Mercoledì della II settimana del Tempo di Pasqua



L'amore appassionato di Dio per il suo popolo — per l'uomo —
è nello stesso tempo un amore che perdona.
Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso,
il suo amore contro la sua giustizia.
Il cristiano vede, in questo, 
già profilarsi velatamente il mistero della Croce:
Dio ama tanto l'uomo che, facendosi uomo Egli stesso,
lo segue fin nella morte
e in questo modo riconcilia giustizia e amore.

Benedetto XVI, Deus caritas est




Dal Vangelo secondo Giovanni 3,16-21. 

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.


IL COMMENTO


In mezzo a tante chiacchiere sulla moralità e sulla giustizia, il Vangelo di oggi ci inchioda tutti alla verità: le nostre opere in chi sono fatte? Scrive San Giacomo che la fede senza le opere è morta; se la fede non si esplicita in un agire concreto è senza vita, ferma ad uno stadio embrionale, intellettuale o pseudo-mistico, ma priva del soffio dello Spirito. E chi non crede è già condannato: chi rifiuta la Grazia celeste della fede, dimora lontano da Dio e rimane nelle tenebre che avvolgono un condannato, obbligato in una cella di due metri per due, lo spazio angusto nel quale strozziamo relazioni piene d'egoismo. Chi non crede è condannato a cercare vita in cisterne screpolate e senz'acqua, obbligato a darsi sempre più piacere, a soddisfare parossisticamente esigenze vecchie e nuove, perché il male non sazia mai, affama sino ad uccidere. Nel Vangelo di Giovanni fede e opere quasi coincidono: l’opera per eccellenza infatti, è credere. E’ l’opera fatta in Dio, che spalanca le porte della vita alla luce. Credere è appoggiarsi, credere è rimanere nel SignoreTutto nel Vangelo di Giovanni conduce ad una relazione di intimità con Gesù. Vedere è credere, e credere è essere uniti profondamente e indissolubilmente a Cristo. Credere in Lui coincide con l'essere in Lui. In Giovanni non v’è nulla di gnostico, intellettuale o ideale. Giovanni è concretissimo, nelle note storiche di cui si serve per il suo vangelo, come nel mostrare la relazione di Gesù con i suoi discepoli. Il discepolo amato infatti, appare come colui che riposa sul petto di Gesù, e ne percepisce i sentimenti più profondi sino ad identificarvisi. Vedere Gesù anche dove non lo si vede più nella carne, nei momenti bui dell’esistenza, dove neanche un briciolo di sentimento può consolare. Nella solitudine della notte, dove ragione e sentire non rispondono all’appello, camminare illuminati dalla sola fede, dall’intimità che supera ogni barriera, come una madre che ha il figlio in guerra e non sa se sia vivo oppure no, che non riceve lettere e notizie, ma che non per questo smette di amarlo; anzi, nella totale incertezza, nella precarietà che fagocita tutto, l’amore si moltiplica a dismisura rompendo gli argini del tempo e dello spazio.


Questo amore è, per Giovanni, la fede. Questo amore che sgorga dallo stesso cuore di Dio rivelato dal dono del suo unigenito Figlio. L’amore di Dio che cerca ogni uomo per attirarlo a sé attraverso la Croce innalzata di Gesù. Guardare Cristo crocifisso, fissare quell’amore trafitto dai miei peccati, restarne coinvolto perché Lui si è legato a me al punto di farsi peccato, di lasciarsi stritolare dalle conseguenze dei miei delitti, guardare Cristo crocifisso e vedere l’amore di Dio per me: questa è la fede. La fede sulla terra è un Padre che sacrifica suo Figlio, come Abramo con Isacco; la fede è lasciare tutto di noi a Dio, sacrificare, fare sacra la nostra vita sul Moria che ci attende, pronti ad offrire anche l'affetto più grande, anche la stessa opera di Dio in noi, per incontrare il suo Autore e lasciarsi accogliere nell'intimità della sua misericordia. Credere che l’amore che ho sempre sperato è possibile, è ora qui davanti ai miei occhi. Credere è lasciarmi amare e perdonare. Credere è smettere di discutere, giustificarmi, scappare alla ricerca di rifugi ipocriti e alienanti, per uscire dalle tenebre e venire alla luce della verità che libera e salva. Credere è abbandonare ogni pretesa di autosufficienza e autogiustificazione e lasciarmi giudicare dal non giudizio di Dio, dalla sua misericordia, dal suo amore. Credere è consegnarmi oggi alla giustizia divina, al fuoco d’amore acceso sulla Croce. Credere è immergersi nell’amore per vedere la mia vita trasformata in amore, perché non vi è nessuna condanna per chi è amato; Dio, infatti, dice Benedetto XVI, "non spadroneggia, ma ama senza misura. Non manifesta la sua onnipotenza nel castigo, ma nella misericordia e nel perdono. Capire tutto questo significa entrare nel mistero della salvezza: Gesù è venuto per salvare e non per condannare; con il Sacrificio della Croce egli rivela il volto di amore di Dio. E proprio per la fede nell’amore sovrabbondante donatoci in Cristo Gesù, noi sappiamo che anche la più piccola forza di amore è più grande della massima forza distruttrice e può trasformare il mondo, e per questa stessa fede noi possiamo avere una "speranza affidabile", quella nella vita eterna e nella risurrezione della carne". Così, in chi crede tutto viene alla luce perché tutto risplende dall’interno come nelle icone orientali, di una luce nuova e celeste, quella della vita divina che ha preso possesso di lui. Chi crede, chi vive appoggiato nell'amore smisurato di Dio, dimora in Lui, e le sue opere sono, naturalmente, fatte in Dio, e quindi sono opere di luce, che testimoniano l’amore che ha vinto il peccato e la morte: il perdono, la misericordia, la pazienza, la mitezza, la castità, la generosità, la dolcezza e il timore, il dono totale di sé anche al nemico. La fede trasfigura l’esistenza, e la fa risplendere di santità. E’ vero che tutti portiamo l’esperienza dell’incredulità e della chiusura alla Grazia. Tante volte abbiamo preferito le tenebre dei nostri sotterfugi, dei nostri desideri, delle nostre concupiscenze, dei nostri progetti da portare a termine a tutti i costi. E’ vero che le nostre opere erano malvagie, figlie del principe delle tenebre e della menzogna. E’ vero che abbiamo tanto giudicato perché il nostro cuore non aveva conosciuto la misericordia, ma solo il duro giogo del moralismo e dell’ipocrisia. E’ vero che siamo dei poveri peccatori. Ma proprio per noi sono le parole del Vangelo di oggi, per noi è l’amore infinito di Dio. Ora. Lasciamoci allora abbracciare da Gesù, così come siamo, fissiamo il Suo sguardo che non ci giudica, che desidera solo di farci una cosa con Lui. Desidera la nostra felicità, essere in Lui e Lui in noi, rimanere da ora e per l’eternità nel Suo amore.



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