lato S. Boulgakov.
Esiste dunque un legame stretto e profondo tra la presenza di Maria e l’azione della Chiesa, tra la purificazione dell’anima in Maria e quella nella Chiesa. L’autore di questa purificazione è lo Spirito di Dio. Maria è la Chiesa sono le due manifestazioni visibili di Colui che resta invisibile. Lo Spirito è la Vergine e la Vergine è la Chiesa, secondo l’affermazione di S. Ambrogio.
Le icone di Maria dai titoli più svariati non fanno altro che sottolineare gli aspetti diversi della Chiesa Vergine e madre. Maria è ugualmente all’origine della memoria della Chiesa. Ella meditava tutte i ricordi della Chiesa delle origini nel suo cuore. Ella è l’archetipo e la personificazione della Chiesa, corpo di Cristo e Tempio dello Spirito.
Infine, Maria, accogliendo Dio in lei al momento dell’Annunciazione, dimostra che la natura umana può essere completamente trasfigurata da Dio. Ella è l’immagine dell’anima fecondata dallo Spirito che genera il Signore .
La Pentecoste, dove Maria è presente come madre della Chiesa, non è altro che la missione della Chiesa mirante a umanizzare l’umanità tentata dalla bestialità. Stranamente Maria di Nazareth, cantata dal mondo intero e dipinta da innumerevoli artisti, non ha trovato posto nell’enciclopedia giudaica, Un’omissione sorprendente, almeno per la donna giudea più celebre del mondo intero.
"I grandi mistici e i grandi atei s’incontrano", diceva Dostoïevski. E perché ci parlano di un Dio più grande del nostro cuore, delle nostre rappresentazioni mentali e le nostre ricerche spirituali.
Questo Dio si rivela Altro e, affinché Egli viva, le nostre raffigurazioni rassicuranti di Dio e di Maria devono scomparire.





La Madre di Dio nella spiritualità della Chiesa Ortodossa: Ponte verso il mistero della salvezza


La figura della Theotòkos detiene un posto speciale nella coscienza dei fedeli della Chiesa Ortodossa. E’ la santa dei santi, la madre di Cristo e il principio della salvezza del genere umano. Questa sua eminente posizione è stata sottolineata particolarmente nella tradizione ecclesiastica, che ne ha inneggiato le virtù ed i carismi, glorificandola con elogi. La Chiesa Ortodossa, a causa del ruolo della Panaghìa nel mistero della divina incarnazione, l’ha circondata di profondo rispetto e di gran devozione, proponendola quale modello di santità, di perfezione e di divinizzazione dell’uomo. La figura della Madre di Dio, nel suo splendore eterno e intramontabile è un perenne invito al ritorno ai valori morali e agli obiettivi spirituali. La vergine Maria incarna nella tradizione ortodossa il vero prototipo della morale e della virtù.
    La salvezza del mondo è la più alta aspettativa umana e in essa è riposta tutta l’opera dell’economia divina. La caduta allontanò l’uomo da Dio, conducendolo nella condizione del peccato, caratterizzata dalla corruzione della natura e dalla morte. Era impossibile per l’uomo decaduto salvarsi senza la rivelazione di Dio.
La Panaghìa con la nascita di Cristo diventa il punto di partenza della salvezza del mondo. Come dunque viene compreso il ruolo della Madre di Dio nell’opera salvifica di Cristo? La posizione della Chiesa Ortodossa e della sua teologia è chiara: la Panaghìa è la Theotòkos, la Genitrice di Dio, colei che ha generato il salvatore del mondo. Questa fede è dimostrata con energia nella tradizione liturgica della nostra Chiesa. La Panaghìa viene iconografata, inneggiata e venerata insieme con il Cristo. Così, dunque, in tutte le arti che vengono utilizzate per esprimere l’insegnamento della Chiesa Ortodossa, traspare la verità della figura della Madre di Dio, sempre in relazione con il Figlio Suo.
L’umanità precedente la venuta di Cristo recava le conseguenze della maledizione dei progenitori, procurata da uno solo, Adamo, l’antenato di tutto il genere umano. La stirpe intera era afflitta dalle conseguenze di quella caduta che annichiliva e amareggiava tutta la natura. Giungendo però Cristo, il liberatore della natura, la maledizione venne trasformata in benedizione, avendo assunto la natura umana dalla purissima Vergine Maria. Per questa sua partecipazione e collaborazione viene riconosciuto giustamente onore e rispetto alla figura della Panaghìa. La partecipazione in particolare ha un significato assai profondo. In primo luogo significa adesione libera e volontaria alla volontà divina, spontaneo adeguamento ad essa e ancor di più, offerta pura e immacolata di tutto il suo essere in vista della realizzazione della salvezza del mondo intero.
Simboli e figure veterotestamentarie vengono riferite al ruolo della Panaghìa in riferimento alla salvezza e risurrezione del mondo. La Panaghìa Maria è la scala che fa salire gli uomini verso Dio e li guida dalla terra al cielo. E’ la porta da cui è uscito il salvatore.
La Vergine Maria in quanto persona umana, essa stessa diviene, mediante l’incarnazione, collaboratrice della salvezza del genere umano. Proprio dal V secolo la tradizione della Chiesa circa il ruolo e la persona della Madre di Dio diviene oggetto di grande riflessione e studio da parte dei padri della Chiesa anche all’interno delle discussioni sinodali che si svolgono durante la celebrazione dei 7 grandi Concili Ecumenici: sono secoli difficili e duri per la fede, sorgono figure di eresiarchi che tentano di ridimensionare e ridiscutere quanto la tradizione cristiana ha trasmesso nel culto e nella fede alle varie generazioni di credenti, attraverso persecuzioni e martirio. L’insieme stesso della Chiesa riesce a conservare il giusto rispetto e la degna venerazione che la Panaghìa merita. Questa venerazione si sviluppa in differenti modi: le feste a lei dedicate, con le solenni ufficiature, arricchite di esuberanti componimenti innografici; vengono edificate Chiese e cappelle a Lei dedicate, l’architettura e la poesia liturgica collaborano nell’esprimere la purezza della fede e della teologia divina. Ne viene sottolineata l’efficacia della mediazione e il particolare potere della sua intercessione presso Dio in relazione al raggiungimento della perfezione spirituale e alla salvezza individuale e cosmica. Tutto  ciò si spiega con il riconoscimento dell’eccelsa santità della Panaghìa e del purissimo e decisivo ruolo che ricopre nell’opera salvifica di Cristo. Ma anche la sua memoria, come pure l’imitazione della sua vita, delle sue virtù e delle sue attitudini spirituali vengono considerate un grande aiuto al compimento della salvezza degli uomini e questo proprio perché essa è il più perfetto prototipo umano della santità e imitarla significa imitare Cristo.
Gli scrittori ecclesiastici, nella totalità, esaltano le caratteristiche della personalità della Madre di Dio, che in qualche modo attirarono il divino assenso all’incarnazione di Dio. Secondo san Giovanni Damasceno si tratta in primo luogo del suo intelletto spirituale, sempre e soltanto rivolto verso Dio e indirizzato da Lui; il suo desiderio, unicamente sospinto dall’amore e dall’affetto per il Creatore, insieme con l’ira rivolta contro soltanto il peccato  e ciò che lo provoca. La condotta di vita mantenuta al di sopra della condizione naturale, dal momento che non viveva per se stessa, ma per Dio e per essere utile alla salvezza universale, in cui si inquadra anche la prospettiva della divinizzazione per grazia dell’uomo.
Con lo stesso spirito si esprime anche Nicola Kavàsilas, quando approfondisce un particolare aspetto, secondo cui la Panaghìa, nell’avvenimento dell’incarnazione divina, non ha partecipato solamente come ricettacolo, fornendo materia inerte, ma ha realizzato essa stessa quelle condizioni che hanno attratto Dio sulla terra attraverso il concepimento e il parto verginali. Essa stessa infatti ha preparato le condizioni preliminari necessarie all’accoglienza del Teantropo attraverso il suo perfezionamento spirituale personale. La sua fu una esistenza assolutamente virtuosa, priva di qualsiasi macchia o malizia. Mai cessò di esercitarsi nella virtù, respingendo ogni principio di tentazione esercitato dalla seduzione del male. Il suo intelletto spirituale rimaneva costantemente rivolto verso l’alto ed ogni desiderio della sua anima era riposto nell’amore di Dio sempre custodita e guidata da questo amore divino, al quale si congiungeva con tutta l’anima. Con tutte queste caratteristiche costruì il compimento della sua bellezza, grazie alle quali ha potuto far risplendere una nuova bellezza nella natura umana.
L’immagine più efficace della sublimità della condizione della Madre di Dio è fornita da san Gregorio Palamàs attraverso una metafora comparativa tra le proprietà umane e quelle divine. E’ come se Dio avesse voluto, scrive il santo, abbellire una icona di ogni ornamento visibile ed invisibile attraverso un miscuglio di grazie divine ed umane, di straordinaria bellezza per adornare entrambi i mondi, quello sensibile e quello spirituale. Quando Dio completò, infine, questa icona, vide che era assolutamente corrispondente e somigliante all’immagine della Madre della luce.
Negli inni della nostra Chiesa emerge la necessità del rafforzamento etico dell’animo umano, appesantito e indebolito dal peccato e dalla trascuratezza. Per questo l’anima che rivolge la sua preghiera alla Panaghìa, domanda quel rafforzamento necessario per opporsi al maligno. La sovreminente santità della figura della Theotòkos domina l’anima e il pensiero di Romano il Melode, come l’animo dell’umanità stessa. La Panaghìa viene inneggiata come pietra miliare e spartiacque di tutta la storia, avendo inaugurato un periodo che riceve senso e significato proprio dalla sua santità.
La Panaghìa, in quanto mediatrice, guida l’uomo verso Cristo e intercede per la sua salvezza. Nell’iconografia e nell’innografia che danno forma alle liturgie della Chiesa, nei poemi liturgici, come i canoni e l’Inno Akàthistos nei Theotokària, che sono le raccolte di poemi liturgici dedicati alla Theotòkos, nelle suppliche sacerdotali e diaconali, come poi in ogni tipo di componimento ad uso liturgico, la Theotòkos viene invocata per i fedeli come Madre di tutti. Si comprende ancor più chiaramente tutto questo dalle solennità a Lei particolarmente dedicate, in cui sono specificati tutti i temi cui abbiamo brevemente accennato, soprattutto la protezione e il rifugio che essa offre a tutti i cristiani.
La Panaghìa si trova molto vicino a Dio. Da questo sua prerogativa deriva anche la particolare parrisìa, cioè la confidenza e la franchezza con cui può rivolgersi a Lui, in favore del genere umano e di ciascun uomo, sempre ascoltata ed esaudita. Quando i fedeli rivolgono suppliche e preghiere a lei, come anche ai santi, questo non vuol dire che trascurano il Cristo salvatore: è Lui in definitiva a salvare il genere umano. Così cantiamo all’inizio della Divina Liturgia: Per le preghiere della Madre di Dio, Salvatore, salvaci.
In un antico inno di supplica risalente all’ottavo secolo, che i più antichi codici liturgici attribuiscono ora al monaco Teostiricto, ora ad un non precisato Teofane, il Canone della Paràclisi, che con l’Inno Akàthistos è il testo più diffuso nella devozione popolare ortodossa, ci si rivolge alla Panaghìa con queste parole: Salva dai pericoli i tuoi servi, Madre di Dio, poiché dopo Dio è in te che tutti ci rifugiamo, inespugnabile baluardo e protezione. Questi concetti servono opportunamente a chiarire qual è il sentimento teologicamente corretto che l’ortodossia propone non come un arricchimento facoltativo della spiritualità individuale, ma come un elemento costitutivo della fede e del dogma cristiano, senza il quale la fede in Dio è gravemente mutila e di scarsa efficacia in vista della salvezza dell’anima e dell’umanità intera. 
La salvezza e la speranza della risurrezione provengono dallo stesso unico Dio vivente. La possibilità della salvezza, comunque, è messa a disposizione agli uomini attraverso la Madre di Dio, la quale, fornendo il prototipo completo e perfetto della vita di santità, è in grado di guidare gli uomini verso la virtù e la conversione. Questa profonda e spontanea attenzione del popolo ortodosso verso la figura della Madre di Dio nei termini che abbiamo descritto trae origine dall’esperienza religiosa dei primi cristiani. La Madre di Dio era stata sempre percepita come consolatrice degli afflitti e pronto soccorso per tutti quelli che la supplicano. Essa stessa si avvicina agli uomini, prova compassione per loro e desidera la salvezza di tutto quanto il mondo, con il suo abbraccio riunisce ognuno a Dio salvatore, sempre pronta a intervenire come mediatrice ben accolta con le sue intercessioni sempre esaudite presso lo stesso Creatore e Salvatore del genere umano da Lei generato. Con il suo intervento le molteplici situazioni umane complicate e appesantite dall’egoismo e dal peccato, vengono semplificate e risolte, i mali e i dolori si affievoliscono e tutto diventa sopportabile attraverso la pura e solida consolazione interiore che la sua presenza e il Suo intervento garantiscono.
E’ concessa dunque agli uomini una potente protezione nella figura della Panaghìa con le sua caratteristiche e prerogative: il male che assale l’uomo può essere arrestato, contenuto, arginato, ridimensionato, guarito. Essa sorveglia dall’alto compassionevole e sollecita, quale invincibile stratega, secondo le efficaci e realistiche parole dell’Inno Akàthistos, il gregge che è esposto ad assalti visibili ed invisibili da parte dei nemici e soprattutto da parte dell’antico e malvagio nemico e tiranno del genere umano, secondo quanto scrive san Filoteo Kokkinos. La mediazione della Madre di Dio è quel mezzo, che non solo da lustro al genere umano, ma soprattutto lo rafforza, avendo la forza di allontanarlo e preservarlo dal dominio dei mali interiori ed esteriori, dalle cattive abitudini e dalle loro cause. I fedeli supplicano la Theotòkos affinché guarisca le passioni delle loro anime e diradi gradualmente la nebbia della percezione carnale, questa coltre terrosa e pesante che grava sugli occhi dello spirito. 
Spesso infatti la svogliatezza e l’ignavia tipica della natura umana e la greve materialità e carnalità del pensiero rendono l’uomo indolente verso la virtù, la quale richiede sforzo continuo e costante. Il perseguimento della virtù è impresa ardua ed esposta a numerosi intralci e impedimenti: Tali e tante sono le tribolazioni, le preoccupazioni della vita e le tentazioni che circondano da ogni parte il credente, a tal punto da render necessaria e indispensabile la potente protezione della Panaghìa, sempre pronta a soccorrere e ad intervenire in favore di quanti la supplicano.
San Giovanni Damasceno sostiene che l’esistenza umana sarebbe vuota e persino disumana per i credenti se non avessero la Madre di Dio con cui conversare e a cui domandare protezione e consolazione. La Madre di Dio, grazie alla sua vicinanza con Dio e alla sua partecipazione alla condizione della natura umana, come qualsiasi altro essere umano, diviene il chirografo, il documento, l’attestato scritto di correzione mediante il quale la creatura è riconciliata con il Creatore. 
La particolare posizione della Panaghìa nella vita religiosa dei fedeli  ortodossi riveste le stesse caratteristiche che la sua persona e il suo ruolo nelle vicende storiche della salvezza hanno espresso. La pietà personale diffusa nel popolo credente ha inneggiato le sue virtù e la sua santità dedicandole attributi e appellativi che potevano esprimerne e tratteggiarne le qualità interiori. La grandezza della sua figura viene percepita molto intensamente nelle anime religiose come la grande Madre, protezione e soccorso nei bisogni spirituali, ma anche nelle necessità e nelle lotte quotidiane. Nell’iconografia mariana ortodossa contemporanea, depositaria e continuatrice dell’arte raffigurativa cristiana tradizionale antica, come ben testimoniato anche nell’arte cristiana occidentale delle origini, la Madre di Dio è rappresentata, com’è noto, con il bambino Gesù fra le braccia: è questa l’immagine che la pietà popolare cristiana ha sempre conosciuto dalle origini, dalla Mesopotamia alla penisola Iberica, dall’Etiopia alla Georgia, dall’Armenia all’Irlanda; questa immagine, questo tipo di icona ha ispirato nel popolo ortodosso di tutti i luoghi e di tutte le epoche, le più genuine e liriche espressioni di amore e fiducia. Nella tradizione locale dell’isola di Rodi, ad esempio, la Madre di Dio è stata celebrata solennemente dedicandole innumerevoli chiese e monasteri con titoli e dedicazioni che assomigliano molto nel concetto e nell’immagine alle espressioni che spesso riscontriamo anche in occidente, come la Panaghìa delle Grazie, del Patrocinio, la Regina dell’universo, oppure con espressioni che ricordano un particolare toponimo o avvenimento, come la Panaghìa del castello, del deserto o dell’apparizione.
Molti padri della Chiesa dichiarano di non avere a disposizione, né il coraggio, né le parole necessarie per poter descrivere o elogiare l’eccellenza e l’altezza della santità della Theotòkos. Per poter parlare di Lei in modo adeguato, è necessario possedere molta purezza nell’anima e nel corpo; siccome è piuttosto difficile con le proprie forze raggiungere una condizione del genere, è proprio a Lei che bisogna chiedere la liberazione e il distacco del cuore dalle passioni carnali e dai desideri materiali. Solo chi si innalza verso una purezza simile alla Sua sarà in grado di celebrarne degnamente la santità.

LE FESTE MARIANE
Ogni giorno ed ogni ora la nostra santa Chiesa offre inni e lodi alla santissima Theotòkos. Non esiste una sola ufficiatura o Sacramento della nostra Chiesa, che non preveda ad un certo punto inni e dossologie particolari a Lei rivolte.
    La santissima Theotòkos in verità non ha affatto bisogno delle nostre lodi. Perché allora Le viene dedicato una parte del culto quotidiano e anche dei giorni speciali in cui viene solennemente celebrata? Innanzi tutto è un esperienza reale il beneficio che si ricava in questo esercizio: anche soltanto sostare davanti ad una sua icona ortodossa fa discendere nell’animo un certo indescrivibile splendore, mentre le affidiamo i segreti e gli affanni del cuore insieme con tutte le difficoltà e i problemi quotidiani che il vivere e mantenere una famiglia o l’avere comunque delle responsabilità comporta. L’intelletto spirituale, le profondità del cuore, il centro dell’anima vengono liberati dagli affanni e dalle preoccupazioni materiali ed innalzate verso le cose celesti. Nella liturgia dei sacramenti e soprattutto nella Liturgia eucaristica, che noi ortodossi denominiamo Divina Liturgia, è presente la grazia divina, che è la grazia del figlio di Lei. Si tratta in definitiva di vivere, sperimentare personalmente e tutti insieme, comunitariamente con tutte le forze e le energie dell’anima questa realtà cosmica e salvifica. Quando l’anima, lo spirito e il cuore vengono ricolmati di questa realtà increata, la misericordia e la grazia di Dio onnipotente e compassionevole discendono abbondanti.
    Per questa ragione la nostra Chiesa ha individuato alcuni avvenimenti storici della vita della Panaghìa perché vengano festeggiati ogni anno in date fisse. Si tratta appunto delle feste mariane, che ora descriviamo brevemente.
    Il Concepimento (9 dicembre) e la Nascita (8 settembre) della Theotòkos.
    Il Concepimento avuto da s. Anna è descritto nel Sinassario della festa, che attinge dai Vangeli apocrifi, soprattutto dal cosiddetto Proto-Vangelo di Giacomo: si narra come il  Signore inviò un angelo ai giusti Gioacchino ed Anna, per annunziar loro che la sterilità di Anna era finita: essa avrebbe concepito e dato alla luce in tarda età e in modo completamente naturale, come avvenuto a Sara, la moglie del patriarca Abramo. La creatura che stava arrivando sarebbe divenuta Madre di Dio mediante un concepimento ed un parto al di sopra delle leggi di natura.
    Concepimento e nascita della Madre di Dio sono in realtà il frutto della temperanza e della virtù, oltre che delle preghiere dei santi progenitori e nonni di Cristo Dio, Gioacchino ed Anna. E’ la loro condotta di vita virtuosa ad attrarre lo sguardo e la predilezione di Dio, che li rende genitori della Madre di Dio e progenitori di Dio. 
    Con la Nascita della Theotòkos ha inizio la salvezza della stirpe umana e di tutto l’universo. In quello stesso giorno fu stabilita sulla terra quella scala vista nel sogno profetico dal patriarca Giacobbe: la scala che congiunge la terra e il cielo, da cui discese il Signore Gesù per congiungersi a noi e condurci fino alla destra del Padre, sul trono della gloria. La nascita della Panaghìa è l’inizio del ritorno al Paradiso. Non appena appare nel mondo la Theotòkos, tutto il creato esulta e festeggia.
L’ingresso nel Santo dei Santi (21 novembre).
    I progenitori di Dio Gioacchino e Anna, ricevuta la Panaghìa in dono da parte di Dio, promettono di restituirla al Signore, consacrando a Lui la creatura prodigiosamente ottenuta contro ogni ragionevole speranza. All’età di tre anni la fanciulla è condotta dai genitori al tempio di Gerusalemme e da loro affidata al sommo sacerdote. Nel Tempio la Vergine trascorre dodici anni, vivendo come in Paradiso, a faccia a faccia con Dio stesso, in un tipo di vita simile a quello degli angeli, completamente ed esclusivamente dedicandosi al servizio di Dio, con il quale la familiarità si accresce a tal punto da non esser nemmeno più nutrita da cibo materiale. Questa nuova esistenza prepara la strada che dovrà percorrere non solo lei individualmente, ma tutta l’umanità che vorrà ricongiungersi col cielo. 
Solleviamo il nostro intelletto spirituale dal turbamento del mondo e sospingiamolo verso i cieli eccelsi, nel Santo dei Santi in cui ora dimora la Theotòkos (San Gregorio il Teologo, detto anche il Nazianzeno).
L’Annunciazione della Theotòkos (25 marzo).
    La Panaghìa dopo la sua permanenza nel Tempio, visse a Nazareth nel periodo del suo fidanzamento a Giuseppe, futuro sposo. Mentre si trovava là, riceve la visita dell’arcangelo Gabriele, inviato da Dio per annunziarle e spiegarle l’imminente concepimento e nascita del Figlio di Dio nel suo purissimo grembo. 
    Fu sufficiente dunque la virtù di un’unica anima ad arrestare il male e la malvagità di tutta l’umanità in tutte le epoche. L’ombra dello Spirito Santo si stende su di Lei, non appena ha espresso il suo libero assenso con le parole: Ecco la serva del Signore, avvenga in me secondo la tua parola: in quell’istante avviene il concepimento secondo la carne nella natura umana del Creatore dell’universo. 
Viene plasmato da verbo materno il Verbo del Padre e viene creato con voce di creatura il Creatore. 
La Sinassi della Santissima Madre di Dio (26 dicembre).
    Il giorno immediatamente successivo al Natale di Cristo, cioè il 26 dicembre, viene venerata la persona che è stata il laboratorio dell’unione delle due nature (umana e divina) del Signore. Diventando madre del Creatore la Panaghìa è diventata veramente Theotòkos (Madre di Dio) e regina di tutte le creature.
L’ incontro del Signore (2 febbraio)
E’ una delle più antiche celebrazioni religiose. È il giorno della purificazione della Panaghìa durante il suo puerperio (Luca 2,12), il giorno della presentazione del Signore Gesù Cristo come bimbo al tempio e l’accoglienza da parte del vecchio Simeone, quaranta giorni dopo la nascita. Anche se la Panaghìa non era tenuta ad osservare la legge mosaica, avendo concepito in modo soprannaturale, rispettò comunque la legge mosaica. Questo comportamento dovrebbe fare da modello per tutti noi nel seguire i nostri doveri religiosi (Santa Confessione, Santa Comunione ecc.) tramite i quali ci purifichiamo e ci santifichiamo.
L’inno divino che ha cantato Simeone al bambino Gesù è il cantico dell’Antico Testamento di fronte al Nuovo Testamento: il profeta incontra l’ispiratore e l’oggetto della profezia stessa, il liberatore e salvatore del mondo, l’unico vero Dio, venuto ad illuminare tutti i popoli con la sua manifestazione. La Madre del Verbo creatore incarnato, regge fra le sue braccia materne l’Onnipotente,  Colui che fa tremare la terra ed è inneggiato e lodato dagli angeli e venerato dagli arcangeli.
Questo giorno celebra anche l’offerta spontanea che la madre vergine compie nel tempio: è l’offerta e la consacrazione legale del primogenito che si compie, realizzando tutte le consacrazioni di primogeniti che venivano fatte nel tempio dall’epoca di Mosè in poi. 
La realizzazione psicologica, l’equilibrio, la salvezza, la santificazione, il futuro eterno della donna dipendono dalla sua calorosa corrispondenza alla sua missione di essere madre come ha comandato Dio senza limiti razionalistici e vincoli egoistici. Proprio quello che ha fatto la nostra Panaghìa.
La Dormizione della Panaghìa (15 agosto)
e la conclusione della celebrazione nove giorni dopo (23 agosto)
Il ciclo delle celebrazioni dedicate alla Panaghìa si conclude con la Dormizione che celebriamo il 15 agosto. L’inno principale del giorno si esprime in questo modo:
    Nel partorire hai conservato la verginità, con la tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio. Sei passata alla vita, tu che sei madre della vita e che con la tua intercessione riscatti dalla morte le anime nostre.
San Giovanni Damasceno presenta la Panaghìa come una persona che non solo accetta la morte, ma si affretta ad incontrare l’Unigenito, perciò lo prega di accettare tra le sue braccia la sua anima divina che  si separa dal suo corpo che ha cresciuto Dio.
Dopo la Dormizione la Panaghìa, avendo nel cielo il suo regno appropriato, è stata innalzata alla destra del Re Gesù. Secondo la tradizione della Chiesa, quando è stata aperta la sua tomba per uno degli apostoli che non era riuscito ad essere presente il giorno della sepoltura, non si trovò il suo puro e immacolato corpo, ma solo la sua veste.
Come, dopo la nascita, Cristo ha preservato la verginità della Panaghìa, così ha voluto venerare il suo corpo rendendolo immortale e trasferendolo in eternità prima della resurrezione comune (P.G. 96,741 B,728 C).
Di solito la conclusione delle celebrazioni del Signore e della Panaghìa avevano luogo l’ottavo giorno dopo la celebrazione principale (eccetto Pasqua). La celebrazione della Dormizione della Panaghìa si conclude il nono giorno, secondo  il rito della Chiesa antica per le commemorazioni funebri, che si tengono appunto il nono giorno dopo la morte del defunto.
Secondo il typikòn costantinopolitano si celebrano ancora due solennità della Madre di Dio, collegate agli avvenimenti appena ricordati: il 2 luglio La deposizione della Santa Veste a Vlacherne, risalente ai tempi di Leone il Grande e il 31 agosto la Deposizione della Santa Cintura, giorno in cui si ricorda anche la guarigione di Zoì, moglie di Leone il Saggio, ottenuta dalla intercessione della Panaghìa. 
Il primo ottobre il calendario ortodosso universale riporta la celebrazione della Santa Protezione; in tempi recenti il Santo Sinodo della Chiesa di Grecia ha spostato al 28 ottobre questa celebrazione collegandola ad una festa civile. Anche questa celebrazione ebbe inizio ai tempi di Leone VI il Saggio (886-911) in seguito ad una famosa apparizione all’interno di una chiesa della Panaghìa nell’atto di ricoprire tutto il popolo con il suo manto.
Ancora legata a Costantinopoli  è l’inaugurazione del Tempio della Fonte Vivificante, ricordata anch’essa nel nostro calendario universale il venerdì dopo Pasqua e collegata a suggestivi ricordi e leggende popolari, ben tramandati dai profughi che negli ultimi 50 anni hanno abbandonato, per motivi che potete immaginare quella città che hanno voluto rinominare Istanbul.
Esistono più di 300 designazioni della Panaghìa, come Mirtidiotissa, Glikofilousa, Portaitissa, Paramithia, Panaghìa di Soumelà, di Tinos, di Paros… Sfortunatamente spesso l’entusiasmo popolare trascura il consiglio dato da San Gregorio Teologo di celebrare non in modo sfarzoso o mondano, ma spirituale, senza cercare la soddisfazione dei nostri desideri, ma seguendo quello che piace a Dio, col rischio di aggravare le nostre malattie spirituali, anziché raggiungere la guarigione e la rigenerazione dello spirito: non corone e danze, ma la parola e la legge di Dio. 
APPELLATIVI DELLA PANAGHÌA
1. Theotòkos
Quando l’angelo disse a Mariam che avrebbe partorito per virtù dello Spirito Santo, allo scopo di dimostrare l’onnipotenza di Dio, le rivelò la gravidanza di una sua parente, l’infeconda e vecchia Elisabetta (Luca 1, 34-38). Mariam andò subito in Giudea a congratularsi con lei ed aiutarla. Elisabetta, udendo il suo saluto, percepì il bimbo Giovanni sussultare in grembo e piena di Spirito Santo rispondeva riferendosi alle due gravidanze in questo modo: 
Benedetta tu fra tutte e donne e benedetto il frutto del tuo ventre. Ma come è successo a me questa cosa? Venire da me la madre del mio Signore? Perché appena mi hai salutato, ho sentito il bimbo esultare con esultanza. Beata colei che ha creduto che si sarebbe realizzato tutto quello che le era stato detto dal Signore (Luca 1,42-45).
E’ lo Spirito Santo a porre in bocca ad Elisabetta le espressioni madre del mio Signore e madre del mio Signore, cioè Theotòkos. 
La nostra Chiesa al Terzo Concilio Ecumenico ha difeso questo appellativo di Mariam, per esprimere la sua convinzione che Gesù Cristo era davvero Teantropo. Le due nature, umana e divina si erano unite in Cristo. La salvezza dell’umanità iniziò nel momento dell’Annunciazione, quando Dio unì la sua natura divina con quella umana. A Natale, Mariam non ha partorito un semplice uomo, ma un Teantropo. Proprio perciò la chiamiamo Theotòkos. Questa salvezza si è compiuta con la passione e la resurrezione della natura umana. La passione ha avuto un gran valore perché la natura umana era unita inconfondibilmente e indivisibilmente con quella divina (Quarto Concilio Ecumenico).
2. Panaghìa
Santo ha come possibili sinonimi termini quali devoto, puro, altruista, disposto a sacrificarsi per la sua fede, ma c’è qualcosa di più. Isaia udì gli angeli cantare a Dio l’inno trisagio: Santo, santo, santo il Signore Sabaòth… (Is. 6.3). L’appellativo Panaghìa (Tuttasanta) non toglie nulla a Dio, che è l’unica fonte della santità; è di fronte agli uomini che Dio ha santificato, che essa è la più santificata fra tutti i santificati. La Madre di Dio, colei che ha generato Dio stesso, non sarebbe anche Santissima? Non mancano nemmeno ai nostri giorni detrattori della Madre di Dio; sfortunatamente per loro (i testimoni di Geova e i protestanti in genere) proprio con questo atteggiamento che presentano come un cristianesimo più puro, anzi, l’unico vero cristianesimo, finiscono con l’allontanarsi dalla rivelazione e dalle Sacre Scritture. La storia religiosa dell’occidente degli ultimi cinque secoli è caratterizzata dalla contrapposizione dualistica tra protestanti e cattolici e quando le posizioni si contrappongono si finisce con l’esasperare la polemica ed estremizzare le teologie. Come risulta inaccettabile a noi ortodossi la riduzione razionalistica che il mondo religioso nord europeo ha operato sulla esperienza religiosa cristiana, così alcuni aspetti del culto mariano della Chiesa Cattolica Romana, maturati dogmaticamente non più di due secoli fa restano estranei alla tradizione ortodossa, anche se qualcuno dei vostri studiosi è riuscito nell’intento di trovare uno scrittore ortodosso, ma sembra solo uno, comunque, che sarebbe favorevole. Come l’iconografia cristiana antica, così anche la devozione, il culto e la teologia dei Padri sono accuratamente studiate e trasmesse dall’ortodossia.
Mariam disse ad Elisabetta: D’ora in poi mi glorificheranno tutte le generazioni (Luca 1, 48). Gli Anticristi che non accettano Cristo come Dio e gli eretici non sono dunque compresi nella profezia della Panaghìa perché non la glorificano. 
Viene spesso sollevata la questione dei fratelli di Gesù: Mariam sarebbe stata certamente una brava donna, madre di diversi figli, oltre che di Gesù, ma non ci sarebbe per lei alcun ruolo nella salvezza del mondo; in questo caso perché venerarla? 
Il Vangelo di Matteo (Mt. 12, 46) riferisce un episodio in cui Gesù era cercato da sua Madre e dai suoi fratelli e in Marco 6, 2-3 leggiamo come i Nazareni vedendo la sapienza e i miracoli di Cristo dicevano: Non è lui il falegname, il figlio di Mariam e il fratello di Giacomo e di Iosis e di Giuda e di Simone? E non sono qua con noi i suoi fratelli?
La Chiesa Ortodossa, che esiste da un’epoca ben anteriore ai “riformatori” moderni e ai loro epigoni, ha sempre avuto notizia del fatto che il giusto Giuseppe non era affatto vergine, né giovane, ma vedovo e dal suo primo matrimonio aveva avuto quei figli che i Vangeli citano per nome. Inoltre c’erano anche dei cugini, i figli di Cleopa, fratello di Giuseppe.
Le fonti che sostengono queste affermazioni sono note; si parla molto ai giorni nostri degli apocrifi del Nuovo Testamento, come se dovessero sconvolgere i fondamenti della Chiesa: a noi pare che anzi, li rafforzino.  
I fratelli di Gesù, come risulta dal Vangelo di Giovanni (Giov. 7,5), all’inizio non credevano in Lui. Negli Atti (1,14) vediamo che dopo l’Ascensione di Cristo erano tra i suoi discepoli, il che significa che dopo la resurrezione di Cristo hanno creduto in Lui. L’apostolo Paolo (I Cor 9, 5) presenta i fratelli del Signore come missionari insieme con i dodici. Inoltre, nella lettera ai Galati (1, 19) scopriamo Giacomo, il fratello del Signore, come prima autorità in Gerusalemme. Giacomo è colui che parlò al concilio apostolico di Atti 15,13, quello che inviò uomini a sorvegliare l’operato di Pietro ad Antiochia. 
Cristo, presumibilmente all’età di due anni era fuggito in Egitto e tre anni dopo, cioè all’età più o meno di cinque anni, fece ritorno in Palestina. Se Mariam avesse avuto relazioni coniugali con Giuseppe, avrebbe partorito qualche figlio in Egitto. Ma questo non è scritto da nessuna parte nei Vangeli. Quando Cristo dodicenne è presentato al Tempio, non è scritto da nessuna parte che la Panaghìa aveva altri figli. Nel libro dei Proverbi (4, 3) incontriamo una profezia del Messia stesso che si definisce il figlio unigenito di mia madre. 
Sorge una domanda: 
Perché Cristo sulla Croce non ha detto a Sua madre di trovare  protezione presso gli altri suoi figli, ma le ha detto di trovare protezione presso il suo discepolo Giovanni? 
La risposta è che Mariam non aveva altri figli. Mariam, si è realizzata come madre del Teantropo e in questa maternità unica si è esaurita la sua maternità una volta per tutte. L’assenso dato all’angelo per la nascita del Messia: Ecco la serva del Signore, fece di lei lo strumento dell’incarnazione di Dio e della salvezza dell’umanità. 
3. Sempre Vergine
Isaia profetizza che la madre del Messia sarà Vergine: Ecco la Vergine partorirà e darà alla luce un figlio…  (Isaia 7,14). L’iconografia tradizionale prevede tre stelle sulla figura della Theotòkos: sulla fronte e sulle due spalle. Le tre stelle simboleggiavano la verginità di Mariam prima, durante e dopo la nascita di Cristo. La chiesa ortodossa crede che la Vergine Mariam sia Sempre Vergine, cioè vergine prima, durante e dopo la nascita del Messia e che questa condizione sia collegata alla salvezza dell’umanità. 
Tu che sei il tesoro da cui viene la nostra risurrezione, o degna di ogni canto, solleva dalla fossa e dall’abisso delle colpe quanti confidano in te: perché hai salvato noi, soggetti al peccato, partorendo la salvezza, tu che sei vergine prima del parto, vergine nel parto e ancora vergine dopo il parto. 
Il parto verginale nel tempo e nello spazio della seconda persona della Trinità è specchio, ma anche partecipazione secondo l’immagine e la somiglianza della sua eterna generazione dal Padre: senza concorso di padre è generato nella natura umana, senza concorso di madre è generato nella Divinità. Dio Padre è il vergine generante nella Trinità, così come Mariam di Nazareth è la vergine generante nell’umanità: questa è la energia e la potenza caratteristica della generazione divina. E siccome Dio è uno, Chi lo genera, genera una volta sola, per cui il Verbo, seconda ipostasi della Trinità, non ha fratelli, per così dire consanguinei, né nella Trinità, né nell’umanità. Dal Padre vergine solo Lui viene generato in quel particolare modo, dalla Madre vergine solo Lui viene generato in quel particolare modo. Le due generazioni del Verbo avvengono con la stessa potenza divina che viene partecipata alla Theotòkos dallo Spirito Santo, che getta su di lei la sua ombra. Non è con le forze umane, non è con una potenza generatrice umana che Dio viene generato nella natura umana.
Questa particolarità e unicità del parto verginale mostra da subito come Cristo non è un semplice uomo, nato secondo le risorse della natura umana, ma il  Teantropo, generato secondo l’energia della Divinità. Non vi furono doglie al parto di Mariam: la nascita di Cristo era esclusa dalla maledizione di Adamo e Eva. Dopo la nascita di Cristo, la Panaghìa si è dedicata alla cura di Cristo e alla preghiera. La sua esistenza era piena di amore per Dio. Non c’era posto per un amore carnale per Giuseppe.                
LA PANAGHÌA CONFORTO IN UN MONDO DESOLATO
Conforto significa anche consolazione: proprio ciò di cui ha bisogno chi è colpito dalla tristezza e dal dolore. L’umanità è colpita da tristezze e dolori di ogni tipo. La civilizzazione ha coperto numerosi bisogni e ha contribuito al superamento di tanti problemi, nonostante ciò il dolore nel mondo è in aumento e nessun potere e sforzo terreno è in grado di riportare la gioia perduta. E questa cosa incredibile succede nel mondo attuale, pieno di comodità. Le persone vivono nella depressione e lo dimostra la quantità e la varietà di antidepressivi che vengono assunti al punto di esserne dipendenti: nicotina, alcol, stupefacenti e droghe di ogni tipo, naturali e sintetiche che dominano non solo più le esistenze di molti individui, ma influenzano generazioni intere e trasformano la società. Stupefacenti e allucinogeni, in particolare rivelano qualcosa di preoccupante e desolante al tempo stesso: chi li assume cerca di trovare un altro senso o un diversivo alla vita. Se le persone si fossero accontentate della loro vita perché avrebbero cercato di illudersi con una vita falsa? Non esiste mezzo artificiale, né sostanza stupefacente, per quanto costosa, in grado di restituire la gioia di vivere perduta, quell’allegria che per i bambini piccoli è una situazione naturale. La più grande tristezza dell’uomo di oggi, che soffre soprattutto per i suoi peccati e le loro conseguenze, è che non ha due braccia che lo consolano, dandogli sollievo dal dolore e speranza per un futuro migliore. A questo mondo desolato, Dio ha dato il conforto della Panaghìa. 
La Vergine Theotòkos ci consola perché ci assicura che esiste ancora virtù nel mondo, non è perduta. Essendo lei stessa un essere umano come noi, ci dimostra che l’uomo non ha perduto la capacità di diventare nuovamente virtuoso. 
Sappiamo che la Panaghìa ha iniziato la sua opera di salvezza con l’obbedienza all’Annunciazione, mentre il peccato è rivolta e disobbedienza alla volontà di Dio e innalzamento della nostra volontà; la Vergine Maria con le sue parole Ecco la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto capovolge la disobbedienza del mondo e riconduce l’umanità che degnamente rappresenta davanti a Dio, dalla disobbedienza prepotente all’obbedienza secondo lo spirito del Paradiso. 
Le persone oggi credono di perdersi e di annientarsi quando obbediscono a Dio o a qualsiasi loro superiore. La Panaghìa con la sua salvifica obbedienza ha ridato al mondo la dignità dell’obbedienza, accettando la grande missione di partorire Gesù Cristo. Cristo come figlio di Dio, ma anche come uomo è nato dalla Vergine Maria, la quale ha nei suoi confronti sia la franchezza della madre sia l’adorazione della serva. E noi che siamo battezzati nel nome della Santa Trinità riceviamo la grazia (il potere secondo San Giovanni Evangelista) di diventare figli di Dio: comunicando al Suo Corpo e al Suo Sangue diventiamo per grazia Cristi! Così abbiamo la Panaghìa diventa nostra madre naturale e possiamo chiedere la sua mediazione e aspettare la sua risposta materna. 
In questo sta il nostro conforto, che acquisiamo come madre naturale la  Theotòkos e tramite lei diventiamo anche noi figli di Dio. Ormai non c’è colpa per i nostri peccati perché Cristo ci offre indulgenza gratuita. Il motivo principale della depressione nel mondo è il senso di colpa; non sarà la psicoterapia a liberarcene, bensì l’essere incorporati realmente nel Cristo, mediante la confessione e la penitenza. 
La penitenza converte l’uomo a Cristo, passando attraverso una serie di tentazioni. L’umiliazione dell’orgoglio e dell’egoismo conducono la persona allo stupore provocato dall’esperienza della grandezza di Dio; non si può sostenere con la mente e con il cuore la grandiosità gloriosa del mistero della salvezza gratuita. L’intervento della Panaghìa è reso ancor più efficace dalla sua relazione materna sia con noi sia con Cristo, 
Tu che per noi sei nato dalla Vergine e ti sei sottoposto alla crocifissione, o buono, con la morte hai spogliato la morte e come Dio hai manifestato la risurrezione, non trascurare coloro che con la tua mano hai plasmato, mostra, o misericordioso, il tuo amore per gli uomini: accogli, mentre intercede per noi, la Madre di Dio che ti ha partorito e salva, o Salvatore nostro, il popolo che non ha più speranza.
La trappola della giustizia e della colpa sono superate: l’uomo è peccatore, ma è consanguineo e concorporeo del Figlio di Dio, generato dalla Vergine. Possiamo perciò diventare figli innocenti di Dio ed eredi del suo Regno, ogni dolore e tristezza diventano eventi temporanei senza importanza, non più in grado di sbarrarci la strada verso il Regno di Dio. Ogni passione e ogni colpa vengono tolti attraverso l’adozione filiale in Cristo, che la generazione e il parto della Panaghìa ha reso possibile. E’ richiesto soltanto il nostro consenso perché ci venga offerto ogni potere. 
Con questa gioia e la dignità dei figli di Dio e della Sovrana Theotòkos possiamo camminare felici nella nostra vita. Abbiamo come consolazione, dopo Dio la stessa Madre di Dio.




Da Maria puerpera a Maria adorante
Evoluzione della postura della Madre di Dio nelle immagini della Natività

Maria Bergamo



Natale, mistero della gioia: mistero dell'Incarnazione, della generazione miracolosa di un Dio che sceglie di rivelare il suo volto agli uomini, non nella potenza del cielo, ma in una greppia tra le braccia di una giovane donna. Maria, la Vergine Madre, è la custode di questo mistero. È la prima a credere, e la prima a vedere nella sua carne, il miracolo: il suo corpo è la seconda natura – la natura umana – di Cristo e il suo grembo è il trono della sua gloria futura. Come un uomo, Dio nasce per l’uomo e affida la testimonianza del suo amore per l’umanità all’immagine che è universalmente riconosciuta come simbolo di tenerezza: una madre che accudisce e cura il suo neonato.

Nella lunga storia dell’iconografia della Natività Maria ha sempre un ruolo di protagonista e una posizione centrale nella scena; ma è anche la figura che, quanto a postura e ad atteggiamenti, subisce più mutamenti. Nel percorso visivo qui presentato – ridottissimo campionario di un repertorio millenario – si cerca di rendere visibileper exempla l’evoluzione iconografica (e teologica) della figura di Maria nella scena della Natività.

Inizialmente distesa su un giaciglio, progressivamente Maria si alza, si siede, ruota fino a inginocchiarsi, passando dalla prima icona orientale a una delle iconografie occidentali del Natale: l’Adorazione.



A ogni mutamento posturale di Maria corrisponde un preciso significato legato alla funzione che il tema del Natale comporta nelle varie fasi storiche e nelle diverse aree culturali della cristianità. Anche e soprattutto in questo caso le variazioni pittoriche, se pur minime, non sono quasi mai frutto di casualità, di opzioni estetiche o di necessità artistiche, ma sono testimonianze figurate dell’evoluzione del pensiero teologico e devozionale cristiano che nell’immagine si riflette: attraverso il linguaggio figurativo durante i secoli si compiono proclami di fede, si combattono battaglie spirituali e materiali, si proclamano dogmi, si affermano o si distruggono dottrine eretiche.
La rappresentazione della Natività di Cristo è uno dei soggetti più antichi nella storia dell’arte cristiana. L’episodio è narrato in alcuni dei Vangeli Sinottici e ulteriormente elaborato dai racconti dei Vangeli Apocrifi [2]. Le fonti testuali quindi sono molteplici e, nel loro insieme, abbondantemente ricche di dettagli, ma non bastano a dar conto della complessità dell’evoluzione iconografica, compositiva e stilistica delle immagini del Natale.
Proprio dall'analisi delle variazioni delle posture di Maria – la più mobile e iconograficamente la più ‘inquieta’ fra i protagonisti della scena – emergono i principali nuclei semantici dell’evoluzione devozionale e teologica che si compie intorno al mistero del Natale: un unico sguardo continuo di una serie selezionata di immagini consente di abbracciare l'andamento della posizione assunta da Maria attraverso i secoli, le regioni e i diversi artisti che mettono in figura la tradizione cristiana e di proporre, in sintesi, una vera e propria ‘storia dell’immagine’.


Maria Theotókosl’icona ‘orientale’ canonica 

Questa tipologia tradizionale di rappresentazione bizantina della Natività costituisce la prima tappa dell’analisi qui proposta: la rigida codificazione nei secoli di un canone estetico e iconografico corrisponde a una raffinata teologia dell’immagine, e ci induce a guardare all’arte della tradizione bizantina come depositaria delle più antiche forme di creazione artistica cristiana. Inoltre la grande diffusione in Occidente dei modelli bizantini lungo tutto l’arco dei secoli medievali suggerisce di cercare proprio nella tradizione orientale il filo rosso per una storia dell’iconografia cristiana.
L’icona di Rublev, pur cronologicamente tarda, si inserisce all’interno di una storia dell’iconografia della Natività che ha le sue origini nei primi secoli dell’era cristiana.
Questa è la rappresentazione canonica della scena secondo la tradizione bizantina: Maria è al centro, molto grande e sproporzionata rispetto alle altre figure; è stesa su un giaciglio solitamente rosso o dorato che la circonda come una mandorla conferendo un’importanza ancora maggiore alla sua figura. È avvolta in un manto, ilmaphorion, e con una mano si sfiora il viso, in un gesto di languore, di abbandono (gesto spesso ripreso in chiave di triste pensosità anche dal personaggio di Giuseppe) [3].


Maestro Niccolò, Natività (part.), rilievo del portale, 1138 (Verona, S. Zeno)Natività, portale ligneo, 1065
(Colonia, S. Maria in Capitolo)
Francisco Arguello, Natività (part.), pittura su muro, 1998 (Firenze, S. Bartolomeo in Tuto)

Il Bambino è alle spalle della Madre, avvolto in stretti bendaggi e deposto in una cassa-mangiatoia. Sono presenti tutti gli elementi compositivi che si trasmetteranno poi nella tradizione natalizia: la grotta, che in Occidente diverrà la capanna; l’asino e il bue; gli angeli che adorano e danno l’annuncio ai pastori; i Magi che arrivano seguendo la cometa posta sopra la culla del bambino; Giuseppe, pensieroso, in disparte. Compaiono nella scena personaggi destinati in seguito a mutare o scomparire, come la strana figura che dialoga con Giuseppe o le levatrici che bagnano il bambino [4].

Ogni dettaglio dell’icona ha una sua propria codificazione e un suo proprio significato, che passa attraverso secoli di esegesi patristica e teologica, secondo lo statuto stesso delle immagini nell’Oriente cristiano [5].
L’icona del Natale si forma verso il VII secolo per raggiungere la sua forma completa intorno al IX secolo, l'epoca in cui, a motivo della lotta iconoclasta, le formulazioni dogmatiche dei secoli precedenti furono ripensate per un'ulteriore e inequivocabile formulazione del dogma dell'Incarnazione [6].

Le prime fonti sulle dispute in merito alla natura di Cristo risalgono in particolare a Origene e Clemente Alessandrino. Immediatamente dopo l’elevazione del cristianesimo a religione dell'impero iniziò lo scontro tra le eresie, intorno al punto nevralgico della natura umana di Cristo. Alla dottrina di Ario, che proclamava la sola natura divina del Figlio di Dio, si contrapponeva il pensiero di Nestorio patriarca di Costantinopoli, che ammetteva la sola natura umana di Cristo, negando al Figlio la divinità essenziale e la consustanzialità con il Padre. La questione non era soltanto spinosa sul piano teologico, ma si poneva come il punto critico per l’accettazione e la diffusione del messaggio cristiano nella cultura del tempo. Senza addentrarci nelle dissertazioni più sottili ed esegeticamente complesse, si pensi da un lato alla difficoltà da parte della cultura ebraica fieramente monoteista di accettare un Dio uno e trino, dall’altro alla feconda dialettica in atto con la latente radice politeista della cultura ellenistica da cui provenivano la maggior parte dei convertiti del IV secolo, proprio in seguito alla decisione costantiniana di assumere il cristianesimo come religione ufficiale dell’impero.
Dal IV secolo ha inizio la serie dei grandi Concili ecumenici, che definirono i dogmi della chiesa cristiana, soprattutto in relazione alla natura di Cristo. In ben quattro concili tra il IV e VI secolo si discusse e si perfezionò la definizione del dogma dell'Incarnazione: Nicea I nel 325, Costantinopoli nel 381, Efeso nel 431, Calcedonia nel 451 [7].

Maria, che inizialmente non godeva di un culto suo proprio, divenne uno dei nodi centrali nelle dispute sulla natura di Cristo e sul valore dell'Incarnazione. È lei, infatti, che in quanto donna garantisce la seconda natura di Dio: l’umanità del Figlio, il suo essere corpo e carne mortale.

L’intero Concilio di Efeso è dedicato alla definizione del ruolo di Maria nell’Incarnazione. A Efeso si scontrano duramente le fazioni dei monofisiti nestoriani (che a loro volta avevano già avuto la meglio sui monofisiti ariani) contro i propugnatori della doppia natura del Figlio: prevalgono infine questi ultimi e Maria viene proclamataTheotókosDeipara, "colei che ha generato Dio". Cirillo di Alessandria proclama il nuovo dogma:

Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e perciò la Santa Vergine è Madre di Dio perché ha generato secondo la carne il Verbo che è da Dio, come sta scritto "e il verbo si fece carne", sia anatema [8].
Proprio in seguito al Concilio di Efeso conosce sviluppo e diffusione l'enorme produzione di immagini di Maria in trono con il Bambino [9].

Madonna in trono tra santi e angeli, tavola, VI secolo (Monastero S. Caterina al Sinai)
Madonna della clemenza, tavola, VI secolo (Roma, S. Maria in Trastevere)


La disputa accanita intorno alla natura di Cristo non si placa però con il pronunciamento di Efeso; anche perché la questione dell’umanità del Figlio di Dio si intreccia con il problema, sollevato dai Padri già nei primi secoli, della rappresentabilità della figura divina (all’interno di una tradizione monoteista decisamente aniconica).
Pochi secoli dopo Giovanni Damasceno, impegnato nella lotta contro l'iconoclasmo, prese proprio Maria come dimostrazione dell'umanità di Cristo e la sua conseguente rappresentabilità, e consacrò il suo culto attraverso le immagini:

È quindi con giustizia e verità che chiamiamo santa Maria Theotókos. Perché questo nome abbraccia l'intero mistero dell'ordine divino. Infatti, se colei che partorì è la Theotókos, certamente colui che è nato da lei è Dio e anche uomo. Il nome esprime in verità l'unica sostanza e le due nature e i due modi di generazione del nostro Signore [10].
Il dogma dell’Incarnazione coinvolge strettamente anche l’arte e la sua potenzialità espressiva: infatti non solo si lotta per le immagini, ma si lotta con le immagini. La rappresentazione di Dio è possibile grazie alla certezza del dogma dell’Incarnazione: "la Chiesa enuncia la propria dottrina sia con la parola che con l'immagine" [11] e l'icona è insieme veicolo di propaganda dottrinaria e testimonianza concreta dell’avvenuta Incarnazione. Il valore teologico dell’icona viene proclamato nel Concilio di Nicea II del 787, il cosiddetto "Concilio delle immagini":

Quando tu hai visto che colui che incorporeo è diventato uomo a causa tua, allora farai l'immagine della sua forma umana; quando l'invisibile è diventato visibile per la carne, allora raffigurerai l'immagine di lui che è stato visto [12].
Dunque per i Padri dei primi secoli le icone di Cristo e della Madre di Dio – in Maestà con il Figlio – testimoniavano e insieme significavano la realtà della natura umana di Cristo.

Rispetto alle prime icone l’icona della Natività è successiva e propone alla meditazione dei fedeli la scena, il 'come' di questo mistero. E, nell’evento rappresentato, Maria è figura centrale: non solo, insieme allo Spirito, genera la carne del Salvatore, ma vive nella sua propria carne il miracolo.

L’umanità del Figlio è rappresentata dal fatto che la Madre sta distesa: Maria è rappresentata nella tradizionale postura delle partorienti, come si ritrova non solo nell’arte cristiana ma anche in quella pagana antica.


Concepimento e Nascita di Alessandro (part.), mosaico, metà IV secolo, proveniente da Baalbeck (Beirut, Museo)Nascita di Achille, mosaico, V secolo (Cipro, Paphos Nuova)


La postura della puerpera dimostra e sottolinea la condizione tutta umana di Maria: una donna rappresentata come tutte le donne che abbiano appena partorito. L’iconografia di Maria-puerpera, la più diffusa dopo la definitiva codificazione del ‘canone’ di immagini sacre, è probabilmente legata in origine alle eresie cristologiche di lontana ascendenza nestoriana e poi gnostica, dato che mette l’accento sull’aspetto umano del parto attraverso il quale Dio è sceso sulla terra.

Non si può, parlando di tradizione bizantina, non accennare all’esistenza di una diversa iconografia per la Natività in cui Maria è rappresentata seduta accanto alla mangiatoia. Usate entrambe tuttora, non si sa con chiarezza l’origine della differenza, come sostiene Georges Drobot nel suo fondamentale libro [13], ma è palese la lontananza delle tipologie di provenienza e la diversità di significati: la postura da seduta è maggiormente associata alla regalità, alla manifestazione del potere e della gloria assoluta, è un altro soggetto la cui analisi non può qui trovare spazio. Seduta è la Vergine in trono, la Maestà  vera icona della Theotókosdiffusa dopo il Concilio di Efeso  seduta è nelle Adorazioni dei Magi, seduta è nelle icone della festività post-natalizia orientale a lei dedicata il 26 dicembre, la Sinassi o le Congratulazioni alla Madre di Dio [14].


Natività e Adorazione dei Magi (part.), sarcofago, IV secolo (Roma, Musei Vaticani)La Congratulazione
alla Madre di Dio
, miniatura siriana, 1457
Natività (part.), rilievo, XIII secolo, (Venezia, San Marco, Porta dei Fiori)


Maria distesa, Maria puerpera: la devozione popolare 

Fino al XII secolo, dunque, in Occidente l’iconografia più diffusa della Natività resta quella, di matrice bizantina, che prevede Maria-puerpera al centro della scena. Con variazioni notevoli secondo i luoghi, le epoche e gli stili permane comunque una decisa influenza degli elementi e degli stilemi propri del canone orientale. Distesa, a volte addirittura dormiente, avvolta nel mantello, con il Bambino lontano, Maria giace su un letto o su un panno più o meno lussuoso, in una grotta o capanna, ed è sempre assistita da Giuseppe [15].


Natività (part.), affresco, 1335 (Pec, Chiesa dell’Hodigitria)Natività ed elogio delle api, rotolo di Exultet, XII secolo (Montecassino, Archivio dell’Abbazia)Natività, miniatura armena, 1332 (Matenadaran)


L'iconografia del puerperio di Maria durante il Medioevo si lega dunque alla tradizione e diffusione dei modelli bizantini che restano come fonte principale per un linguaggio figurativo insieme aulico e che riflette l’auctoritas dell’antico [16].
Secondo Mâle l’iconografia della Natività è uno degli esempi della continuità tra Oriente e Occidente; ma in Occidente la scena si arricchisce di un diverso sentimento legato alla devozione popolare [17].
Le donne del Medioevo, per le quali gravidanza, parto e puerperio costituivano un grave pericolo, si rivolgevano in primo luogo alla Madre di Dio per chiedere a lei, in quanto Madre, aiuto e protezione. Il ruolo di Maria come sacra levatrice è documentato da fonti che datano dal Medioevo alla prima età moderna [18].
Esistevano mete di pellegrinaggio e immagini di Maria specializzate esclusivamente nel soccorso alle donne incinte e partorienti; i manoscritti che contenevano lodi a Maria potevano essere di ausilio durante il travaglio del parto; le levatrici distribuivano immagini mariane tutt’intorno al letto e sul corpo della partoriente; si dipingevano immagini di Maria a capo e ai piedi del letto, in modo da essere certi della sua benevolenza.
Maria rappresentata nelle scene della sacra Natività nel suo letto di puerpera consolava e dava coraggio alle donne nella fase precedente e successiva al parto. La venerazione spesso si confondeva con gli ambiti della magia e della superstizione, rispecchiando una realtà di fede e devozione che ha a che vedere con la sacralità delle immagini, ma anche con il loro valore d’uso, la loro pratica fruizione, e quindi anche con l’intento che presiede alla loro produzione.
Maria, comunque, è significativamente rappresentata come una donna comune che ha appena partorito e che si riposa; nel periodo medievale, inoltre, la scena della Natività, ancora più cara e apprezzata dai fedeli grazie al diffondersi delle Sacre rappresentazioni del ciclo natalizio, si arricchisce di particolari legati alla vita contemporanea, come oggetti e utensili domestici e arredi borghesi: tutti elementi che testimoniano di un culto popolare diffuso per la Madre di Dio.
La venerazione per Maria-puerpera, molto radicato e diffuso, comporta dunque che nelle immagini l’evento venga attualizzato per avvicinarlo alla quotidianità dei fedeli e renderlo più familiare: nella rappresentazione figurativa o scenica Cristo non nasce più nella grotta o nella capanna, secondo il dettato evangelico, ma nella chiesa, nel convento o nella stessa cappella in cui l'opera è collocata.


Maestro Renano, Natività entro le mura urbane,rilievo, XII secolo (Londra, Victoria and Albert Museum)
Natività, vetrata, 1150 (Chartres, cattedrale)
Natività, miniatura da Salterio, ms. 1186, c. 17 (Parigi, Biblioteca Nazionale)
Natività, miniatura da Libro d'ore, fine XV secolo, ms.1108, (Einsiedeln)


Il dolore di Maria

Compare fin dalle origini e viene sviluppata progressivamente una grande disputa che si inserisce anch’essa nel dibattito teologico intorno ai dogmi cristologici dell’Incarnazione e del parto virginale: la questione del dolore di Maria. Su questo punto si registra una distanza tra il pensiero dottrinario e la rappresentazione.
Dal punto di vista teologico e del pronunciamento dogmatico Maria non ha sofferto perché il suo è un parto miracoloso, è "Vergine prima, durante e dopo il parto" [19], come, secondo la tradizione, rappresentano le stelle poste sul suo maphorion [20]. La nascita di Cristo, come sosteneva già Metodio d'Oriente nel III secolo, fu arrheustos, "senza malattia", "senza degradazione" [21]. Molte e diverse sono le fonti che ribadiscono questo punto: Gregorio di Nissa nel IV secolo è uno dei primi Padri greci che ne parla esplicitamente, inserendo il dogma in una precisa esegesi:

Come la stessa Vergine non seppe in che modo nel suo corpo si formò il corpo portatore di Dio, così nemmeno sentì la sua nascita, conformemente alla testimonianza del profeta Isaia secondo il quale il parto sarebbe stato indolore. Dice infatti Isaia: "Prima di provare i dolori, ha partorito" (Is 66, 7). Perciò Egli fu scelto per rinnovare l'ordine della natura in entrambi i sensi: perché non venne partorito grazie a un intervento umano, né uscì dal grembo materno con fatica. E tutto questo accadde in modo conveniente e non senza ragione. Poiché come Eva, che per il peccato introdusse la morte nel mondo, fu condannata a partorire fra dolori e travagli, era conveniente che la madre della vita iniziasse a concepire con gioia e con gioia partorisse. Per questo l'arcangelo le dice: "Rallegrati, piena di grazia" (Lc 1, 28), liberandola con questa parola dalla tristezza che fin dal principio accompagna il parto a causa del peccato [22].
Fin dalle origini le gerarchie ecclesiastiche attivarono diversi tentativi di "disciplinamento" delle immagini, sia per reagire alle superstizioni popolari sia per arginare il realismo dei dettagli del parto che poteva risultare dissacrante. Nonostante i tentativi di ricondurre all’ortodossia l’immagine di Maria-puerpera, l’iconografia prevalente resta quella che contempla Maria distesa, come una donna che ha appena partorito: come avesse sofferto e necessiti quindi di riposo, a volte dorme e spesso le levatrici o Giuseppe stesso accudiscono lei e il Bambino. La distanza tra la posizione teologica e dogmatica e la rappresentazione è tale da disegnare una vera e propria contraddizione.


Natività (part.), rilievo del portale, metà XI secolo
(Poitiers, Notre-Dame-la-Grande)
Natività (part.), calvario bretone, metà XV secolo (Tronoen, Notre Dame)


La postura di Maria-puerpera, come si è visto, è direttamente collegata con l'antica tradizione classica e bizantina e, più che indicare una possibile deriva eretica dell’immagine, va invece considerata da un altro, e più importante, punto di vista teologico: l’immagine di Maria-puerpera, che potrebbe essere intesa come la prova figurata del dolore fisico della Madre di Dio, è invece il topos iconografico scelto in risposta alle eresie cristologiche per rappresentare la nascita umana di Dio. Cristo è nato da una donna, e tale donna, come una qualunque madre, riposa su un giaciglio dopo il parto [23].
Ancora una volta verifichiamo l’efficacia di una sorta di ‘teologia per immagini’, un messaggio trasmesso attraverso un codice linguistico diverso, più perspicuo e immediato e, come dimostra la quantità e la diffusione delle immagini, ampiamente recepito. Interessante è il fatto che, venuta meno la valenza polemica di ‘risposta’ alle eresie ormai scomparse e debellate, l’immagine di Maria-puerpera non perda di valore, ma assuma altri significati e legami e, in base a queste nuove funzioni e letture, si modifichi.

Maria madre: la mistica monastica

Il secolo XII è stato definito "secolo mariano" e dà l’avvio a un netto approfondimento del mistero di Maria come mistero dell’Incarnazione. La fase di rinnovato interesse per la figura di Maria si inscrive nella temperie della nuova sensibilità religiosa, che corrisponde ai grandi cambiamenti sociali che daranno vita alle correnti intellettuali che genereranno le università e alle riforme monastiche che creano gli ordini rinnovati dei cistercensi, canonici regolari, premonstratensi. A questo rinnovamento corrisponde anche una rinascita della religiosità popolare e di grande partecipazione laicale, supportata da un sistema pastorale più attento e assiduo [24].
Si tratta di un cambiamento che coinvolge anche le forme di devozione: non si prega più con Maria ma ci si rivolge Maria con un’invocazione personale e intima, che fa leva sulla complicità tutta umana dell’esperienza della maternità.
Questa nuova relazione con la figura della Madre di Dio coincide con l’esaltazione del mistero del Natale e con la contemplazione e la meditazione sul Dio Bambino. San Bernardo compie una svolta spirituale detta gesulatria, ovvero l’adorazione e la meditazione sulla vita dell’uomo Gesù [25]. Si diffonde e si intensifica un genere di devozione affettiva, simpatetica, che si sofferma a considerare le sofferenze del Bambino e della Madre nel momento della nascita, come antesignane della futura Passione di Cristo.
San Bernardo elabora il concetto di devotio in modo decisivo: la devotio appartiene all’affettività e per essa alla volontà; la devotio sta alla carità come la conoscenza sta all’intelletto. Questa forma di ricerca spirituale è importante perché, consentendo l’avvicinamento a Dio tramite i sentimenti, sospendendo lo studio e la ragione, si concentra sull’intimo dell’anima nelle sue espressioni più semplici, estendendo a qualsiasi uomo la possibilità di conoscenza e di partecipazione al mistero divino.
Alla base delle meditazioni che iniziavano a diffondersi all’epoca, prende forza l’idea che Dio è vicino ai poveri e ai deboli perché anche lui era povero e sofferente e debole. Dice Sant’Anselmo:

Dio dell’immensa gloria, non hai disdegnato di farti verme spregevole; Signore di tutte le cose, hai voluto apparire conservo dei servi. Ti sembrò poco essere nostro Padre, hai voluto, o Signore, essere nostro fratello. […] Consolatevi, consolatevi, voi che vivete nelle bassezze della povertà, poiché Dio è con voi nella povertà: non riposa egli nelle delizie d’una camera da letto, né si trova fra chi vive beatamente [26].
Nel pensiero di Bernardo l’atteggiamento nei confronti del Mistero dell’Incarnazione e dell’umanità di Cristo si riassume in due parole: ricordo e imitazione. E su questo concetto si basano tutte le esperienze di devozione e di mistica successive.
Fino al XII secolo il mistero dell’Incarnazione aveva il suo riferimento centrale nella Passione di Cristo, il mistero pasquale è il fine della venuta di Cristo e per essa si dà la salvezza del mondo. La nascita del puer viene considerata certo miracolosa e degna festività, ma comunque di minore importanza rispetto alla Pasqua. Dal XII secolo le cose cambiano [27].
In un’importante operetta dedicata interamente alla meditazione sull’infanzia di Gesù – De Iesu puero duodenni (1153-1157) – l’autore Aelredo di Rievaulx (ma il testo circolerà per secoli sotto il nome del suo maestro Bernardo) partecipa ai dolori e alle vicende di Gesù Bambino come se fosse personalmente e direttamente coinvolto. La crescita spirituale del fedele è paragonata dall’autore alla crescita fisiologica di Gesù nella sua infanzia:
Così tu nascerai in Cristo e Cristo nascerà in te [28].
Così santi e mistici del tempo nelle loro omelie sul Natale pongono l’attenzione sullo stato di povertà in cui Maria e Gesù si sono trovati a vivere come anticipo delle sofferenze della Passione, ma soprattutto come primo esempio della tenerezza di Dio verso l’uomo: un Dio che sceglie di manifestarsi non solo come un uomo, ma come un piccolo bambino indifeso nato da una donna in stato di totale indigenza.
Il pensiero e l’immaginario del tempo sorvola sulla questione della verginità straordinaria di Maria: un aspetto miracoloso certo, ma dato per acquisito in quanto attestato già dal dettato biblico vetero e neo-testamentario. Ci si concentra invece sulla figura di Maria come esempio di una divinità ‘vicina’ in cui è possibile riconoscersi. In questo periodo Maria non è tanto rappresentata come una Regina, quanto come una madre tenera e semplice, preoccupata di nutrire questo suo prodigioso ma piccolo bambino che, come ogni neonato, ha bisogno di tutto.
Il tema dell’umanità di Maria-madre – su cui la devozione popolare e l’esperienza mistico-teologica coeva si trovano una volta tanto consonanti – trova un’espressione efficace nella codificazione di una nuova immagine.
Nella scena della Natività Maria inizia a cambiare postura: non più girata di spalle e isolata nella mandorla, inizia a volgersi verso il Neonato, a guardarlo: tocca la culla, lo solleva, lo prende tra le braccia e a volte lo allatta con la tenerezza di una vera madre.


Maestro di Imola, Natività (part.), miniatura daAntifonario, ms. 5, c. 65r (Imola, Museo Diocesano)
Neri da Rimini, Natività (part.), miniatura da Corale della Chiesa di S. Francesco, 1312 (Bologna, Museo Civico)
Natività (part.), predella dell’altare di Santa Maria di Avia, XIII secolo (Barcellona, Museo di arte catalana)


A questo nuovo dinamismo della figura di Maria corrisponde un deciso cambiamento nello stile della rappresentazione, sempre più discosta dalla ieraticità bizantina e tesa a una maggiore ricerca espressiva, a una circostanziata e realistica resa dei dettagli [29].


Natività (part.), miniatura inglese, 1335 ca., cl.7726 (Parigi, Museo Nazionale del Medioevo)
Silvestro dei Gherarducci, Natività, miniatura dai Graduali di San Michele, XIV secolo, ms. 653, c. 1 (New York, Pierpont Morgan Library)


Se la prospettiva delle icone bizantine mirava (e mira) alla meditazione sul mistero dell’Incarnazione e a condurre il fedele direttamente all'ascesi attraverso il valicamento dell’aurea ‘porta regale’, in Occidente, a partire dal XII secolo, si recupera la dimensione della tenerezza e l’esaltazione della corporeità del Figlio e della Madre come segni tangibili di vicinanza e di una possibilità di identificazione del fedele con i personaggi divini. In questa fase si approfondisce il divario tra le due prospettive – l’orientale e l’occidentale – divario che porterà allo scisma tra le due Chiese. E non a caso proprio in quel periodo si avvia anche una più netta differenziazione stilistica e tematica tra le convenzioni artistiche orientale e occidentale, individuata dai teorici dell’immagine sacra orientale come la più profonda frattura nella ‘visione di Dio’ [30].

Maria prima fedele: San Francesco e la nuova spiritualità

San Francesco eredita dalla mistica del XII secolo queste suggestioni che amplia e coniuga con un orizzonte mistico, estetico e devozionale ulteriore. Con Francesco il messaggio dell’umanità di Cristo e della sua immanenza nel mondo si apre ai laici e soprattutto si diffonde capillarmente, secondo le tendenze pauperistiche del tempo, a tutti gli strati sociali mediante la predicazione itinerante, l’uso del volgare, delle immagini, delle rappresentazioni sacre.
La nuova visione cristologica di Francesco, il suo stile di relazione con Dio, permette a ogni fedele di accedere al divino senza timore, di gustare l’amicizia che Dio ha scelto di riallacciare con la sua creatura prediletta. Lo slancio affettivo quasi fisico nel culto e nella fede, ereditato dai mistici del secolo precedente, viene esteso anche ai laici, esce dai monasteri e viene insegnato alla gente nelle strade e nelle chiese. Tutto il movimento francescano è impegnato nel diffondere la visione di un Dio tenero e vicino a chi soffre, un Dio che salva per amore le sue creature, un Dio facilmente raggiungibile da chiunque lo desideri [31].
Il culto diviene profondamente personale, ispirato e mediato dai sentimenti, ma lontano da forme di superstizione e religiosità esasperate: agisce positivamente sui fedeli l’educazione ottenuta attraverso una predicazione serrata, la diffusione di opuscoli e istruzioni, ma anche una politica dell’immagine cosciente e diffusa. 

Il cuore degli ascoltatori veniva scosso dall’amore e dalla pietà, quando l’oratore ispirato faceva rivivere sotto i loro occhi, nella loro semplicità e verità, le immagini toccanti della vita terrena del Salvatore. Le immagini, ecco di cosa aveva bisogno il popolo incolto, a cui per lo più si rivolgeva la predicazione francescana; e le immagini si imprimevano profondamente nella sua memoria, così Gesù diventava realmente il fratello carnale, l’amico, il confidente di ognuno. Perciò anche l’artista era spinto a rappresentarlo nella sublime semplicità della natura umana [32].
In questa estetica del divino, nel clima di confidenza con Dio che Francesco insegna e ispira, si inserisce l’episodio del Presepio di Greccio, snodo fondamentale anche per l’evoluzione della figura di Maria nella scena della Natività.
Nella notte di Natale del 1223, dopo aver ottenuto il permesso dal papa Onorio III, Francesco fece allestire un presepio vivente nel bosco di Greccio. Tommaso da Celano racconta che il santo disse:

È mio desiderio rievocare al vivo la memoria di quel Bambin celeste che è nato laggiù in Betlemme, e suscitare davanti allo sguardo del popolo e al mio cuore gli incomodi delle sue infantili necessità, vederlo proprio giacere su poca paglia, reclinato in una mangiatoia, riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello [33].
Finiti i preparativi, la notte di Natale frati, uomini e donne della contrada accorsero con fiaccole e candele per assistere alla messa. Francesco cantò il Vangelo e tenne la predica parlando del Bambino di Betlemme con una infinita dolcezza.
Durante la celebrazione Giovanni Velita, castellano amico dei frati che aveva organizzato la celebrazione, ebbe una visione: vide nella mangiatoia un bambino addormentato incredibilmente bello e Francesco che lo prendeva in braccio per risvegliarlo. Nella Legenda Major [34] Bonaventura si dilunga a illustrare la verosimiglianza della visione e dei miracoli successivi a questa, mentre Tommaso da Celano nella sua Vita prima ne dà una semplice lettura spirituale: il culto per Gesù Bambino veniva risvegliato nei cuori della gente grazie alla predicazione del santo.
L’episodio di Greccio si inserisce nella tradizione esistente in Europa già dal IX secolo degli "uffici drammatici", dialoghi all’interno della liturgia che rievocavano le più importanti scene evangeliche. Da questa sorta di drammatizzazione liturgica nacquero sceneggiature più complesse come – per restare nel ciclo natalizio – l’Officium pastorum e l’Officium stellae, e il loro ulteriore sviluppo porterà poi alle grandi Sacre rappresentazioni di fine Medioevo [35]. Rispetto al genere liturgico-drammatico, però, Francesco, con l’istituzione del Presepe, compie uno scarto destinato a conseguenze importanti, dimostrando una capacità di uso degli strumenti più efficaci e comunicativi per diffondere il suo messaggio anche in forma divulgativa e popolare [36].


Ecco quindi che il concetto di imitazione diviene comune e diffuso: i modelli sono Cristo stesso, ma anche sua Madre, come Santa Chiara scrive a una sua seguace:

Come la gloriosa vergine delle vergini ha portato nel suo utero virginale il vero Dio e vero uomo, così anche tu imitandola nell’umiltà e nella povertà, sempre puoi portare lo stesso Signore, spiritualmente, contenendolo dentro di te, lui che contiene tutte le cose: e lo porterete dentro di voi tu e le altre, che avete disprezzato le ricchezze di questo mondo [37].

Così anche le predicazioni di Sant’Antonio da Padova e gli Opuscoli mistici di San Bonaventura vengono conosciuti e diffusi, letti e meditati. I libelli meditativi vengono scritti e copiati tra i laici del Terzo Ordine e la devozione inizia a essere privata, personale, consumata non solo in chiesa ma anche nell’intimità della propria vita quotidiana.
L’operetta di Bonaventura De quinque festivitatibus pueri Jesu, composta intorno al 1257 (e indirizzata a una dama di cui lui era direttore spirituale), è interamente dedicata all’infanzia di Cristo. Si tratta di una meditazione allegorica sui misteri dell’infanzia: il concepimento di Gesù nell’anima del fedele, la sua nascita, l’imposizione del nome, la sua adorazione e presentazione al tempio. Il testo intreccia il piano metaforico-spirituale con quello reale e soprannaturale dell’unione mistica con Cristo, e propone al fedele un percorso interiore e personale [38].

Allo stesso modo molti altri scritti francescani comportano la stessa carica affettiva ed esortativa: da Jacopone da Todi e il suo Stabat mater speciosa e altre laudi (fine XIII secolo), a Ubertino da Casale con l'Arbor vitae crucifixae Jesu (1305) a Raimondo Lullo e il suo Liber natalis parvuli Christi Jesu (1310).

Un altro testo molto diffuso e molto importante per l’iconografia sono le Meditationes vitae Christi (attribuite inizialmente a Bonaventura) di un anonimo francescano toscano del Trecento che racconta gli episodi evangelici senza discostarsi dal testo ma arricchendoli di particolari vivaci e interessanti. Così descrive Maria e Gesù:

Se ne sta là, la Signora, come ogni altra donna, ad aspettare la scadenza del tempo per poter entrare nel tempio. Se ne rimane là, occhi e attenzione rivolti a quel diletto figlio perché nulla gli succeda. Mio Dio, di quanta premura e diligenza lo fa oggetto perché non gli manchi nulla. Con che devozione e delicatezza, con quale timorosità lo tratta, sapendo che è il suo Dio e Signore, quando inginocchiata lo prende in mano per adagiarlo sulla culla. Ma con che gioia insieme e confidenza e diritto materno se lo abbraccia, se lo sbaciucchia, se lo stringe al petto e se lo gusta, sapendo che è figlio suo! Spesso, curiosa, lo fissa in volto e fa scivolare lo sguardo su ogni singolo membro del suo sacratissimo corpo; e con serietà e riservatezza avvolge nelle fasce quelle tenerissime membra. Esempio d’umiltà com’era, lo fu anche di prudenza. E con che voglia lo allatta! [39].
Questa sorta di esercizi spirituali che prevedono l’imitazione e l’immedesimazione nel pathos di Maria e del Bambino sono destinati a mutare radicalmente il rapporto con il divino, anche nelle espressioni artistiche.
Le parole dello Pseudo Bonaventura sembrano un commento alle immagini di Giotto o Daddi: Maria compare sempre più come una madre e la sua postura continua a mutare sensibilmente. Si alza raccogliendo le coperte del Bambino, lo prende in braccio vezzeggiandolo e ruota fino a inginocchiarsi.


Maria adorante: l’iconografia occidentale

L’ultimo mutamento della postura di Maria nella scena della Natività coincide con un preciso mutamento spirituale. Ancora il Natale di Greccio, scelto come nucleo centrale in questo excursus, è molto significativo non solo da un punto di vista spirituale e contenutistico, ma anche figurativo.
Francesco rappresentato inginocchiato ad adorare il Bambino istituisce in figura la nuova forma di devozione che stava diffondendo a parole: così come lui può accostarsi alla mangiatoia, ogni fedele che desideri incontrare Dio lo può fare direttamente, senza mediazioni. La figura di Maria, che per secoli era stata veicolo e simbolo dell'umanità di Cristo, scivola in secondo piano: quasi come se di fronte alla presenza umanissima del puer la testimonianza della Madre carnale di Dio non fosse più necessaria. Il fulcro della rappresentazione diviene ora il Bambino, Dio in terra, che si manifesta inerme e infante, vicino a ogni uomo, proprio in grazia della sua debolezza.
E questo è reso con ancor maggiore evidenza nella nuova invenzione stilistica: la stessa innovazione giottesca, ovvero l’introduzione della cifra del realismo, della profondità, dell’espressività, elementi che poi fioriranno nell’epoca successiva, riflette questa visione antropocentrica del divino. Non più ascesi e negazione della vita terrena, non più terrore escatologico, ma esaltazione dell’umanità, della natura, della bellezza fisica [40].
Significativa nell’affresco di Giotto è l’ambientazione cittadina che si discosta dalla lettera della fonte, e la presenza di uno splendido crocifisso visto dal retro, uno dei primi esempi di ricerca prospettica, un particolare che sembra sintetizzare emblematicamente uno dei percorsi semantici che ha guidato questa indagine: prima delle crudeltà e delle sofferenze che saranno inflitte al Crocefisso sta l’amore più tenero e più indifeso della Madre per la sua creatura; prima della Crocifissione – davanti ad essa – sta il mistero della Natività.

La scena inizia a mutare sempre di più dando inizio a una nuova tipologia iconografica che si diffonderà poi in tutto l’Occidente, l’Adorazione.
Interessante è notare come anche in Oriente nei secoli successivi il canone rigido possa essere a volte tradito, a imitazione delle convenzioni ormai vincenti nell’arte occidentale. Un’immagine del XVI secolo, pur restando un hapax, è una dimostrazione interessante di questa influenza di ritorno.
Maria dunque, dopo aver lasciato il suo ruolo di regale Theotókos ed essere entrata da protagonista nella scena della Natività prima come puerpera sofferente, poi come madre affettuosa, diviene essa stessa spettatrice del miracolo, ridotta al rango di Prima adorante.

Neri di Bicci, Natività, XV secolo (Firenze, Palazzo Medici Ricciardi, Cappella dei Magi)


Lei è la prima testimone del miracolo, è la prima ad aver gustato dell’Incarnazione del Signore, è la sua prima credente: ora è Maria che, come aveva già fatto Francesco, invita ogni fedele ad accostarsi al Dio incarnato, umilmente, in ginocchio.
Ed ecco che la scena ruota completamente: Gesù è il fulcro dell’immagine, a terra, nudo, e tutt'intorno, insieme a Maria, a Giuseppe e ai personaggi tradizionali come pastori, angeli e Magi possono irrompere nella scena anche i devoti: lo stesso spettatore del quadro viene assorbito, attratto dentro la scena e diviene comprimario esterno dell’adorazione. La Nascita di Cristo è un evento che avviene in ambiente familiare.
L’accesso al divino è ormai concesso a tutti: Dio è nato per tutti.


Note al testo
1. Stichiron Idiomelon del Lucernario del 25 dicembre, in E. Mercier, F. Paris, La prière des églises de rite byzantin, t. 2/I, Amay 1939, p. 113

2. Vangelo di Matteo 1-2; Vangelo di Luca 2, 1-20; Protovangelo di Giacomo 18-19; Vangelo dello Pseudo Matteo 13-14; Vangelo dell'infanzia arabo-siriaco 3-4; Vangelo dell'infanzia armeno 8-9

3. Si veda la 
tavola ex-novo ex 53, "La Rivista di engramma" 15, marzo/aprile 2002

4. G. Passarelli, Icone delle dodici grandi feste bizantine, Milano 1998; G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000

5. E. Kitzinger, Il culto delle immagini. L'arte bizantina dal cristianesimo delle origini all'Iconoclastia, [1975] 
tr. it. Milano 1992; L. Uspenskij, Teologia dell'icona. Storia e iconografia, [1980] tr. it. Milano 1995

6. L. Uspenskij, 
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7. H. Jedin, Breve storia dei Concili
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; citato anche in Conciliorum Oecommenicorum decreta, a cura di G. Alberigo, J.A. Dossetti, P.P. Joannov, C. Leonardi, P. Prodi, H. Jedin, Bologna 1973, p. 59

9. G. Gharib, Le icone mariane: storia e culto, Roma 1993

10. Conciliorum Oecommenicorum decreta, a cura di G. Alberigo, J.A. Dossetti, P.P. Joannov, C. Leonardi, P. Prodi, H. Jedin, Bologna 1973; Vedere l'invisibile. Nicea e lo statuto dell'immagine, a cura di L. Russo, Palermo 1997

11. L. Uspenskij, 
Teologia dell'icona. Storia e iconografia, [1980] tr. it. Milano 1995, p. 61

12. Giovanni Damasceno, De imaginibus
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13. 
G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000

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20. Agostino, Sermones, in Patrologia Latina, t. 38, col. 999; Giovanni Crisostomo, Sermones, in Patrologia Graeca, t. 56, coll. 387-388; G. Drobot, 
La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000, p. 150

21. Metodio di Lycia, Convivium decem virginum, in Patrologia Graeca, t. 18, coll. 27-220

22. Gregorio di Nissa, Homilia XIII in Canticum canticorum
in Patrologia Graeca, t. 44, coll. 1053-54: 

23. G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000

24. R. Bosi, Gli ordini religiosi. Storia e spiritualità, Firenze 1997

25. M. Dolz, Il Dio bambino: la devozione a Gesù Bambino dai vangeli dell'infanzia a Edith Stein, Milano 2001

26. Anselmo d'Aosta, Meditationes. De humanitate Christi
in Patrologia Latina, t. 158, col. 750: "Deus immensae gloriae, vermis contemptibilis fieri non despexisti; Dominus omnium, conservus servorum apparere voluisti. Parum tibi visum est Patrem te nostrum esse; etiam, Domine, frater noster esse dignatus es. [...] Consolamini, consolamini, qui in sordibus paupertatis enutrimini, quia vobiscum est Deus in paupertate, non cubat in deliciis splendidi cubilis, nec enim invenitur in terra suaviter viventium."

27. B. Botte, Les origines de la Noël et de l'épiphanie, Louvain 1932

28. Aelredo di Rievaulx, De Iesu puero duodenni, in Corpus Christianorum Continuatio Medievalis, 1, 259: "Sic tu nasceris in Cristo et in te sic nascitur Christus."

29. H. Belting, Il culto delle immagini. Storia dell'icona dall'età imperiale al tardo Medioevo, [1990] tr. it. Roma 2001; A. Dupront, Il sacro. Crociate e pellegrinaggi, immagini e linguaggi
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30. P.N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L'arte dell'icona
[1972] tr. it. Milano 1990; P. Florenskij, La prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura di N. Misler, Roma 1990

31. M. Pacaut, Monaci e religiosi nel Medioevo, Bologna 1996; L.M. De Candido, I mendicanti: novità dello spirito, Roma 1983

32. H. Thode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia
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33. Tommaso da Celano, Vita prima, in Fonti francescane, Assisi 1978, p. 84

34. Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Major, in Fonti francescane, Assisi 1978, p. 1186

35. F. Doglio, Il teatro scomparso: testi e spettacoli tra il X e il XVIII secolo, Roma 1990; C. Musmarra, La sacra rappresentazione della Natività nella tradizione italiana, Firenze 1957; A. Rava, L'apparato scenico negli offici drammatici del tempo di Natale, Roma 1940; 
H. Thode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia, [1885] tr. it. Roma 1993

36. L. Bolzoni, La rete delle immagini, Torino 2002; A. Derbes, Picturing the Passio in Late Medieval Italy. Narrative Painting, Franciscan Ideologies and the Levant, Cambridge 1996

37. Chiara d'Assisi, Terza Lettera ad Agnese da Praga, in Fonti francescane, Assisi 1978, p. 2291

38. Bonaventura da Bagnoregio, De quinque festivitatibus pueri Iesu, in Sancti Bonaventurae opera omnia, a cura di J.G. Bougerol, C. Del Zotto, L. Sileo, Roma 1992, t. XIII, pp. 265-285

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H. Thode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia, [1885] tr. it. Roma 1993; C. Frugoni, San Francesco e l'invenzione delle stimmate: una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Torino 1993

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