Don Divo Barsotti. La conversione, condizione necessaria di vita cristiana


Meditazione



Il Signore ci ha detto stamane una grande parola: "convertitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino". Noi dobbiamo cercare di comprendere queste parole del Signore perché sono parole di esortazione, sono parole che implicano da parte del Signore anche una volontà che s'impone al nostro spirito, e noi dobbiamo obbedire. Sono le prime parole che Gesù rivolge iniziando la sua missione pubblica di Salvatore del mondo: sono dunque anche le parole più importanti, le più decisive, le parole senza le quali tutto l'insegnamento di Gesù sarebbe come campato in aria. Noi non possiamo pretendere né di ascoltare né di vivere ogni altra cosa che Egli poi ci dirà, se prima non ascoltiamo e non adempiamo la parola con la quale Egli inizia la sua predicazione e la sua missione di Salvatore del mondo.
Ed ecco l'insegnamento più grande, forse, che ci possono dare queste parole: non si ha vita cristiana senza conversione. Può sembrare che queste mie parole siano eccessive. Non vi sono forse delle anime buone, delle anime pure, delle anime senza peccato? Come dunque queste parole possono essere così decisive, così determinanti da essere la condizione necessaria a una vita cristiana? Eppure questa parola che inizia la "buona novella" di Gesù è una parola che s'impone a tutti coloro che lo ascoltano, senza eccezioni. Non si ha una vita cristiana senza conversione. Che vuol dire? Una cosa semplicissima: che la vita cristiana suppone in tutti o il peccato, o comunque, anche senza il peccato attuale, un certo ripiegamento dell'uomo sopra di sé in forza del peccato originale. Si noti bene, queste parole rimangono attuali non solo all'inizio della predicazione cristiana, ma per ogni anima in ogni stato che ella abbia raggiunto nella vita spirituale, proprio perché, anche eliminato il peccato, rimane questo piegarsi dell''essere sopra di sé come conseguenza del peccato originale.
Oh, io non voglio dire che un santo non abbia superato l'esigenza di una vera conversione, ma dico un'altra cosa: che sulla terra non ci sono santi, nemmeno coloro che sono stati canonizzati. Non per nulla la canonizzazione avviene dopo la morte. Cioè, l'atto primo di ogni anima anche giunta alla perfezione è sempre un atto che deriva dalla natura, che ha la sua radice nella natura, e la natura dell'uomo, fintanto che l'uomo non è stato purificato, fintanto cioè che non ha ricevuto un corpo glorioso, rimane una natura soggetta al peccato. Di qui deriva che il "moto primo primo" anche dei santi, implica veramente la necessità di questa conversione. Bisogna che il santo non ritenga mai di essersi stabilito definitivamente in Dio, cosicché non vi sia in lui nessun tentennamento, nessuna deviazione da Dio. Voi lo sapete, San Giovanni della Croce dice che l'anima giunta all'unione trasformante è conservata in grazia.
È vero e non è vero, ma è più non vero che vero. Perfino la Madonna, che ora impeccante, era però peccabile; e tuttavia la Madonna è nata senza peccato, e pertanto se per Lei non s'impone la conversione è proprio perché è senza peccato, proprio in forza della Concezione Immacolata che Lei non porta le conseguenze del peccato originale. Ma per tutti i santi la conversione rimane legge fondamentale fino al momento in cui l'uomo dà l'ultimo respiro: per San Paolo come per San Pietro, per Santa Teresa come per San Luigi.
La conversione ritmane legge che dura tutta la vita. Non soltanto dunque è universale perché si rivolge a tutti, ma universale perché si rivolge a ciascuno durante tutto il cammino della sua perfezione. Perché? Perché il fissarsi dell'uomo in Dio suppone precisamente la glorificazione dell'uomo, cosa che non avviene prima della resurrezione dei corpi. Nemmeno Santa Teresa, nemmeno San Luigi, nemmeno San Giovanni della Croce aveva un corpo glorioso. Ora questo era il corpo di San Giovanni, quel corpo era il corpo di Santa Teresa; e l'unione dello spirito con questo corpo rende sempre possibile, per lo spirito il deviare da Dio.
Allora è vera o non è vera la parola di San Giovanni della Croce? Ho detto che è vera e non è vera. È vera nel senso che si presume che Dio non permetterà una rottura dell'amicizia con Lui; non è vera nel senso che l'anima, anche giunta al matrimonio spirituale, non possa commettere imperfezione volontaria; e noi lo vediamo proprio nei santi. Anche nei santi le imperfezioni involontarie, ma anche volontarie, almeno minimamente volontarie, continuano fino alla morte. Lo si vede in un testo fondamentale, importante più di tutti i testi dei santi, perché è un testo ispirato: lo vediamo precisamente nella vita degli degli Apostoli dopo la Pentecoste L'insegnamento della Chiusa è formale a questo proposito. Ci dice dunque la Chiesa che gli apostoli nel giorno della Pentecoste, con l'effusione dello Spirito Santo sopra di loro, furono confermati in grazia; e tuttavia noi vediamo San Pietro che manca, ed è rimproverato da Paolo; e vediamo anche Paolo che manca. Lui non lo dice, ma lo dice molto genericamente nelle sue Epistole. È un carattere così imperioso: è difficile dire che non vi sia imperfezione nel suo modo di agire, anche con i suoi discepoli, nei confronti per esempio di Marco. Tutto questo è vero per gli Apostoli anche dopo la Pentecoste. Eppure dobbiamo presumere che abbiano raggiunto una santità che difficilmente è stata non dico superata, ma neanche uguagliata da coloro che poi sono venuti dopo di loro.
Ne viene dunque che noi dobbiamo essere coscienti di questo fatto: che l'uomo è legato essenzialmente ad un corpo, e il corpo nostro è soggetto ancora a tutte le conseguenze del peccato originale; non viviamo in un corpo glorioso, si è detto prima. Anche se noi siamo santi nel nostro spirito, il nostro corpo è quello che è, non è totalmente docile, anche in "atto primo primo", alla grazia di Dio. Perché se lo strumento docilissimo alla grazia divina suppone precisamente questa glorificazione, solo nella resurrezione dei corpi, il corpo dell'uomo diverrà strumento docilissimo allo Spirito, il quale sarà docile a Dio. Vi è sempre nell'uomo, sino alla morte, da combattere, e il suo combattere implica una conversione, implica cioè un volere imporre a noi stessi una legge per essere fedeli a Dio. Vedete, l'ultimo atto di Santa Teresa di Gesù Bambino, un'anima estremamente pura, dice precisamente che lei si è convertita. Infatti, che cosa dice? "Oh, andiamo andiamo! No, non vorrei!". C'è un senso di stanchezza, cioè non ne può più, vorrebbe dunque la sua volontà in qualche modo prevaricare, sostituirsi alla volontà di Dio. Certo è imperfezione minima, ma è sempre una imperfezione, è sempre la sua volontà che vuol precedere la volontà del Signore: "Oh, andiamo, andiamo! No non vorrei!". È un fatto singolare; certamente non toglie nulla tutto questo alla sua santità; ma ci dice come l'anima, anche giunta alla più alta perfezione, è sempre passibile d'imperfezione, o per stanchezza, o per scoraggiamento, o per senso di paura, perché tutti questi sentimenti sono legati essenzialmente ad un corpo passibile, ad una umanità che rimane non totalmente trasfigurata dalla grazia di Dio. La trasfigurazione totale dell'uomo non avviene nemmeno mediante la morte, avverrà soltanto - perché l'uomo è corpo ed anima - con la resurrezione dei corpi.
Allora non si va in Paradiso? Qui vorrei fare una piccola parentesi, perché mi sembra che sia giusto farla. Siccome il Concilio Fiorentino ha definito, proprio per definizione dogmatica, che un'anima completamente pura sale direttamente alla visione di Dio, vorrei richiamarmi all'insegnamento di Antonio Rosmini, il quale dice che l'anima del cristiano è "forma corporis", e pertanto, se il cristiano vive dopo la morte, e vive una vita gloriosa e beatificata, è perché sussiste nel corpo glorioso del Cristo: unico corpo, come ci insegnano la Scrittura e la Liturgia. È dunque un corpo glorioso, anche se vi è poi una resurrezione dei corpi alla fine; cosa anche questa che si può dire definita del tutto, perché molti teologi pensano che la resurrezione anche dei corpi avvenga nell'istante medesimo del nostro morire. Ma lasciando da parte questo, anche se la resurrezione dei corpi dovesse essere rimandata alla fine dei tempi, l'anima non sussiste che nel corpo glorioso di Cristo Gesù. Per questo dopo la morte vi è la possibilità davvero di una trasfigurazione totale dell'uomo, perché l'anima non ha più uno strumento inadatto alle operazioni divine, ma ha lo strumento più adatto di tutti: il corpo glorioso del Cristo nel quale essa vive.
Detto questo, noi dobbiamo ora vedere più attentamente perché la conversione è condizione necessaria e universale. S'è detto prima che noi dobbiamo pensare una conferma in grazia per chi vive il matrimonio spirituale, ma è piuttosto impeccanza che impeccabilità. L'impeccabilità è propria solo per Nostro Signore. In senso assoluto non si può dire nemmeno della Madonna che non potesse peccare, perché altrimenti non ci sarebbe stata in Lei nessuna adesione volontaria e minoritaria alla grazia divina. Non vi e impeccabilità tranne che per il Verbo incarnato, ma per la Vergine e per i santi giunti agli estremi limiti della santità c'è l'impeccanza. Per la Vergine questa impeccanza è purezza immacolata sempre, per i santi non è nemmeno questo: è impeccanza nel senso che non ci saranno più rotture nei confronti di Dio, non nel senso che saranno impedite tutte le imperfezioni. La conversione dunque è necessaria e universale perché una nostra assoluta, definitiva trasfigurazione in Dio non avviene che mediante la glorificazione in Dio. Fino a quel momento, nella stessa nostra natura, indipendentemente dal peccato originale, rimane una libertà che di per sé è ambigua, perché non è la libertà di aderire totalmente al bene con un atto irrevocabile, fermo, assoluto. Non è questa la libertà dell'uomo quaggiù; la libertà dell'uomo quaggiù è quella dell'uomo che è nella prova, dell'uomo viatore. È la libertà di uno che deve scegliere, deve, è una libertà dunque che deve istante per istante determinarsi in una scelta e non può determinarsi in una scelta che in forza di un atto di volontà che deve continuamente ripetersi. Troverà sempre minori difficoltà indubbiamente nella misura che l'anima è rimasta fedele a Dio, tuttavia non può mai pensare l'uomo che l'atto di volontà compiuto una volta abbia valore per tutta la vita, o anche per tutta la giornata; tutta la nostra vita è un continuo successivo atto di adesione a una volontà divina che all'anima si propone. Diviene quasi naturale, intendiamoci, questa adesione alla volontà divina, se l'uomo ama, perché è in forza del suo amore che egli consente alla volontà di Colui che ama. Ma ci sarà sempre bisogno di questo consenso, di questo atto successivo, continuo, di una volontà che aderisce, di una volontà che sceglie che opera una sua conversione.
E perché la scelta è una conversione? Perché il determinarsi di consentire all'atto divino è una conversione? Ecco quello che noi dobbiamo domandarci e che noi dobbiamo dire. È vero che il termine vero di conversione si può dare soltanto a coloro che hanno contratto il peccato originale, dunque per la Vergine no. Nella Vergine c'è bisogno di un consenso continuo alla volontà divina, ma non c'è bisogno di una conversione. Per i santi sì, c'è bisogno di una conversione, perché, come si diceva prima, noi viviamo, e anche quando abbiamo purificato il nostro spirito e la nostra anima, l'anima rimane legata a un corpo il quale non è purificato. Le esigenze del nostro essere corporeo, sensibile - ma non soltanto questo - possono sempre più o meno togliere qualcosa all'esigenza stessa di Dio. Perché questa conversione? Perché vi è il peccato originale. Poi il seguito di tutti i nostri peccati che hanno reso sempre più fragile la nostra volontà, instabile nel bene, e sollecitata continuamente sempre di più dalla forza e dalla violenza del peccato che abita in noi.
Ma, a parte il nostro peccato, dobbiamo richiamarci anche al fatto che la nostra natura umana per sé non può rispondere a Dio che superando se stessa, in quanto la natura umana tende di per sé a una sua staticità, e invece la volontà divina sollecita l'anima continuamente a superare se stessa. Dio cioè non è mai naturale per l'anima, dal momento che Dio è trascendenza; e se non è naturale, s'impone per te sempre uno sforzo. Il tuo consenso a Dio, la tua adesione alla sua volontà; se non implica per te un uscire dai tuoi modi e un trascenderli, un superare te stesso, non è un'adesione a Dio, perché Egli sarà sempre più grande di te, e quindi l'adesione a Lui implica per te sempre un uscire da te stesso, un salire, un tendere. Se questa non è proprio conversione, sono le premesse per la conversione. Anche un'anima pura, anche nella Vergine, l'adesione a Dio implicava un trascendere continuamente se stessa. Ecco perché diceva San Francesco di Sales che la santità di Maria quando Ella nacque era più grande della santità dei più grandi servi di Dio giunti alla fine della loro vita. Ma è in forza della santità posseduta dall'anima che essa è anche sollecitata infinitamente di più a un'adesione a Dio che la sollevi oltre se stessa. Dunque, l'atto che Ella compie appena è giunta all'uso della ragione, appena giunta alla capacità di agire liberamente in un atto libero e responsabile, è un atto che la solleva infinitamente al di sopra di Sé. Dico infinitamente, ma il termine non è giusto, perché si tratta di una creatura; ma certamente nei confronti di tutti gli eroismi dei santi, il primo atto che compie la Madonna appena giunta all'uso di ragione; implica un tale sollevamento, una tale estasi e un tale trascendimento di tutti i limiti umani che noi non riusciremmo nemmeno a capire. Anche se questo non è conversione, implica però una tensione dello spirito, una forza, una volontà di sollevarsi, di tendere a Dio, uno sforzo di tutto lo spirito, un impegno di tutta la volontà, che ci può dare sgomento.
Ma, lasciando da parte la Vergine e anche semplicemente questa tensione che è propria delle anime più pure, la conversione è necessaria proprio perché siamo delle anime che vivono in un corpo glorioso, anime che sono anch'esse purificate tanto che se abbiamo raggiunto una certa purezza ancora siamo sensibili alle tentazioni della vanità, dell'orgoglio, della sensualità, della sensibilità, dell'amor proprio. Se siamo sensibili ancora alle tentazioni è evidente, per certo, che rispondere a Dio non si può che in quanto noi moriamo a questa natura nostra, sia sensibile sia spirituale che ancora è complice del male; noi infatti non saremmo tentati interiormente se la nostra natura non fosse complice. Le tentazioni che subisce Gesù, dicono gli esegeti, sono tentazioni esteriori a Lui, non possono penetrare il suo spirito, perché Egli è impeccabile. Egli è tentato e tuttavia non vi è una complicità col male nella sua anima, cioè non prova una suggestione così da dover combattere contro le tentazioni; ma noi sì. Non credo che vi sia nessuno qui che non abbia mai qualche movimento di amor proprio, di sensibilità, anche di sensualità, o che non sia sensibile alla lode piuttosto che al biasimo, che rimanga indifferente alla malattia e allo star bene; io non credo che vi sia qui qualcuno che sia giunto a tale purezza da poter dichiarare di non essere nella sua stessa natura già in qualche modo inclinato al male.
È vero che noi abbiano compiuto una conversione, cioè abbiamo determinato nella nostra volontà di essere fedeli a Dio. Può essere che sia stata già una virata di bordo molto forte, che abbia reso abbastanza facile per noi poi il consenso alla grazia divina che continuamente ci sollecita. Di fatto è proprio questo che noi dobbiamo fare nella vita spirituale. Perché si fanno le consacrazioni? Voi mi potreste dire: ma mi sono già battezzato quando avevo appena tre giorni, perché devo fare questa consacrazione? Perché poi fare i voti? Perché poi fare i ritiri tutti i mesi? Semplicemente per questo: perché di fatto certi atti hanno la forza d'imprimere poi anche all'automatismo stesso della nostra volontà una certa inclinazione verso il bene. Se tu ti contentassi del Battesimo ricevuto quando avevi pochi giorni, probabilmente poi non vivresti nemmeno lo stato abituale di grazia. Se tu vivessi una consacrazione fatta a 15 anni e tu non la ripetessi più, probabilmente questa consacrazione potrebbe avere avuto una certa efficacia per tre mesi, e poi ritorneresti a vivere la tua vita. Noi lo vediamo: non siamo mai del tutto assicurati contro noi stessi. Ed è proprio questo il pericolo della vita cristiana: ci s'impegna, poi si fa una consacrazione e ci si sente a posto. Dopo tre anni ci si accorge che siamo come prima e peggio di prima. Dopo 10 anni ci sembra che tutto sia finito, o, peggio ancora, non ci sembra che tutto sia finito, perché magari abbiamo continuato a fare le pratiche di pietà, ma quello che noi possiamo fare esternamente diviene un "habitus" che non ha nessun contenuto di amore. Per esempio c'è chi sta volentieri alla televisione, mentre io non ci sto volentieri: ma è virtù? Non è affatto virtù, perché io non ne sento minimamente la necessità. Voi mi dite: ma anche questo è virtù. Bisogna vedere, se è virtù. Le virtù cristiane sono sempre informate alla carità. Ci sono tanti che non stanno alla televisione perché non ce l'hanno! ma voi pensate che sia virtù questa? Non è virtù; così non è virtù in me. La virtù nasce quando quello che faccio è ispirato, è dominato, è informato dalla carità. Quando questo non avviene cessa la vita cristiana.
E questo è vero anche per quanto riguarda non solo il non aver la televisione, ma anche il dire le preghiere, il dire l'Ufficio tutti i giorni, o leggere la Bibbia tutti i giorni; o l'andare agli incontri tutte le settimane che valore ha? Diceva un grande maestro dei novizi che non si rendono conto che anche stare sempre con gli occhi chiusi, il far tutto quello che le regole nel noviziato indicano può divenire una cosa che non costa, che è semplice e facile. Anche; la vita a un trappista, dopo tre anni che ci sta dentro, non gli costa più nulla. L'uomo è l'essere più adattabile di tutti. Se tu ti proponi di non mangiare più carne, per una settimana o due settimane risentirai magari il bisogno della carne, ma dopo due settimane tu mangi la verdura come mangiavi la carne. Non c'è nulla di diverso! E allora che cos'è questa vita cristiana? Più nulla se tu credi che consista negli atti. La vita cristiana non consiste in questi atti, perché gli atti possono essere segno di amore e possono anche non essere segno di amore. È quello che dice San Paolo, quando ci insegna che anche il dare tutte le cose che possediamo ai poveri senza la carità non giova nulla.
Quello che fa la vita cristiana è la carità. Che cos'è la carità? È precisamente la conversione, il volgersi di tutta l'anima a Dio. Nella conversione l'anima si rivolge tutta a Dio. "Conversio" vuol dire volgersi. Che cos'è questo volgersi? È precisamente il vivere noi, nella nostra natura umana, quello che vive ogni Persona Divina nei riguardi dell'altra Persona correlativa. Una pura relazione d'amore, un "essere ad," un volgersi totale di una Persona all'altra Persona correlativa. La conversione dell'uomo è un volgersi di tutto l'uomo a Dio. Noi non viviamo senza amore: per l'uomo vivere vuol dire amare. Già, ma noi possiamo amare noi stessi, possiamo amare il nostro corpo, possiamo amare il nostro orgoglio, possiamo amare il male e possiamo amare anche Dio.
Noi non viviamo mai una vita che sia indifferenza. Molti dicono che l'uomo può vivere o per la carne ("carne" in senso Paolino, in senso di peccato),o per sé, la vita della natura, o per Dio. Io non credo a questo. Non esiste di fatto, concretamente, autonomia che abbia in sé il suo fine. La natura si determina sempre o per il male o per Iddio, ed è sollecitata egualmente, come si è detto altre volte, o da Dio, o dal maligno. Non siamo mai autonomi. E allora è evidente che non possiamo vivere che una conversione: l'ascolto di Dio e il volgersi a Lui.
Ma dobbiamo renderci corto di quello che è il peccato originale. La nostra natura è inclinata piuttosto al peccato che al bene. Questo per quanto riguarda la nostra natura corporea e anche per quanto riguarda la nostra anima, perché il peccato ha creato quasi una falsa autonomia e indipendenza dello spirito, così che l'uomo, se si abbandona a se stesso vuole l'eccellenza di sé (per quanto riguarda lo spirito) e l'affermazione di sé (la volontà potenza). Ecco perché costa tanto l'obbedienza. Se l'obbedienza non vi costasse, allora vorrebbe dire che veramente in voi c'è stata la conversione, ma fintanto che l'obbedienza vi costa (non dico fintanto che voi disobbedite, questo è evidente) vuol dire che in voi, in fondo, c'è una certa complicità col male, perché c'è sempre una ricerca della "voluntas propria" nei confronti della volontà divina. E, come il nostro spirito tende all'affermazione di sé, così il nostro essere corporeo tende al piacere, a riposare in un certo godimento, che può essere piacere venereo, piacere sensibile comunque: nel mangiare, nello stare a sedere, nel camminare, ecc. In ogni cosa si cerca noi stessi, il nostro corpo vuol trovare il suo riposo. Non è che ci si adatti con indifferenza; non c'è mai un atto indifferente per quanto riguarda né il nostro corpo né il nostro spirito; e d'altra parte ogni nostro atto dice sempre un certo rapporto e con il nostro corpo e con il nostro spirito, in ogni nostro atto noi dobbiamo sempre vincere questa volontà dell'essere corporeo di trovare un riposo, un godimento, un certo assestamento in sé, e dobbiamo vincere il nostro spirito che tende sempre ad affermare se stesso indipendentemente da Dio. E invece tu sei chiamato sempre e soltanto ad affermare Dio, non ad affermare te stesso.
Per questo la prima cosa che si dovrebbe imporre nella vita spirituale, in un conversione vera, è lo spezzare. Bisognerebbe che si facesse nella vita religiosa quello che facevano i Padri del deserto, non perché l'obbedienza è più efficace in ordine all'apostolato, o perché l'obbedienza è più giusta per il fatto che il superiore vede meglio le cose, ma perché l'obbedienza ha valore in sé e per sé in quanto spezza la nostra volontà. È meraviglioso quello che ci insegna la vita degli antichi Padri del deserto: un'obbedienza che esigeva per esempio, di annaffiare una pianta, piantata al contrario. È una cosa che si dovrebbe fare proprio per stroncare la volontà propria che c'è in ciascuno di noi. Quello che ti costa, quello che ti sembra del tutto assurdo, quello dovresti impegnarti a fare per costringere la tua volontà e la tua intelligenza a piegarsi, a spezzarsi, perché fintanto che tu non hai spezzato questa durezza dello spirito, questa affermazione di sé che è la radice della nostra vita più intima, fintanto che tu non hai spezzato questo non è possibile per te vivere una vita spirituale: perché la vita spirituale è accettare la volontà di Dio, non la tua volontà.
Ecco perché dicono gli antichi che l'ostacolo fondamentale alla vita spirituale è la "voluntas propria". Fintanto che c'è in noi una volontà propria non è possibile vivere una vita cristiana, anche se questa volontà propria noi la viviamo con le macerazioni, con dieci ore di adorazione, con la castità più perfetta, con la generosità più grande verso il prossimo; noi andiamo perfettamente e direttamente all'inferno. L'uomo non cerca altro che sé. È quello che dice – notatelo bene - il più grande scrittore filosofo e teologo, che abbia avuto la Russia, Soloviev. Per lui l'Anticristo è colui che realizzerà il bene massimo dell'umanità - la pace dei popoli – e sfamerà tutti coloro che avranno fame, e sarà giusto, ed eserciterà il suo potere politico con la massima giustizia per il bene degli altri, ma lo farà per sé, per crearsi un piedistallo di gloria e mettersi al posto di Dio. Molto meglio essere peccatori, adulteri! Ecco perché Nostro Signore li amava. Ma capite che è una cosa terribile? Nostro Signore amava le prostitute, Nostro Signore stava con i ladri, e non gli piaceva stare con i farisei. Perché? Perché essi confidavano nella loro giustizia. Alla radice del nostro peccato c'è sempre l'orgoglio, più ancora della sensualità, questo orgoglio per il quale vogliamo vivere noi stessi; e tante volte il tendere alla santità è il nostro peccato peggiore, perché si cerca noi stessi, anche nella santità; non si cerca la gloria di Dio, si vuol metterci al sicuro, si vuole affermare noi stessi; e soprattutto questo è vero nel Cristianesimo stesso, proprio perché per molte anime la ricerca della perfezione è una ricerca soltanto di se stesse, e non se ne rendono conto. Ci sono tante anime che sembrano buone, pie, sante, e andranno all'inferno; anime che s'incenserebbero loro stesse, e sono anime infernali, perché non fanno altro che guardare se stesse, e si sentono già al sicuro, si sentono già perfette. È terribile questa ricerca di sé! Si può cercare la santità anche per se stessi e non per Dio. La conversione impone precisamente questo spezzare la "voluntas propria", questa ricerca del proprio godimento; ma prima di tutto la nostra volontà, perché voi lo sapete benissimo, l'atto umano, fintanto che non attinge alla volontà, fintanto non è un atto volontario e cosciente, non può essere peccato, perciò la prima cosa che dobbiamo spezzare - ecco la conversione - è certamente la volontà nostra.
Ma come si può spezzare la nostra volontà? È un problema che dobbiamo porci. Intanto dobbiamo capire questo: spezzare la volontà: propria. E chi è che non ama la propria volontà? Si è detto prima: la volontà, anche se è la volontà dello spirito, ma la volontà inferiore perfino in Nostro Signore deve aderire a Dio in uno sforzo, in una tensione per superare la propria natura. Dio trascende la nostra natura. Perfino nell'umanità del Cristo la volontà inferiore, la volontà legata cioè alla sua sensibilità, deve trascendere Se stesso: "non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu". Perfino in Nostro Signore! E non lo abbiamo visto anche in Santa Teresa di Gesù Bambino: "Oh, andiamo, andiamo! No, non vorrei!". Vi è una volontà propria che è legata precisamente allo spirito, e allora c'è il peccato, c'è veramente il mettersi al posto di Dio, c'è una idolatria di sé più o meno velata, più o meno cosciente. Ma vi è una volontà inferiore che è legata alla sensibilità, e, come si è detto prima, se la "voluntas propria" legata allo spirito può essere veramente vinta - ecco l'anima pura - non può essere vinta mai totalmente questa volontà inferiore legata alla nostra sensibilità, perché il nostro corpo ancora non è trasfigurato, è un corpo passibile che non può non sentire per esempio lo sgomento nei confronti della morte, l'orrore della sofferenza. Ecco Nostro Signore: "Se è possibile, passi da me questo calice; tuttavia non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu". "Non quello che io voglio": la volontà inferiore, legata alla sua sensibilità umana, legata alla sua natura sensibile, rifugge, pur essendo Egli Dio, da questa tensione per la quale tutto l'essere suo deve portarsi a Dio attraverso la morte.
Ma prima di arrivare a questa tensione, per noi c'è la conversione vera e propria, cioè uno spezzare, un convertirci, un volgerci da una parte all'altra, un rialzarci. Tu che sei piegato e guardi la terra devi rialzare il tuo occhio verso il cielo; una virata di bordo! Per quanto riguarda la "voluntas" inferiore, la volontà legata alla tua sensibilità, non si può parlare nemmeno di vera conversione, ma per quanto riguarda invece la volontà superiore, la volontà dello spirito, se non è perfettamente conforme alla volontà del Signore, evidentemente tu non puoi vivere la tua vita cristiana, che è una continua conversione.
Vorrei che noi meditassimo più attentamente la necessità di una conversione perenne, perché via via che procediamo nella via del Signore le esigenze di Dio divengono sempre più grandi, e noi convertiamo sempre maggiormente le impurità radicali della nostra anima. Non solo, voi vedete, chi è peccatore sente meno il suo peccato di chi vive vicino a Dio. Quanto più ci si avvicina a Dio, tanto più avvertiamo quanto in noi resiste alla divina volontà, quanto in noi si oppone alla santità divina. Quanto più ci avviciniamo a Dio tanto più la luce divina scopre in noi abissi di tenebra. Di notte tutti siamo belli, ma è nella luce del giorno che appaiono le ombre, ed è nella luce di Dio, via via che ci avviciniamo a Lui che ci appare sempre più chiara la nostra indegnità, la nostra miseria. È un indice questo; noi veramente viviamo una vita cristiana se noi sentiamo il nostro peccato, se noi riconosciamo il nostro peccato, se noi veramente lo vediamo. Ed è una cosa terribile, guardate, una delle cose per me più terribili che ho notato avvicinandomi a certe anime, che queste anime si sentono così tranquille, si sentono già nell'unione trasformante. Mi ricordo che in un Carmelo dissi: "In questo Carmelo (era il quinto giorno che predicavo), mie care consorelle, vi assicuro in nome di Dio, e ve lo garantisco io, nessuna fra di voi è giunta all'unione trasformante, nessuna è giunta alle sette mansioni. Ma fatela finita! Pensate di essere ancora dei bambocci che non sanno ancora camminare!". È una cosa terribile pensare a queste anime; come si mettono subito a posto, hanno già passato tutte le purificazioni passive, hanno passato tutte le purificazioni dello spirito, sono tutte beate in Dio! E proprio fra queste carmelitane si vedono certi ruzzoloni, certi tracolli! Vi ho già detto che nel Carmelo ho conosciuto un anima sola che io credo che fosse giunta all'unione trasformante. Delle altre nessuna! - e posso anche sbagliarmi! Che cosa ho visto in quel Carmelo, per cose da nulla! Vuol dire che ancora la loro sensibilità, il loro amor proprio, era ben vivo! Per un nonnulla si perde la vocazione, per un nonnulla si creano tali dissensi , tali dissapori, tali contrasti, tali litigi, tali tensioni dentro la comunità che è meglio avere 50 figlioli da mandare avanti che esse-re carmelitane! Perché c'è la presunzione di essere sante e vanno dirette all'inferno queste anime, perché legate così al loro meschino egoismo, al loro piccolo amor proprio, alle loro piccole idee a cui non sanno rinunziare, mentre l'amore che una madre deve ai propri figli, essendo basato su un amore naturale, è di per sé oblativo. Guardate che la castità perfetta è un bell'imbroglio! Può essere una grande cosa, ma come ci lega di più a noi stessi se non stiamo attenti!
Soltanto nella misura che noi ci sentiremo peccatori possiamo dire di essere salvati, soltanto nella misura che sentiamo davvero la nostra povertà, la nostra miseria, il nostro peccato, noi siamo nella via giusta, perché giustamente, nella misura che ti avvicini a Dio la santità divina risplende sempre più al tuo sguardo e nei confronti della santità divina ti appare sempre di più la tua povertà: e allora da questo contrasto nasce in te il bisogno della conversione. Soltanto la luce di Dio che ti fruga nel più intimo del tuo cuore può farti scoprire quello che sei.
Conversione perenne attraverso questo cammino, ma conversione anche universale e necessaria proprio perché, come dicevo prima, indipendentemente dal fatto di un progresso continuo che pochi vivono, vi è la necessità di una conversione che dobbiamo periodicamente ripetere perché, naturalmente, tutto l'essere nostro tende a trovare quiete anche nel mangiare soltanto fagioli, anche nell'alzarsi tutti i giorni alle quattro, nel condurre magari la vita che sembra così' austera del trappista. Ci si ripiega, ci si addormenta. Allora s'impone una conversione, cioè s'impone che la nostra vita sia atto di conversione, sia atto di volgersi, atto di amore. Vi ho detto prima che la conversione non avviene che in quanto ti rivolgi all'altro, non ti chiudi in te stesso. Tu puoi vivere per te anche la vita del trappista, come puoi vivere per te la vita del gaudente del mondo. Un trappista dopo trent'anni che vive nella trappa, se tu lo porti a vivere nel mondo, vive peggio che nella trappa. Ormai si è accomodato lì, ha la sua stanza, è tranquillo, tutto per bellino, vive la sua vita, nessuno gli dà noia, il silenzio può essere anche una buona difesa al proprio egoismo. Ma la conversione s'impone per tutti noi in forza di questo, in forza del fatto che l'uomo è un essere che si adatta e nessun regolamento di vita ci assicura la vita dell'amore, il permanere nell'amore, il vivere continuo dell'amore per Iddio. Così s'impone per noi il richiamarci a questo.
Il ritiro mensile dovrebbe essere proprio lo svegliarino, dovrebbe essere veramente un colpo d'ala, un risvegliarci da un certo torpore, perché per tutti è facile addormentarsi; ed è terribile pensare che noi ci si possa illudere su questo, ma è anche molto facile illudersi. Un certo momento viene a noia riprendere sempre il cammino come se non avessimo mai fatto nulla, eppure dobbiamo farlo spesso. Quante volte si pensa: "Oh! finalmente sono a posto, ho fatto la consacrazione", oppure "Oh, sono arrivata ai voti, a fare i voti!" ed e allora che tu devi cominciare. Quanto spesso tu pensi: "Ma quest'anno come tutto è andato bene, mi sembra che se continuassimo così...". Nella misura che tu dici queste parole, già tu accusi che l'amore è finito, e cioè ti sei trovato una certa sistemazione. Non certo peccati gravi, non certo cose gravi, ma una vita tranquilla, pacifica, in cui Dio non entra più. Dio davvero è un vento che sbaraglia tutto, è un uragano che squarta fin nel profondo l'anima e la trascina con Sé. Come possiamo dire di essere giunti al porto se non siamo giunti ancora nel seno di Dio? Vi ricordate quello che disse San Francesco a quel contadino che lo lodava? "Figlio mio, non far tanto presto a canonizzarmi, ancora posso mettere al mondo dei figli!". Disse proprio questo, e credo che avesse già le stimmate. Nessuno è al sicuro; noi dobbiamo sentire l'insicurezza del nostro cammino, non tanto per vivere nello sgomento, nella inquietudine, quanto per vivere l'amore, cioè una conversione a Dio che implichi per l'anima un togliersi a se stessa, uno strapparsi alla propria radice, un volgersi a Lui che la chiama. La conversione dunque è rapporto personale. Non c'è conversione dello spirito che in forza dell'amore e l'amore implica di per sé un rapporto personale.
Ecco allora che cosa s'impone: questo volgersi dell'anima a Dio giorno per giorno, ora per ora, in un sentimento della nostra impotenza, della nostra debolezza, della nostra miseria, del bisogno che abbiamo della sua misericordia. È condizione, dicevo, necessaria e universale. Nessuno deve illudersi. Direi che è una grossa illusione quella di voler pensare sempre alle cose più alte della vita spirituale e non a questa che è la condizione terminale di ogni ascesa, di ogni cammino. È veramente morto in noi ogni egoismo ogni amor proprio? È veramente finita in noi ogni aspirazione a un godimento in cui il nostro corpo trovi un certo riposo? Ricordo il Cardinale Schuster che aveva fatto il proponimento di non trovare mai in nessun atto il pieno riposo; nello star seduto, nello stare in piedi; nel camminare, nel dormire, nel mangiare, sempre che il corpo trovasse una sua mortificazione. È terribile pensare a quello che facevano questi santi e quello che facciamo oggi! Non siamo più capaci di mortificarci, e invece, se noi volessimo vivere veramente una conversione reale, non solo per quante riguarda il nostro spirito nell'orgoglio, ma per quanto riguarda il nostro corpo nella sensualità, noi dovremmo trovare riposo nella pena; come il libertino cerca il piacere, così noi dobbiamo cercare la mortificazione, la pena. Abituiamoci anche a piccole cose, non tante, ma sempre, in ogni cosa. Non cerchiamo mai la piena soddisfazione il pieno riposo, come per esempio lo stare a sedere nella poltrona più comoda, e così nel dormire, nel mangiare, nel camminare. Come è bello per esempio se abbiamo le scarpe strette, non vi pare?
Cerchiamo in tutte le cose non il nostro riposo, ma qualche cosa che ci scuota, anche perché la natura, se trova il suo riposo si addormenta, c'è come un addormentarsi dell'amore, un addormentarsi della tensione, poi dello spirito, e questo sprone che noi diamo alla nostra anima è come lo sprone per il cavallo, quella cosa che lo incita se no non corre. Così noi ci si addormenta, si rimane nella nostra quiete. Cercate le cose piccole, non fate cose grandi, perché la cosa grande è pericolosa: c'entra di mezzo l'orgoglio. Non si tratta di far cose grandi, ma di accettare le piccole mortificazioni e di viverle, ma anche cercarle in ogni cosa; sono esse che mantengono desto lo spirito.
ùAnche vivere una conversione continua e impossibile proprio perché noi ci lasciamo portare dalle cose. Quanti atti viviamo che siano veramente atti di amore? Ormai viviamo una vita abitudinaria: ci si alza alla talora, si fa la tal cosa, non ci si accorge nemmeno di farla, talmente siamo abituati a farla, e allora non possiamo vivere certamente una vita spirituale che implica di per sé una vita di amore. Se vogliamo essere desti non dobbiamo addormentarci, ma per non addormentarci bisogna fare qualcosa. Sapete che cosa faceva Santa Rosa da Lima? Legava i suoi capelli a un chiodo che era sulla parete e quando la testa le cadeva giù il dolore le impediva di dormire. Oh, non voglio dire che dovete far questo, ma dovete fare in modo che qualche piccola cosa vi mantenga vivi, desti nell'amore. Qualche piccola pena, qualche piccola mortificazione che vi mantenga desti nell'amore. Oggi noi cristiani non si parla più di mortificazione, ma allora non si può parlare più nemmeno di amore. Un'anima che non è capace di far nulla per il Signore non è un'anima che lo ama.
Noi dobbiamo cercare di fare piccolissime mortificazioni, e più piccole sono meglio è, perché se no subito ci gloriamo; siamo così miseri, così piccoli uomini, che troviamo modo di trasformare anche quello che può esser virtù, in un motivo ancor maggiore di peccato: l'orgoglio, e allora ci si gonfia. Siamo delle anime, anche mortificate, siamo delle anime per bene, delle anime che vanno verso la santità! Piccole mortificazioni, piccolissime, ma facciamole, ma impegniamoci a farle; è una cosa che dobbiamo fare. In tutte le cose possiamo trovare motivo di mortificazione, anche nell'ascoltare una persona che ci parla, in questa disponibilità, e poi nel mangiare, nel vestire. Ve l'ho sempre detto che dovete vestire con proprietà, ma tante volte l'agghindarci è in ordine proprio al piacere, più o meno consapevole, ma c'è sempre anche questo. Tutto questo dobbiamo cercare di eliminarlo pian piano.
Mortificazione: la conversione suppone questo, perché noi dobbiamo sapere che fintanto che la nostra natura non è perfettamente connaturale con Dio, finché la nostra volontà non è perfettamente all'unisono con la volontà divina, tutto tende in noi a farci vivere per noi stessi e non per Lui, a far sì che anche Dio stesso sia a nostro servizio. Noi vorremo strumentalizzare perfino Dio al nostro godimento e al nostro orgoglio piuttosto che piegare noi stessi alla sua volontà, e molto spesso le nostre ribellioni a Dio, o, se non proprio ribellioni, un certo senso di stanchezza nella vita spirituale, è proprio perché ci sembra che la vita spirituale non serva a nulla, perché non serve al nostro orgoglio, perché non serve alla nostra sensibilità. Quante volte mi son sentito dire anche riguardo alla Comunità: "Questa comunità mi ha fatto soffrire qui, mi ha fatto soffrire là...". Ringrazia Dio se nel vivere insieme agli altri tu hai dovuto smussare un po' il tuo orgoglio, della sensibilità! Che cosa chiedi tu alla vita religiosa? Chiedi forse l'affermazione di te stesso? Chiedi forse alla vita spirituale un godimento che non hai trovato nella vita umana? "Ormai sono invecchiato, non ho trovato mai nulla, cercherò di trovare almeno una famiglia nella Comunità". Cercavi questo? No: si cerca Dio, ma Dio non lo si cerca e non lo si possiede che in quanto ci si libera di noi stessi. La morte all'amore di noi stessi è la condizione ineliminabile di una vita cristiana.
Questo ci dice questa parola di Gesù: "Convertitevi!". Chiediamo al Signore che Egli ce lo faccia comprendere perché noi ci sentiamo veramente impegnati a viverla. Convertiamoci veramente a Dio stamani, risolviamo di impegnarci con sincerità a liberarci da tutto quello che alimenta in noi l'amor proprio, l'orgoglio, la volontà propria, la sensualità. Preghiamo il Signore che noi ci sentiamo impegnati a strapparci a queste radici per volgerci a Lui nella morte, e ricordiamoci che se non sentiamo questo bisogno di conversione la nostra condizione è già disperata: vuol dire che noi non solo ci siamo addormentati nella nostra vita senza amore, ma vuol dire anche che nemmeno la Parola di Dio sembra più capace di risvegliarci dal nostro sonno e noi siamo come quegli uomini dei quali diceva San Tommaso Moro, che sono già in cammino per precipitare nell'inferno o già vi precipitano e non se ne rendono conto; se ne rendono conto soltanto quando, caduti dall'alta torre, arriveranno a sfracellarsi. Fintanto che non giungono giù non c'è dolore, non c'è pena, però, quando giungono giù è lo sfracellarsi. Per molte anime è così: la vita quaggiù sembra come un sonno che non ammette altro risveglio che per la condanna.Che non sia per noi così! Svegliamoci prima per volgerci a Dio. Basta che noi ci volgiamo a Lui con un sentimento sincero di amore e di pentimento perché Egli ci accolga e ci doni già con la sua grazia una volontà nuova di rispondere. È in questa volontà nuova che noi vivremo questa conversione. "Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino".

Omelia


"Convertitevi": questa parola di Gesù, noi ora l'abbiamo udita e proclamata solennemente durante questa santa liturgia. Da allora, Gesù cominciò a dire: "Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino". Abbiamo detto che questa conversione è condizione necessaria e universale di vita cristiana, ma noi dobbiamo capire in che cosa essa consiste, in modo più particolare, più diretto, più chiaro. Che cosa vuol dire il Signore quando solennemente proclama, esorta e comanda: "Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino"? che cos'è questa conversione?
Il termine usato nel greco evidentemente ci aiuta a comprendere il senso della parola e della predicazione del Cristo. Non si tratta soltanto di volgerci da una cosa a un'altra, o da una persona ad un'altra: questa conversione è una conversione non del corpo ma del "nous","metanoia" (usa questo termine il Signore) è la conversione dello spirito. Anzi sarebbe della mente, ma il "nous" nella letteratura cristiana antica sta per "spirito"; "pneuma" e "nous" sono la stessa cosa nell'uomo, ma il termine di "nous" si usa proprio per non confonderlo con lo Pneuma divino che sarà dato agli uomini in forza della grazia.
Allora, se noi consideriamo l'uomo come l'ha veduto Paolo, noi vediamo che nell'uomo c'è il corpo, l'anima e lo spirito, lo spirito che qui sarebbe il "nous", la mente. Che cosa s'intende qui per spirito, "nous", mente? s'intende soltanto l'intelligenza, s'intende; la volontà? S'intende qualche cosa di più profondo della volontà e della intelligenza. Quelle sono le facoltà, sono le potenze dello spirito, non sono lo spirito. Lo spirito è la radice da cui si partono, si. può dire, questi due rami, queste due potenze che poi sono all'origine di tutta l'attività umana. Infatti ogni attività umana suppone la coscienza e la responsabilità: presume dunque una volontà e una intelligenza e l'esercizio della volontà e della intelligenza, ma lo spirito, proprio perché è uno, è la radice profonda in cui queste due potenze si ritrovano ad essere uno. È come la sorgente prima di tutta la vita dell'uomo.
Troppo spesso noi siamo chiamati non solo a distinguere, ma anche a dividere una operazione dell'intelligenza da una operazione della volontà; troppo spesso noi siamo chiamati a dividere, oltre che a distinguere, la volontà dall'intelligenza. Ora l'intelligenza è stata data all'uomo per agire, e l'agire dell'uomo non è un agire umano se non è guidato dall'intelligenza, volontà e intelligenza, pur essendo distinte come potenze, tutte due sono impegnate nell'atto umano. Dunque procedono da una radice unica che è lo spirito, tendono ad un fine unico che è l'atto umano.
Se dobbiamo convertirci, quello che deve convertirsi non è semplicemente la volontà, non è semplicemente l'intelligenza, è lo spirito. Perché dico lo spirito? Indubbiamente, prima ancora della volontà potrebbe essere l'intelligenza che deve convertirsi, ma non è l'intelligenza da sola e nemmeno la volontà da sola: è lo spirito, cioè il nucleo centrale, la radice prima da cui derivano poi queste due potenze. Che cosa s'intende per conversione dello spirito? Il volgersi dell'uomo nella sua unità spirituale, il centro dell'essere, il centro più segreto dell'essere umano; il volgersi di questo uomo nel centro dell'essere suo.
Volgersi! Ma a chi è volto? Se si tratta di una conversione vuol dire che già in qualche modo è rivolto verso qualcuno; ed è questa la prima cosa che dobbiamo pensare. Una conversione suppone già che noi siamo rivolti a qualcuno. L'uomo può non essere rivolto? Ecco il problema! Noi non siamo, noi siamo "ad"; l'essere, nella Bibbia non è mai l'essere della metafisica greca; l'essere nella Bibbia è un essere determinato dall'amore, è un essere che implica sempre un volgersi "verso". Già in Dio essere è amare, amare è essere. Così anche l'uomo. L'essere umano è essenzialmente amore, ed essendo essenzialmente amore non riposa in se stesso ma tende a volgersi, e si volge necessariamente a quello che ama. Se deve volgersi, se deve convertirsi, vuol dire che l'uomo è già in qualche modo rivolto e rivolto indebitamente a qualcosa a cui non deve volgersi.
Cioè, per dirlo in altre parole: la parola di Gesù suppone che tutta l'umanità si trovi in uno stato di alienazione, fuori centro; si trovi fuori della propria destinazione, del proprio orientamento. Nessuno di noi è orientato in un modo perfetto, nessuno di noi vive veramente la sua esistenza così da realizzare pienamente il suo fine. Dobbiamo convertirci. Ma che cosa vuol dire questa con-versione? Se noi siamo convertiti a qualche cosa, perché dobbiamo convertirci a qualche altra? A che cosa siamo convertiti, a che cosa dobbiamo convertirci? A che cosa siamo rivolti, a che cosa dobbiamo ora volgerci? Ecco il problema. Intanto una cosa: Dio poteva non permettere il peccato. Ma se non permetteva il peccato, Egli doveva accettare che l'uomo vivesse in uno stato di prova, perché per essere uno stato di prova reale quello nel quale Dio poneva l'uomo, o prima o dopo l'uomo avrebbe dovuto scegliere. Ma se viene impedito di scegliere, l'uomo non è più uomo. Cioè, per dirlo con altre parole: sembra che Dio non potesse, nemmeno non permettere il peccato; e ci sembra una grandissima provvidenza, uno dei più grandi doni di Dio, che Egli abbia permesso che il primo atto dell'uomo fosse il peccato. L'ha permesso, non voluto; ma è l'atto supremo della Provvidenza divina l'aver permesso che il primo atto dell'uomo fosse un atto di peccato. Certamente questo atto trascinava tutta l'umanità, la convertiva tutta verso un oggetto indegno: il male. Tuttavia era proprio perché il primo atto dell'uomo trascinava tutta l'umanità nel male che Egli allora poteva redimere in un secondo tempo tutta l'umanità, in modo che tutta l'umanità dovesse la sua salvezza a Lui, alla sua misericordia infinita.
Rimane vero però che per il peccato dell'uomo tutta l'umanità si trova dunque alienata, fuori del suo centro; si trova rivolta al male piuttosto che al bene. Non esiste una natura che tenda di per sé al bene, e questo non solo per il peccato originale, ma anche per un altro motivo: il bene trascende l'uomo, e l'uomo non può volgersi al bene che in forza della grazia divina che lo sollecita e lo porta. L'uomo può invece volgersi al male. Perché? Che cos'è volgersi al male? che cos'è il male? Una deficienza dall'essere. Ora, siccome la creatura è tratta dal nulla, è per sé naturale alla creatura, per forza d'inerzia, di tendere al nulla. Provate a buttare un sasso per aria vi ricade sulla testa, non è forse vero? Così la creatura, che è tratta dal nulla, non ha in sé la capacità di rimanere sull'abisso del nulla: nell'abisso del nulla ricade; ed è questo che l'uomo di per sé, se non si affida ad una grazia che lo solleva, decade. Vi dicevo prima che io non accetto che l'uomo possa seguire la natura e seguire Dio: non si può seguire la natura, la natura di per sé è statica. Può soltanto o precipitare di nuovo nel nulla, o essere sollevata da Dio, e l'uomo nell'un caso come nell'altro sempre dipende o dalla tentazione dal maligno, oppure dalla grazia divina.
Ma il maligno ha buon gioco in noi; è più facile cioè rispondere al maligno che a Dio, perché nella nostra natura c'è questa forza di inerzia che ci riporta al nulla dal quale siamo stati tratti. Per ciò è stato; non direi necessario, ma quasi inevitabile che il primo atto dell'uomo fosse il suo precipitare nel male. Addirittura, per molti teologi doveva essere il peccato il primo atto dell'uomo. Questo io non lo dico, ma che sia quasi inevitabile, lo penso, proprio perché nella nostra natura vi è tutta questa propensione già di per sé a ricadere nel nulla. In sé non ha ragione sufficiente di esistere la creatura, non ha in sé la forza di resistere nemmeno nello stato in cui Dio la pone. Non si può vincere la forza d'inerzia che ci riporta giù in basso, che ci riporta di nuovo al nulla dal quale siamo sollevati dall'amore di Dio, se non per la forza creatrice di Dio che ci solleva sempre più verso di Sé. Un sasso che tu getti in alto, se è scagliato con molta forza può continuare il suo percorso fino a vincere l'attrazione della terra, ma per quanto riguarda l'uomo, egli non è mai sottratto al fascino dell'abisso, alla forza che lo riporta nel nulla, perché il nulla è l'origine prima dell'essere suo, e a questo nulla senza la grazia egli è naturalmente ricondotto. Allora l'unica cosa che può sollevarti è questa forza della grazia divina, quella grazia che ti ha sollevato dal nulla dandoti l'essere, e ora ti solleva a sé mediante quella che precisamente si chiama grazia soprannaturale. La grazia soprannaturale non è altro che la continuazione della creazione dell'uomo. La creazione dell'uomo diviene la condizione perché l'uomo si sollevi a Dio, ma portato dalla forza divina di Colui che lo chiama.
L'uomo una volta creato poteva scegliere Dio, ma se sceglieva Dio gli rimaneva sempre la libertà, e un giorno o l'altro avrebbe potuto dire di no; e allora era difficile veramente che Dio avesse per tutti la medesima misericordia. Alcuni avrebbero dovuto la propria salvezza a se stessi, altri invece a Dio. E quelli che avrebbero dovuto la salvezza a se stessi sarebbero stati meno salvati di quelli che avrebbe salvato Nostro Signore? Quelli che si sarebbero salvati per conto loro avrebbero dovuto meno a Dio di questi altri? Io penso invece che sarebbero stati allora più privilegiati quelli che avrebbero peccato di quelli che non avessero peccato: "O felix culpa...". Ma allora Dio ha voluto che tutta l'umanità fosse una umanità di peccato? No, lo ha permesso perché là dove è abbondato il peccato, come dice San Paolo, dovesse sovrabbondare, con il mistero di una Incarnazione redentrice, la misericordia infinita di Dio, l'amore infinito di Dio!
Noi siamo dunque rivolti al nulla, tutto in noi tende al nulla, in forza precisamente e della nostra creazione e del peccato che è 'subentrato alla creazione medesima. Il peccato in qualche modo ha determinato il volgersi della creatura: la creatura si volge ora veramente al male. Come può allora volgersi a Dio? Ecco la conversione. La conversione suppone un risveglio della coscienza, suppone un atto nuovo di creazione. Come avviene questo atto nuovo di creazione di Dio? Ecco, le parole del Vangelo ci possono chiarire questo mistero. Il Vangelo ci parla di conversione, e si è detto che il termine ha rapporto con il "nous" e il "nous" qui non vuol dire tanto la mente quanto lo spirito, il centro dell'essere umano. Dio nella conversione chiama. Le parole stesse di Gesù son le parole che rendono possibile la conversione medesima. L'uomo non si sarebbe convertito; ecco perché la condizione prima, universale e necessaria di una vita cristiana è la conversione, ma la conversione d'altra parte non è opera dell'uomo. Come Dio aveva creato l'uomo chiamandolo dal rulla, così ora lo chiama da questo suo peccato a Sé. La conversione è dunque un volgersi dell'essere umano nel suo intimo centro a Dio. Ed ecco la prima cosa che dobbiamo fare. Guardate che la conversione al male non implica di per sé nemmeno l'amore, perché non implica di per sé nemmeno un rapporto personale. Quando tu pecchi, non ami il demonio. Ciò che ti attrae è il nulla da cui sei stato tolto per la creazione divina, e questo abisso del nulla non è persona. Ma un volgersi a Dio implica un rapporto personale, implica dunque l'amore. Nel volgersi al male non c'è l'amore, c'è una forza d'inerzia che ti getta giù, un senso di riposo, un godimento delle cose e anche l'affermazione dello spirito: l'orgoglio; ma non c'è un volgersi a qualcuno. Il volgersi, la conversione, non è possibile se lo spirito umano non si rialza, non vede, non ascolta. La conversione è una chiamata nuova, è l'ascolto di una parola, ascolto di uno che chiama, la visione di uno che è presente; e da questa visione, e da questo ascolto nasce una nuova vita per l'uomo, che è la "conversio", nasce cioè l'atto di un amore che ci fa volgere, non più a un abisso del nulla, ma, dicevo prima, a una persona vivente che chiama. La conversione è sempre questo, è l'inizio di un rapporto.
Io son d'accordo con il Concilio di Trento nel dire che non tutte le opere dei pagani fossero peccato, contro quello che diceva Sant'Agostino. Però devo dire che sono molto d'accordo anche con Sant'Agostino, e se non posso dire che tutte siano peccato, però non posso dire nemmeno che le opere buone dei pagani siano buone, perché partono sempre da una radice di peccato, anche se non sono peccato attuale. Cioè, per dirla in altre parole: non esiste una bontà vera al di fuori del Cristianesimo, al di fuori di una risposta alla chiamata di Dio, perché le sollecitazioni alla tua azione hanno una radice che è il fatto che tu sei rivolto al male. Con questo intendo dire che la bontà nella vita cristiana, non è assolutamente la virtù: la virtù ci può essere anche in chi vive nel male; perciò, anche se tutti gli atti dei pagani non sono peccato, c'è però un peccato iniziale che rende del tutto senza frutto anche le loro virtù. E siccome non c'è una natura pura, e siccome allora tutti questi atti anche di virtù non sono sufficienti a salvare l'uomo, ne viene che la "conversio" consiste in un rapporto. Tu ti rivolgi a Uno che ti chiama, ti incontri con Uno che ti parla; tu lo vedi, ti volgi a Lui e ti apri all'amore. Senza questo atto iniziale di amore non c'è vita cristiana.
Voi capite di qui quale importanza ha a questo proposito tutto l'insegnamento evangelico. Come spesso anche noi predicatori si falsa il Cristianesimo parlando di etica, parlando soltanto di morale! La morale - giustamente lo dice tutta la Chiesa ortodossa - non esiste nel Cristianesimo, la morale esiste già sul piano naturale, fa parte della nostra natura. Ma la morale diviene veramente una risposta a Dio quando è risposta a Dio, cioè quando tu la vivi in un rapporto d'amore. Ecco perché non vi è virtù nel Cristianesimo se non è informata all'amore; e l'amore suppone il volto di Dio, e l'amore suppone una risposta a uno che ti chiama; e l'amore suppone un rapporto personale, di te persona ad un alta persona che hai visto, che hai incontrato, e alla quale tu ti sei volto.
L'uomo può volgersi in due modi: può volgersi al nulla, e tu, quanto più verso il nulla precipiti, tanto più perdi il tuo volto. È il processo stesso di un imbestiamento che noi vediamo nell'inferno dantesco: al termine dell'inferno l'uomo non è più nemmeno uomo; è un pezzo di ghiaccio, perde anche il volto, la forma tende sempre più al nulla perché il meno è nulla, è un "deficere ab esse". Da una parte dunque ti volgi verso il nulla, ma dall'altra il volgersi a Dio implica invece sempre più un rapporto personale. Dal momento che l'essere è amore, tanto più tu sei quanto più tu sei amato e quanto più tu ami. Nella misura che vuoi essere tu devi amare. È l'amore soltanto che dona l'essere all'uomo. L'essere e l'amore sono l'identica cosa in Dio, sono l'identica cosa nell'uomo. La "conversio" è l'atto di amore iniziale per il quale l'uomo, separandosi dal peccato, finalmente si volge a colui che lo chiama: Dio stesso. E colui che chiama è colui che continua la nostra creazione, perché la creazione dell'uomo è soltanto condizione alla nostra elevazione all'ordine soprannaturale, a questo cammino infinito che deve portarci nel seno di Dio.
Che cosa vuol dire tutto questo? "Convertitevi", dice Gesù. Che vuol dire Gesù con questa parola? Vuol dire che tutto l'essere nostro, il centro dell'essere e non solo la volontà, non solo l'intelligenza (non basta far della teologia e non basta nemmeno impegnarsi soltanto nelle virtù) deve volgersi a Dio. Non ci si volge alla bontà astratta, concettuale: la bontà ha un volto, la verità è sussistente come la vedeva San Francesco di Assisi. Notate le lodi di Dio: "Tu sei il Bene, tutto il bene, il sommo Bene": sempre "Tu". Il bene per sé non esiste; il bene è Lui, la Persona di colui che ti chiama, Dio. Così come il bene è una Persona, così la verità è una Persona, è, è prima di tutto come Persona che a Lui ti volgi, e in Lui poi trovi l'opposto di quello che è il nulla: l'essere, la verità, il bene Le categorie stesse dell'essere si trovano anche in Dio. Egli è la verità suprema sussistente, Egli è il bene infinito e sussistente, Egli è l'essere assoluto. A Lui ti volgi e a Lui ti converti.
Questa è la conversione che l'uomo deve fare. Non vi è conversione che l'uomo deve fare. Non vi è conversione se tu non lo vedi, se tu non lo ascolti. Quando tu credi di convertirti, perché credi di essere più buono, tu non fai che cambiare pelle, ma rimani lo stesso al di dentro, il tuo peccato rimane. Non importa che tu cerchi di essere buono o fare quella o quell'altra cosa, tu rimani quello di prima, il tuo peccato rimane; non saranno peccati da aggiungere agli altri peccati, se sono atti di bontà naturale; non aggiungerai peccato al peccato, ma rimani nel tuo peccato. La conversione prima di tutto suppone l'ascoltare Uno che ti chiama, un volgerti a una Persona che ami e dalla quale ti senti amato. Il processo della conversione è un processo di amore. Convertitevi, dice Gesù. La conversione dello spirito è un volgersi dello spirito a Dio. Ecco la prima cosa che a noi s'impone.
Però, siccome si è detto che lo spirito poi in qualche modo si esplica nelle due potenze dell'intelligenza e della volontà, è evidente che la conversione a Dio implica poi una conversione e della intelligenza e della volontà. Di fatto come potresti tu ascoltare Dio, vederlo, se tu non ne avessi una certa conoscenza? E conoscenza, si noti bene, che è conoscenza di una persona, perciò è una conoscenza vitale, non puramente concettuale. S'impone dunque che la tua intelligenza sia rinnovata dalla sua visione; nel volgersi a Lui la tua intelligenza, che prima non vedeva giusto, ora vede; la tua volontà, che prima era inclinata al male, ora si raddrizza e vuole il bene; ma prima di tutto è lo spirito. Ecco perché questa conversione della volontà e dell'intelligenza senza lo spirito è un cambiar pelle, ma si rimane gli stessi. Quanti sono che possono apparire buoni, ma di fatto vivono la bontà soltanto per sé, o vivono la bontà per orgoglio, o perché sono incapaci di essere cattivi! Ci sono tanti motivi per essere buoni e caritatevoli, come ci sono tanti motivi di far teologia; anche per orgoglio per diventare monsignori, o per l'orgoglio di scrivere benino... Ci sono tanti modi di far teologia e ci sono tanti modi d'impegnare la propria intelligenza! È lo spirito che deve convertirsi prima di tutto. E il centro dell'essere è proprio l'amore! Di fatto né tu saresti portato a considerare una cosa, a contemplarla, né tu di fatto nella volontà la vorresti raggiungere, se tu non l'amassi. L'amore è proprio il centro dell'essere. Lo spirito non può volgersi a Dio che in un atto di amore, perché è l'amore stesso che ti lega all'amore,
Allora è evidente che se ti volgi a Dio nell'amore la prima conversione è la conversione dell'intelligenza, ed è l'intelligenza che veramente si converte e opera il primo raddrizzamento dell'attività umana, Quale? Quel raddrizzamento che passa dalla idolatria all'adorazione. Guardate, chi non adora è sempre un idolatra. Non vi è peccato più comune nell'uomo, anzi, si può dire che ogni peccato ha sempre carattere di idolatria: si antepone cioè le cose, gli uomini, noi stessi, il nostro benessere, il nostro orgoglio, la nostra sensualità, il mondo, le cose presenti a Dio stesso. Le cose divengono Dio, perché? Perché abbiamo delle cose e di noi stessi una falsa visione; le mettiamo al centro, non le mettiamo nel loro ordine, nella loro relatività nel loro rapporto col bene ultimo, e non vedendole nel loro rapporto col bene ultimo, noi non le conosciamo veramente. Anche se ne abbiamo una certa conoscenza, è sempre una conoscenza parziale. Ma la conoscenza alcune volte parziale può essere più pericolosa anche di una conoscenza errata se noi la erigiamo come idolo di tutto l'essere nostro. La prima conversione è la conversione della mente, ma non solo della mente, ma dello spirito e allora non si può capire perché il termine greco insista precisamente sul "nous".
La volontà di per se è cieca; ma non è una conoscenza sensibile, intellettuale, tuttavia è come quella dell'occhio, una conoscenza reale, non una conoscenza dell'intelligenza raziocinante per cui soltanto attraverso una ragionamento si arriva a una conclusione; non è questa la conoscenza di Dio che realizza la conversione della mente. La conversione della mente può avvenire soltanto in un incontro reale con la persona di Dio? All'inizio della nostra conversione vi è un atto di fede, atto onde l'anima si apre a una rivelazione che Dio fa di Se stesso, e la vede e la contempla e l'accetta. L'atto di fede è un atto di conoscenza reale: proprio per questo i teologi parlano degli "occhi della fede"; non è la conclusione di un sillogismo, è un essere come abbagliati dalla luce, da una presenza che s'impone al tuo spirito; è una persona che si fa presente a te, una persona che ti ama, e tu la vedi e la senti e a questa persona ti offri, ti doni, ti volgi: la conoscenza reale.
Ecco la prima conversione; senza una conoscenza reale di Dio non vi è conversione. Certo che la fede di un carbonaio non è la fede di un'anima contemplativa, ma è vero che ogni conversione tanto più opera profondamente nello spirito quanto più si realizza attraverso una conoscenza reale, cioè quanto più l'incontro mio con Dio è un incontro concreto, reale con una persona vivente. La prima cosa che s'impone dunque per noi è che in noi la fede cresca ogni giorno di più. Senza questa fede la conversione è impossibile, e la conversione tanto più sarà vera quanto più sarà viva la fede onde tu lo conosci. Non la conoscenza del teologo, di colui che elabora una conoscenza, ma la conoscenza del santo che vede, che tocca Dio, per usare le parole di San Giovanni nella I Lettera. Allora s'impone, miei cari fratelli: se la conversione deve essere questa opera di un Dio che chiama, questa parola di Dio che ti risveglia dal sonno, tu devi ascoltare questa parola, tu devi aprir gli occhi per vedere questa luce, per vedere questo volto di Dio che ti chiama, tu devi entrare in un rapporto reale col Dio vivente.
Di questo ci dà un esempio proprio il Vangelo. Le conversioni del Vangelo quali sono? Sono le conversioni dei discepoli. Come avviene la loro conversione a Dio? Nel volgersi al Cristo, nel lasciare ogni cosa per seguire Cristo. E il seguire Cristo era veramente un contatto reale, era veramente una conoscenza reale. Vivono la medesima vita, abbandonano ogni cosa per vivere con Lui, per vivere di Lui, perché la loro vita non sia più che la comunione di amore con Cristo Gesù. Questa è anche la conversione per noi: dobbiamo vedere, far posto nella nostra vita a Cristo Signore, a Dio in quanto a noi si manifesta, in quanto ci parla, in quanto ci chiama. Se noi viviamo in un mondo chiuso, in un mondo in cui Dio è assente, noi non siamo credenti, noi non viviamo una vita cristiana e non possiamo vivere nemmeno una conversione. Se il Cristo per voi non è vivo, non è presente, non vivete nemmeno una vita cristiana, perché la vita cristiana è comunione con Dio. Ora non si vive una comunione con dei fantasmi, non si vive una comunione soltanto con delle immaginazioni; se il Cristo lo immaginate soltanto, se lo ricordate soltanto come un essere che è vissuto tanti anni fa, voi non vivete una vita cristiana. La vita cristiana è precisamente questa comunione d'amore che implica una conversione reale a una persona che chiama, altrimenti voi non vivete la vita cristiana.
Ma è possibile questo? Le parole che io dico non sono troppo forti? Quanti sono che vivono un rapporto reale col Cristo? Pur tuttavia molti lo vivono, anche se non ne sono pienamente coscienti. Quante volte noi si vive insieme a delle persone e non ce ne rendiamo conto, perché ci interessano poco, perché le amiamo poco! E tuttavia esse fanno un po' parte della nostra vita; le vediamo per le scale mentre scendiamo, le incontriamo nell'ufficio, e non è che ci siano antipatiche, ma è come se non ci fossero: non le avvertiamo. Se questo può avvenire nella nostra esperienza sensibile, tanto più può avvenire in una esperienza spirituale, perché l'esperienza spirituale è talmente sottile, talmente profonda che bisogna che sia veramente ben viva e ben grande perché si renda sensibile a noi in una nostra esperienza psicologica. E così può darsi che molti vivano una certa comunione col Cristo anche senza averne coscienza. Però è da domandarsi se questa certa comunione col Cristo sia sufficiente a far vivere una reale conversione, una conversione viva, che non lascia riposo, una conversione che impedisca di addormentarsi. Ecco, proprio questo volevo dirvi: che impedisce di addormentarsi. Quando siamo innamorati non si riesce a dormire nemmeno la notte non è un po' così? Ed è così anche nei riguardi del Cristo, se veramente noi viviamo una comunione viva di amore; allora questa conversione noi la vivremo giorno per giorno perché ci sarà impedito di addormentarci, di lasciarci portare dall'abitudine senza più vivere una comunione di amore.
La prima cosa dunque che s'impone è che viviamo di una fede viva, se vogliamo vivere la conversione. Bisogna che la nostra intelligenza sia totalmente presa dalla visione di un Dio, da una visione che non è puramente concettuale, ma, come dicevo prima una conoscenza reale.È la prima conversione che s'impone allo spirito, e voi capite benissimo che se alla nostra intelligenza Egli appare, la nostra volontà non può negarsi ad amarlo. Crescerà in noi l'impeto di amore, la forza dell'amore, la volontà di vivere questa comunione con Lui nella misura che lo conosceremo realmente. La fede è quindi inseparabile dall'amore, come l'amore dalla fede, ed è precisamente in questa vita delle virtù teologali che l'anima vive una conversione perenne. Convertirci a Dio: dobbiamo saperlo, miei cari fratelli, questa è una cosa estremamente importante. Nella misura che non ci convertiamo a Dio noi precipitiamo nel nulla. La creatura non può rimanere stabile sull'abisso del nulla. Si vince l'attrazione del nulla - e la creazione non può non sentire questa legge d'inerzia che la riporta nel nulla - si vince questa attrazione del nulla solo nella misura che rispondiamo a un Dio che ci sollecita all'amore e che ci chiede l'amore. Noi viviamo soltanto nella misura che noi viviamo la santità; e, di fatto, è così. Voi vedete anche intorno a voi, che anche gli uomini più grandi vivono una loro vita squallida, molto spesso non vivono più l'amore, non rispondono a Dio, e allora a che cosa si riduce anche l'amore per un'altra creatura se nella creatura non vedi il Cristo, se anche nella creatura in qualche modo per te non si fa presente il Cristo, il sacramento del Cristo, il Cristo medesimo? Che cosa avviene anche dell'amore umano? Tutto ci stacca, tutto si logora, tutto diviene abitudine e vuoto, povertà, miseria; la vita si scioglie nel nulla, precipita nel nulla, tende verso la morte. Si vive soltanto per la morte, lo dice Sartre. O si vive per Dio che che è la vita, e allora si vive questo cammino continuo che non conosce fine, perché non c'è la morte per chi si volge a un Dio che è la vita, a un Dio che e l'eternità, o si vive questa conversione perenne, oppure il nostro vivere, necessariamente diviene una morte, magari ritardata, ma una morte; è sempre un cadere nel nulla, anche se proprio non raggiungeremo mai il fondo, è sempre più precipitare nel vuoto.
Com'è terribile la condizione dell'uomo, miei cari fratelli! È impossibile scegliere altra alternativa: o l'inferno o il paradiso. E a noi sembra che sia troppo brutto l'uno e troppo bello l'altro, non vi sembra? Noi ci contenteremmo di qualche cosa di mezzo: rimanere quelli che siamo, ma rimanere quelli che siamo non si può. È quello che dicevo prima: una pietra gettata su in alto, nell'istante stesso che si esaurisce la forza che vince l'attrazione della terra ricade in basso; così nella misura che tu ti sottrai alla mano onnipotente di Dio che ti crea e tu non tendi a Lui in un amore sempre più puro, nello stesso istante tu cadi, precipiti giù. Non c'è altra alternativa. È tragico il nostro destino! Troppo grandi il Signore ci ha fatti: ci ha voluto per Sé, e noi, misere creature di un giorno, e noi così piccoli, fragili, così poveri, dobbiamo scegliere Dio, non possiamo contentarci di meno di Dio. Noi dobbiamo amarlo sempre più, dobbiamo vivere un trasporto verso di Lui sempre più impetuoso, sempre più violento, sempre più forte e deciso. È tutto questo lo faremo soltanto a una condizione di conoscerlo sempre più realmente, perché quando cessa di essere una persona vivente e diviene un puro concetto, anche il concetto diviene idolatria e tu ricadi nel nulla. Anche la vita dei teologi può essere una vita ben miserabile. Se Dio cessa di essere Dio, il Dio vivente, tutto diventa idolatria, anche la teologia può essere idolatria. La fede soltanto è rapporto reale, e tu devi vivere questa fede in una comunione viva, in un incontro reale con Colui che è persona vivente: Dio stesso.
Questo s'impone soprattutto per noi. "Convertitevi!" Ascoltate questa parola come detta da uno che ci ama, da uno che ci dà la forza di strapparci alle nostre radici per rivolgerci a Lui perché Egli ci prenda, perché Egli ci sollevi a Sé, perché da questo abisso di miseria e di povertà in cui noi sempre più affondiamo, la parola di Dio ci sollevi a sé in un impeto che non conosce più fine fintanto che non ci avrà trasportato corpo e anima nel seno stesso di Dio." Convertitevi!" Questa è la parola di Gesù, miei cari fratelli, è una parola detta a me, detta a voi. È come un risvegliarci da un sonno profondo. Non per nulla il peccato anche in Dante (ma Dante non fa che ripetere la dottrina degli antichi Padri del deserto) è il dormire, è il sonno. È la parola del Cristo che ci risveglia, e noi, come svegliati dal sonno, turbati e sgomenti, ci sentiamo chiamare e rispondiamo, ci volgiamo a Lui che ci chiama, corriamo a Lui che ci invita. Lo vediamo, lo contempliamo, ci innamoriamo di Lui. Tutta la nostra volontà rimane presa dal suo amore, ed è così che la conversione si compie veramente.
Conversione che ci strappa a noi stessi. Dobbiamo notarlo, Dio non è mai sul medesimo piano dell'uomo; rispondere a Dio vuol dire sempre un uscire da noi stessi, vuol dire rompere con tutti i legami che ci legano a noi, vuol dire vincere questa forza d'inerzia, trascendere giorno per giorno quello che siamo. Non vi è fine al nostro cammino, non vi è riposo alla nostra corsa. Ricordatevi di quello che vi ho detto altre volte (lo dice il Profeta Isaia al capitolo 40): soltanto correndo non ci si stanca; se tu camminando ti stanchi, impara a correre; se correndo ti stanchi impara a volare! Devi correre sempre di più: è questo soltanto il segreto perché la stanchezza e lo scoraggiamento non ci prenda e non ci lasciamo di nuovo cullare dalla tentazione che ci trascina giù nell'abisso.
Meditazione
Il Signore ci chiama alla conversione. Abbiamo detto che la conversione è condizione necessaria e universale di vita cristiana. La nostra natura, finché non sarà pienamente trasfigurata, porta sempre con sé le ferite del peccato; anche se non siamo rivolti al male, c'è in noi una resistere, una difficoltà a rivolgerci a Dio. Del resto la conseguenza del primo peccato è proprio di avere decentrato l'uomo, di aver fatto sì che l'uomo invece di tendere a Dio uscendo di sé, si è ripiegato in se stesso, e pertanto il primo movimento dell'essere è sempre movimento di amor proprio, di attaccamento al proprio io, di una difesa nei confronti dell'amore. Anche poi quando fossimo liberati da ogni amor proprio colpevole, è sempre vero che il volgersi a Dio, tendere a Lui, implica per l'anima un superamento di sé che esige sempre la grazia. Abbiamo detto che questa conversione è la conversione dell'uomo nel suo spirito, cioè nel centro più intimo e più profondo dell'essere suo, in quel centro che ordina l'essere creato, e specialmente l'uomo, al Signore come al suo fine.
S'è detto infatti che la metafisica dell'essere classica non si può applicare totalmente all'essere reale e particolarmente all'uomo, perché l'essere è amore, l'essere implica di per sé sempre necessariamente un'ultima connessione, un ultimo rapporto con l'amore. L'essere è essenzialmente amore, è essenzialmente rapporto, l'essere dice sempre un riferimento all'altro, perché l'essere in se stesso non è; Dio solo potrebbe non avere rapporti, e invece anche in Dio la relazione è essenziale: Egli è infatti è Padre, Figlio e Spirito Santo. Se in Dio stesso la relazione è essenziale, tanto più lo è nella creatura; essa infatti proprio perché è creatura, e in quanto è creatura, dipende da Dio come causa prima; ma in quanto poi ha come fine Dio stesso, è relazione a Dio come causa finale. Cioè, l'uomo non si può pensare indipendentemente da Dio da cui d-pende e a cui tende. Allora è essenziale all'uomo di essere rapporto con Dio.
Ora, proprio il peccato ha rotto questa relazione, ha compromesso dunque l'essere dell'uomo nel suo più intimo centro. Non ci si può rendere conto di quello che ha fatto il peccato! Se noi considerassimo il peccato soltanto in quanto opera certe rovine accidentali nell'essere umano , noi ci renderemmo conto effettivamente di quello che il peccato di fatto compie. Secondo la rivelazione divina infatti dal peccato nascerà proprio la tragedia dell'uomo; l'uomo non solo non raggiunge il suo fine, ma, non potendo morire, vive soltanto la sua morte. Perché vive la sua morte? Appunto perché il rapporto, la relazione, gli è necessaria, è essenziale all'essere suo. Ora invece col peccato egli si è scisso dalla grazia, e allora che cosa avviene? Avviene che l'uomo invece di avere relazione con Dio, si chiude in se stesso, si accartoccia in se stesso, si ripiega in se stesso ,e ripiegandosi in se stesso di se stesso si nutre. È come il ragno che fa la tela con quello che ha in corpo: vive soltanto di sé. Ma che cosa può vivere di sé se non la morte?
La conversione è uno sradicarlo, uno strapparlo a se stesso per metterlo di nuovo in rapporto con Dio. E noi si è detto che la conversione non solo realizza nell'uomo questo rapporto, ma realizzando questo rapporto fa sì che l'uomo viva quasi una creazione che prosegue. Non è proprio una creazione, la creazione anzi diviene condizione per lui di un balzo infinito che porta sempre più l'essere creato verso Dio; ma è proprio questo balzo infinito che l'uomo deve fare. Si capisce perché sia difficile vivere la vita cristiana. È facile diventare carmelitano o anche trappista (a 60 anni o a 70, no, ma a 20 anni, sì): ci si trova poi a vivere la vita del trappista come un giovanotto si trova a vivere la vita dello studente. Guardate, nessuna forma di vita s'impone talmente all'uomo che egli non possa poi viverla tranquillamente dormendo, viverla senza amore, vivere una vita senza slancio interiore. Quello che non è possibile vivere così è l'amore, l'amore specialmente per un Dio che non si donerà mai a una tua esperienza in tal modo che il tuo essere riposi se non nella morte.
Che cosa implica la vita cristiana? L'essere in cammino per tutta la vita. Ora nulla è più difficile all'uomo che il vivere un eterno cammino, il vivere senza mai riposare, l'andare sempre avanti senza. fine. Lo scoraggiamento, un senso di noia, vengono necessariamente, nella vita cristiana. Se non lo sentite è segno che non l'avete mai vissuta la vita cristiana, se no lo sentireste certamente, perché l'essere creato di per sé tende al riposo, non tende a camminare, tende ad affermasi, non tende a continuare un cammino. Di qui la difficoltà di una vita che è perenne conversione. Si è detto che la conversione è condizione necessaria e universale, e si è detto che è necessaria e universale nei riguardi di tutti gli uomini; si è detto che questa necessità che riguarda tutti gli uomini non li riguarda soltanto nella loro totalità, li riguarda anche nel processo del loro cammino.
Vorrei fermarmi stasera a considerare un po' con voi precisamente questo ultimo punto che stamani si è soltanto accennato. Noi possiamo avere la certezza di vivere soltanto se viviamo questo stimolo continuo che ci impedisce di fermarci, se viviamo questa ansia continua che ci spinge sempre in avanti. Un'anima che è ferma è un'anima che non si converte, è un'anima che perciò tende di nuovo a ritornare in se stessa, a ripiegarsi sopra di sé, a scendere nel vuoto. Vedete, è un'esperienza molto triste, ma tutti l'abbiamo fatta, nella nostra vita prima di tutto, ma anche in ogni rapporto che possiamo avere con gli altri: l'esperienza cioè di un decadere, di una vita che si appiattisce, di una vita che poi diviene vuota. Si va nei conventi, si va nei monasteri: ci sono delle anime belle, ci sono delle anime grandi, ma sono poche. Mi ricordo quello che mi diceva un padre maestro di un ordine contemplativo: "L'ordine vive per fare, per ogni generazione umana, uno o due santi; il resto è tutto letame per far vivere gli altri". Io non vorrei essere così pessimista, però è vero che molto spesso anche nei conventi, anche nei monasteri, tutto può essere ordinato, tutto bello, ma non c'è la vita. La vita è in una purezza che ti spinge sempre più, che ti toglie ogni possibilità di fermarti sopra di te, perché è un'ansia che ti divora, che ti consuma, un'ansia di amore che non può trovare altro riposo che la morte. Ora, voi capite che questo, proprio sul piano umano, è veramente impossibile, se non altro per il fatto stesso che non solo ci si stanca, ma, oltre che stancarci - si stanca anche un giovane - c'è anche il fatto dell'età; passati i 45 anni, normalmente, per quanto riguarda la nostra vita intellettiva, la nostra vita morale, si potrebbe essere contenti se si rimane fermi, perché sul piano fisiologico, biologico, non c'è nulla da fare, s'invecchia; oltre i 45 anni non c'è progresso, anche per la stessa intelligenza: si mantiene quello che si possiede.
Ora ecco quello che fa la vita cristiana: la vita cristiana si trova ad essere in un certo contrasto con la nostra vita, perché, dal momento che è continuo progresso, continuo cammino, implica una vittoria precisamente sulla vecchiezza, sulla stanchezza degli anni, sul lento decadere di ogni fervore, di ogni slancio interiore. Certo è vero che non si deve identificare il cammino della santità con un fervore sensibile; quello che è richiesto in una conversione a Dio è il superamento di sé, e il superamento di sé non è tanto sul piano della sensibilità quanto sul piano dell'intelligenza e della volontà. E come si realizza questo processo sul piano dell'intelligenza e della volontà? È evidente che un processo che tenda a Dio, a raggiungere Dio, esige, per esempio, per quanto riguarda l'intelligenza, la contemplazione. Se uno a 45 o 50 anni non diventa un contemplativo non potrà mai essere un santo. Fino a 45 anni c'è il processo che si allea anche a un processo di conversione dell'intelligenza a Dio, che può unirsi alla contemplazione o meno, ma a un certo momento, quando la stessa ragione ti serve soltanto per mantenere quello che hai acquistato, tu non puoi fermarti a quello che hai acquistato per vivere sul medesimo piano la tua unione con Dio nella conoscenza del Signore, nemmeno prima, e tanto meno ora. Allora s'impone per te che ci sia un trascendimento dei modi stessi dell'attività propria di queste potenze. Ora il trascendimento del potere naturale dell'intelligenza e della volontà avviene soltanto in due modi: "agere ultra humanum modum" per quanto riguarda l'intelligenza: la ragione deve essere trascesa, non la pura intelligenza, ma la ragione. Così per la volontà: è un atto di adesione semplice ed assoluto che va al di là dei modi, al di là delle forme.
Allora, voi vedrete che il processo della santità, di una conversione continua, implica una semplificazione, sia per quanto riguarda l'attività intellettuale, sia per quanto riguarda l'attività della volontà. Nei santi, quando sono giunti a una certa età o anche quando sono giunti a una certa santità, sembra che ci sia meno sforzo dell'intelligenza e della volontà. Ma perché? Perché appunto Dio non può contare più nemmeno su queste due attività, e allora bisogna che intervenga Lui; se tu non vuoi decadere, bisogna che intervenga Lui facendoti superare l'impedimento che trova nella natura, la quale va oltre. E in che modo interviene Dio con la sua grazia? L'"agere ultra humanum modum" per l'intelligenza, il "simplex intuitus", la semplicità della intuizione pura del santo: la contemplazione. Ma anche per quanto riguarda la volontà, le virtù, sì, uno ha acquistato un certo "habitus" che lo libera dalle imperfezioni proprie dell'agire umano, ma questo non implica un superamento, non implica questa conversione perenne, questo andare a Dio. Allora vedete i santi: in questo cammino, in questa conversione perenne, acquistano una semplicità nell'agire, che sembra rendere naturale totalmente l'adesione a Dio. Non hanno imperfezioni volontarie, ma non hanno nemmeno più la molteplicità degli atti di virtù che potevano avere da giovani. Un giovane può mortificarsi più di un anziano, può impegnarsi negli esercizi di pietà più di un anziano. Un anziano non potrebbe stare per esempio 5 ore in ginocchio, eppure bisogna che progredisca, perché altrimenti non si vive la vita cristiana. Allora bisogna che non sia più nell'"agere humano", che ci sia questo progresso, bisogna invece che intervenga la vita divina a dare alla volontà e alla intelligenza umana un modo nuovo di operare. La conversione in questo caso è la conversione alla vita contemplativa; senza vita contemplativa non c'è conversione, a un certo punto del nostro cammino. I santi che giunti a 60 anni vanno sempre a programmare la loro vita, che pretendono sempre di vivere una conoscenza di Dio attraverso una ragione che cerca, una intelligenza che cerca, non si può dire che siano molto progrediti nella vita spirituale. Diceva il Tauler che nessuno è contemplativo prima di 45 anni. È un po' troppo, perché noi vediamo che ci sono tanti santi che hanno raggiunto una vita contemplativa prima dei 45 anni: San Giovanni della Croce è morto che ne aveva pochi di più, San Luigi Gonzaga ne aveva 24, Santa Teresa di Gesù Bambino ne aveva 24. Però se non è vero quello che diceva il Tauler, che fino a 45 anni non si può essere contemplativi, è vero un'altra cosa: che se noi verso i 50 anni non si entra nel cammino contemplativo, evidentemente la nostra natura stessa ci fa il cattivo scherzo di un ripiegamento che è inevitabilmente uno sfacelo, perché, mentre tu dovresti proseguire, non hai più delle potenze in atto che possono aiutarti a questo processo.
Ma allora a una certa età non si può farsi santi? A quella condizione. Ma che cosa vuol dire a quella condizione? Vuol dire naturalmente che l'anima che è giunta a quella età, se non ha fatto conversione prima, in tal modo di essere già entrata nel cammino di una vita contemplativa, deve assolutamente entrarvi. In che modo? Ed ecco allora noi dobbiamo dichiarare questa sera proprio come avviene questa conversione a un certo momento della vita, perché quasi tutti siamo per entrare in questo cammino. Che cosa s'impone? Non c'è più una certa trasfigurazione dell'agire umano, vi è veramente non una sostituzione, ma proprio un "agere ultra humanum modum" che suppone il nostro morire. E allora vediamo veramente, se vogliamo vivere una certa conversione alla nostra età; bisogna metterci nelle disposizioni prossime perché l'azione dello Spirito possa portarci a una vita che sia, sul piano dell'intelligenza, il "simplex intuitus", e sul piano della volontà una adesione quieta; serena e totale al Signore. Che cosa intendo dire con questo? Forzarci ad entrare nella "contemplazione infusa" non si può, ma mettersi nelle disposizioni prossime di una contemplazione infusa si può, e l'uomo deve mettercisi in una certa età, perché se non ci si mette certamente non vive una risposta a Dio, Dio infatti ora non esige più da lui quello che lui non può più fare: se io voglio impegnarmi in una vita di mortificazione, in una vita di virtù che sempre più esige qualche cosa da me, non ce la faccio. Ho un bel moltiplicare i miei propositi: la mia stessa natura è molto più delicata, è molto più impotente a rispondere a Dio di quanto poteva essere a 20 anni. A chi ha 20 anni uno può chiedere tutto, e si deve chiedere tutto. L'altro giorno mi trovavo a fare il ritiro ai religiosi Servi di Maria, e il Priore dei Sette Santi mi diceva: "Il nostro sbaglio è quello di chiedere poco ai giovani; mi sono accorto che tanto più chiedo e tanto più essi mi danno, e con quanta gioia, e come rimangono più legati a me e al Signore e anche alla vita cristiana! Ho qui 40 catechisti: la maggior parte sono ingegneri, sono universitari, sono persone che hanno tante cose da dire, e tuttavia si dedicano alla parrocchia, all'apostolato. Danno quello che tante persone che sono libere potrebbero dare e non danno assolutamente più". Ai giovani si può chiedere e si deve chiedere, ma che cosa posso chiedere io a chi ha 70 anni e più? Anche se chiedo, e anche se voi chiedete a voi stesse, in fondo, il giorno di domani sarà come il giorno di ieri, il giorno di domani l'altro sarà come i giorni che avete vissuto una settimana fa. Più o meno i cambiamenti interiori, la conversione, non avverranno più su un piano esteriore di vita; e allora che cosa s'impone?
Ecco, dicevo, la conversione a una certa età è la conversione da una agire umano a un agire "ultra humanum modum", è l'entrare nella vita contemplativa. Ma si diceva anche che noi non possiamo forzare le porte: non siamo noi che possiamo entrare. Soltanto dobbiamo dire questo: è vero che la contemplazione infusa e una grazia gratuita, ma è vero anche che tutte le grazie son gratuite: lo diceva il De Lubac. È inutile parlare della grazia come di un fatto gratuito; anche la vita è un dono gratuito, anche la creazione è gratuita, tutto è gratuito in Dio. Non c'è mai da parte della creatura un diritto nei confronti di Dio. Ma il fatto che sia gratuito non toglie che sia reale, che cioè Dio lo doni se trova le disposizioni necessarie. Perché? Perché Egli è l'amore. Non è che sia necessitato, l'amore è libero; ma siccome è amore reale, dà quando tu ti metti nelle disposizioni necessarie per ricevere il dono. Allora rimane vera la nostra vocazione universale alla contemplazione, rimane vero che noi tutti dobbiamo disporci proprio a ricevere questa grazia, perché se non la riceviamo è quasi inevitabile che dobbiamo rinunciare alla santità; e siccome non possiamo rinunciare alla santità vuol dire che per noi è veramente di necessità un disporci a questa vita contemplativa.
Ma che cos'è questo disporci alla vita contemplativa? In San Giovanni della Croce vi sono tre segni che denotano l'entrare dell'anima alla vita contemplativa, ma queste non sono disposizioni, sono i segni che l'anima già vi è entrata. Quali sono le disposizioni? Sono dei caratteri che praticamente rispondono a quei segni, per il fatto che fanno il vuoto delle potenze in tal modo che in questo vuoto la grazia divina immediatamente subentra. Cioè per dirla in altre parole, quello che è vero sul piano di natura è vero anche sul piano della grazia: la natura aborre dal vuoto, lo diceva l'Eckart. L'esigenza più vera di un'anima che vuole entrare nella vita contemplativa è fare il vuoto, è spogliarsi totalmente, è un certo ridursi al nulla, perché nel vuoto delle potenze subentra il Signore. Ma che cosa vuol dire tutto questo? Una cosa semplice: bisogna, se abbiamo avuto degli interessi, anche culturali, pian piano farne a meno, e questo lo dico anche per me: bisogna che venga meno anche la curiosità intellettuale, il voler sapere; non è moltiplicando le nozioni che si ha la conoscenza di Dio. Bisogna abituarsi al vuoto, alla povertà, a una certa solitudine; bisogna fare il vuoto. Tutto questo nella misura che noi possiamo, certo, ma se lo facciamo nella misura che possiamo Dio interviene. Ora parlavo soprattutto delle potenze spirituali: dell'intelligenza e della volontà; ed ecco che cosa debbo dirvi: avviene in un certo momento che noi vogliamo aggrapparci alla vita, che non vogliamo lasciarcela sfuggire. Come è vero questo! Le donne per esempio si tingono i capelli, si fanno belle tutti i giorni, cercano in qualche modo di far di tutto per arrestare la vecchiaia. Come è vero questo anche per un dotto! Vuole cercare in tutti i modi, quanto più la vita se ne va, di moltiplicare lo studio, cercare qua e là. Ma ormai quello che hai trovato l'hai trovato... Non è su questo piano che tu puoi procedere. Liberati, guarda di dare sempre più spazio al vuoto interiore. Che l'intelligenza rimanga fissa in Dio, che l'intelligenza faccia posto alla perseveranza; non ti preoccupare di moltiplicare la tua ricerca, non dico soltanto le ricerche culturali (letteratura, filosofia), ma anche sul piano teologico. Fai posto alla presenza di Dio! Il teologo rischia veramente, non dico di andare all'inferno, ma di stare tanto tempo in purgatorio se vuole continuare a fare il teologo anche a 65 anni o a 70: bisogna invece che si disponga a ricevere la luce divina, non a cercare lui la ragione. Deve disporsi in pura nudità di spirito a ricevere la luce da Dio. Fare il vuoto, Un vuoto però, naturalmente, se si deve fare (e questo è importante) lo deve fare l'amore, cioè lo si fa per Lui, lo si fa per disporci a ricevere il suo amore, lo si fa per mettere l'anima nostra di fronte a Lui che si vuol donare, che noi sappiamo che si vuol donare.
C'è dunque un aprirsi di tutto l'essere a un Dio che è amore. Non ci si dispone a Dio che in quanto ci si spoglia di tutto, che in quanto ci si vuota di ogni cosa, ci si vuota di ogni amore. E anche qui, fintanto che siamo giovani possiamo avere una missione nel mondo, ma viene poi il momento di andare in pensione. Che vuol dire andare in pensione? Una cosa meravigliosa! Vuol dire che non si lavora più, vuol dire che non siamo più impegnati a un servizio; vuol dire che la volontà si deve spogliare. Anche qui, non è più nel tuo lavoro che tu prosegui il tuo cammino di conversione verso Dio, è il tuo ozio, l'"otium contemplationis" che tu veramente vivi, ti apri ad accogliere Dio. Questo vuoto del lavoro, del servizio, è in ordine a una attività nuova, a una volontà che si spoglia di tutto per aderire più intimamente al Signore.
Guardate che quando un'anima vive una vita veramente cristiana, quando vive veramente una risposta a Dio, senza rendersene conto quest'anima già entra nella vita contemplativa, a una certa età. Qualcuno cerca di fare ancora qualche cosa per dare un senso alla sua vita, ma quante sono invece che, pacificandosi, si aprono a Dio in una vita di preghiera! Non è che anche tanto, in questa vita di preghiera, esse moltiplichino le loro preghiere vocali; vivono l'adesione più costante: più costante al Signore. La Presenza di Dio, come investe l'intelligenza, così riempie la volontà. La conversione a Dio, a una certa età, non si può fare che in questo senso. E questo mi sembra molto importante e per questo ne parlo a voi, perché, nella Comunità, sono parecchie le persone anziane, e queste persone anziane debbono capire che è tutto tempo perso la loro Consacrazione, la loro vita religiosa, se esse non vivono la conversione su questo piano. Sono poche le anime contemplative nella Comunità, ma ce ne sono, e noi dobbiamo entrare in quel medesimo piano. Il vivere in pura generosità in questo spogliamento è proprio delle persone di una certa età. È l'entrare, il subentrare di Dio nel cuore dell'uomo, nella volontà dell'uomo, nell'intelligenza dell'uomo. Questo deve vivere ciascuno di noi, perché altrimenti noi tutti manchiamo davvero, noi tutti facciamo fallimento della nostra vocazione, e della nostra vita religiosa. A una certa età le nostre potenze non ci soccorrono più, ma non per questo possiamo fermarci: la vita implica un processo continuo, non ci si può soffermare sulle vie di Dio; Dio è infinito e il cammino che giunge a Lui è infinito. E allora bisogna che sia Dio che ti porti; cioè, fino a una certa età si può arrancare, camminare, correre, ma a una certa età bisogna che sia Dio che ti porti. È una cosa più facile e anche più bella, se volete, ma perché Dio vi porti bisogna che voi tagliate tutti i legami. Come può lo Spirito Santo portarvi, sollevarvi, se voi non avete tagliato tutti i legami?
Ecco la disposizione che s'impone dunque a noi se vogliamo continuare in questo cammino che ci porta a Dio; bisogna che noi tagliamo ogni legame che a noi impedisce di camminare, bisogna fare il vuoto delle nostre potenze in modo che la volontà nuda, l'intelligenza nuda, si offrano alla grazia divina, che l'intelligenza sia illuminata essa stessa da questa divina presenza, e la volontà ugualmente sia colmata da questa divina presenza, e tu non viva che in Dio. Allora Dio ti riempie sempre di più, e lo Spirito Santo sempre di più ti solleva a Sé e sempre più ti trasforma nei modi divini. Non vi è per nessuno la possibilità di continuare un cammino in cui si esige sempre più che la volontà e l'intelligenza umana proseguano il loro camino al modo umano. Bisogna che Dio intervenga, e Dio non interviene fintanto che tu non sei spogliato di ogni tua volontà propria, di ogni tua ricerca propria: spogliamento, abbandono, lasciarti portare.
Certo, per sentirci sicuri bisogna che abbiamo i piedi in terra. Ma vedete, nell'aereo siamo sempre con i piedi a terra. In fondo, quando sono in aereo mi sento a posto perché ho i piedi in terra lo stesso, ma se dovessi essere portato dal vento, se non ci fosse un aeroplano che mi porta su, avrei paura. Ecco, è proprio quella l'esperienza nostra nella vita spirituale, nella vita contemplativa: ti senti portar via, strappare a te stesso, e viene un certo sgomento all'anima, una certa paura. Bisogna vincere tutto questo in un puro abbandono. L'anima si fida troppo di sé, perché crede ancora troppo nei suoi mezzi. Come una vecchia di 75 anni che vuol piacere ancora e si tinge i capelli e le unghie, così l'anima vuol cercare a una certa à di fare quello che ormai non può più fare, perché le nostre attività, sia sul piano manuale sia sul piano dell'intelligenza, sono più scarse.
Puro fissarsi dell'anima a Dio! È un aprirsi di tutta l'anima in questo abisso di luce. Ma per aprirsi e disporsi a ricevere Dio bisogna fare il vuoto, cambiare tutto, e allora nella propria nudità, nella propria solitudine, vivi l'attesa in un puro abbandono.
Abbandono che è possibile solo nella speranza certa di un Dio che ti ama, perché altrimenti sarebbe come un gettarsi nel vuoto, e il vuoto fa paura, è la morte.
Questo allora si chiede a me e a tanti altri della Comunità, perché la maggior parte, dicevo prima, della Comunità è già giunta a un'età in cui s'impone questo. E quello che non abbiamo fatto nella nostra giovinezza, o la resistenza che abbiamo opposto alla grazia nella giovinezza, dobbiamo fare in modo che ora non ostacoli l'anima in questo tagliare i legami, in questo sciogliersi dell'essere, in questo aprirsi dell'essere tutto, in questo svuotamento. "Svuotamento" è il termine vero che usa anche 1'Eckart quando dice che proprio questo svuotamento di sé costringe Dio a donarsi. L'espressione - non sul piano teologico, ma sul piano spirituale - è giusta, perché nella misura che tu fai il vuoto, Dio ti riempie di Sé; e il vuoto che devi fare è il vuoto di ogni pensiero, è il vuoto di ogni tua volontà. Purezza assoluta dello spirito che si offre a un Dio che l'ama! Questo dobbiamo vivere.
Certo dobbiamo sapere anche che tutto quello che possiamo fare, ancora dobbiamo farlo, per garantire la certezza di questo spogliamento e di questo svuotamento. Se uno crede di vivere una vita contemplativa abbandonandosi agli istinti della propria natura in quanto essa ancora non è purificata dell'amor proprio, è la fine: allora non si vive né la vita cristiana, in quanto l'anima arranca verso Dio molto miseramente perché i suoi poteri sono pochi, e tanto meno vive una disposizione alla vita contemplativa. C'è dunque un minimo di acetica che s'impone a chiunque, quel minimo di vita ascetica che dice la liberazione da ogni attaccamento disordinato a te stesso, sia sul piano sensibile, sia sul piano spirituale. Per quanto riguarda invece il fare, si potrà poco, ma lo spogliamento deve essere anche ascetico; bisogna che tu ti liberi da ogni tua volontà di affermarti, di volere in tutti i modi essere presente. Bisogna insomma che tu ti liberi da te stesso, che tu cerchi di spogliarti; questa è l'ascesi che s'impone; non un'ascesi del fare, di proseguire il cammino, ma un'ascesi di spogliamento, di povertà. Proprio per questo è sempre vero che il cammino più efficace per giungere a Dio è un cammino di spogliamento, un cammino di discesa, più che un cammino di ascesa; e questo è tanto più vero, anzi è soltanto vero, quando si tratta di una conversione di tutto l'essere a una certa età, a una certa età s'impone soprattutto uno spogliamento interiore in modo che l'anima in piena purezza interiore si apra ad accogliere il dono divino.
Ma voglio cercare di essere non più chiaro, ma più concreto. Sul piano dell'intelligenza non cerchiamo di nutrirci sempre con nuove letture, e tanto meno con letture estranee alla ricerca di Dio; quando si giunge a una certa età per tutti noi ci sono dei motivi fondamentali che danno un tono, un colore, un indirizzo, un senso e anche un contenuto alla nostra vita. Ognuno di noi ha la propria vocazione, non un vocazione a una missione, ma una vocazione nella intimità con Dio. Tu per esempio puoi sentire che Dio parli a te soprattutto nell'adorazione, o che parli a te in un senso di intimità profonda senza che questa intimità si colori o si esprima in modo particolare, oppure il senso della Presenza divina nell'anima, come per Suor Elisabetta della Trinità, può essere invece il mistero trinitario in Se stesso. Può essere anche il mistero dell'Incarnazione che si ponga a te attraverso la Messa, e tu senta che quello è il mistero che dona un contenuto alla tua vita, che tu viva precisamente in una partecipazione alla Messa. Basta non cercare più... e fai quello che giorno per giorno puoi fare. Non è detto che tu debba star sempre con gli occhi aperti senza far nulla: nella misura che la grazia divina non interviene tu devi aiutarti per tornare in quelle disposizioni, allora tu devi fare in modo che anche se leggi, se pensi, tutti i tuoi pensieri ti richiamino là, tutti i tuoi pensieri convergano là, non a una ricerca intellettuale, ma a fissarti in quella luce: questo per quanto riguarda l'intelligenza. Allora c'è sempre una cosa sola, ma in quella tu trovi tutto. Non ci si impoverisce, notatelo bene, perché qualunque mistero di Dio implica tutto il mistero; uno può affondare in un mistero solo e trovare tutti gli altri misteri; e non soltanto può, ma li troverà, nella misura che rimane fedele. Non vi è più un meno, Dio è infinitamente semplice. Pertanto se tu ti affidi a Dio, da qualunque parte tu arrivi a Lui, nella misura che ti fissi in Dio, in questo atto tu trovi ogni cosa, possiedi ogni cosa, la luce di Dio interamente t'investe. Mantieniti in quella luce, non portarti fuori di lì, non uscire di lì; devi affondare in quella luce semplicissima della visione che Dio ti dà di Se stesso. Non leggete libri che implichino soltanto curiosità intellettuali: se tutto questo poteva avere un senso quando eravate giovani non lo ha più ora che siete invecchiati; non solo non ha più senso, ma diviene pura perdita, perché diviene un puro sottrarsi alla Presenza.
La vita contemplativa prima di essere una pienezza, è una povertà; e questo è vero per tutti i santi e perciò sarà vero anche per noi, che abbiamo paura di precipitare nel fondo, che abbiamo paura di essere portati via, di non essere più legati alle cose, perché crediamo che la ricchezza sia possedere tanti milioni mentre invece è possedere una cosa sola: Dio, che è infinitamente semplice: Uno. Potrei parlarvi a questo proposito su un'espressione sola: sobrietà. Non voler sapere più di quello che è necessario, conoscere soltanto quello che è giusto e necessario in ordine a quella azione, in ordine a quella Presenza che Dio vuol fare di Sé in te.
E per la volontà ugualmente. Che bello invecchiare! Noi vediamo che tutti si allontanano da noi, nessuno ci ricorda più, o ci ricordano sempre meno, perché hanno tutti la loro vita. Vogliono bene alla nonna, certamente, quando la vedono, ma poi hanno tanti interessi... c'è la scuola, i giochi... Magari un posto per la mamma c'è ancora, magari c'è ancora anche per il babbo, ma per la nonna... Un po' di tenerezza quando la si vede... "è tanto buona... un po' invecchiata...". Tu senti il mondo che si allontana da te e tu ti arrabbi, e tu cerchi d'interessare gli altri, moltiplichi magari i doni proprio per interessare, per cercare di legare a te. Lasciatevi spogliare così! Camminate nel silenzio, cercate di mantenere la vostra anima sola, cercate sempre più che la vostra anima si raccolga in Dio soltanto: e Dio è puro silenzio. Quante di voi si trovano ad essere sole: che grazia! È una grazia di cui vorreste fare a meno, eppure è una grande grazia, perché volenti o nolenti dobbiamo abituarci a trovare nella nostra solitudine il contenuto del nostro vivere, e nella nostra solitudine non ci può essere altro contenuto che Dio, che non abbandona nessuno e che allora invece si fa presente proprio perché gli altri si allontanano. Ed è giusto, perché da giovani bisogna sforzarsi di pensare a Dio, da vecchi invece è quasi naturale, perché non c'è nessun altro. E non soltanto per questo, ma perché nel vuoto che la natura fa di te, in questo vuoto ora è Lui che quasi naturalmente si fa presente. Voi lo vedete, si diceva che perfino il professor Frugoni, che non è mai stato credente e che sempre ha negato tutto, gli ultimi mesi era diventato credente e ha vissuto negli ultimi mesi una grande vita religiosa. Quando era più giovane aveva cercato la grandezza, questa grandezza era una idolatria che impediva la presenza di Dio nella sua vita. Era troppo piene di sé! È morto a 95 o a 96 anni: gli ultimi anni Che poteva fare? Il vuoto, la solitudine! E in questo vuoto in questa solitudine Dio l'aspettava. Siccome era vuoto, Dio si è fatto presente.
Bisogna renderci conto che precisamente questo è il cammino, e dobbiamo viverlo, e dobbiamo avere la sapienza di viverlo. Quello che manca a noi è proprio questa sapienza che poi, in fondo, è anche furberia, perché se voi vi arrancate cercando di vivere, di non precipitare in questa solitudine, in fondo in questo vuoto ci cadrete lo stesso, in questa solitudine ci precipitate lo stesso; e allora conviene se il cammino della vita ti porta a questa solitudine che può sembrare squallida, a questo vuoto che può sembrare pauroso, conviene invece che quanto più voi scendete in questo vuoto, in questa povertà, tanto più la vostra anima si apra a Dio nella fede e nell'amore, in modo che il vuoto e la solitudine divengano il luogo stesso di Dio, della Presenza!
Ecco, miei cari fratelli, quello che mi sembra dica il Signore a noi in modo particolarissimo che siamo giunti tutti a una certa età. Che il Signore ci doni la forza di vivere tutto questo! Allora la nostra vecchiaia sarà davvero meravigliosa, perché, prima essendo giovani, si correva, ma ora se entriamo in questa disposizione; si vola. Quanto più grande di una giovinezza è la vecchiaia quando un vecchio si abbandona, si lascia portare da Dio!



Ritiro 22-1-1978 Firenze, casa San Sergio




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