Martedì della XIX settimana del Tempo Ordinario



L’uomo è irragionevole, egocentrico: 
non importa, amalo!
Se fai il bene ti attribuiranno secondi fini egoistici:
non importa, fa’ il bene!
Se realizzi i tuoi obiettivi troverai falsi amici e veri nemici: 
non importa, realizzali!
Il bene che fai verrà domani dimenticato:
non importa, fa’ il bene!
L’onestà e la sincerità ti rendono in qualche modo vulnerabile: 
non importa, sii sempre e comunque franco e onesto!
Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo: 
non importa, costruisci!
Se aiuti la gente, se ne risentirà:
non importa, aiutala! 
Dai al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci:
non importa, continua! 

Madre Teresa di Calcutta

Dal Vangelo secondo Matteo 18,1-5.10.12-14

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». 
Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 
«In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. 
Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
Il commento
Il più grande dei comandamenti, il più grande nel Regno dei Cieli... Chi seguiva e si avvicinava al Signore non aveva molta fantasia. Come il cuore di ciascuno di noi, monotono e sempre in cerca di qualcosa per cui appassionarsi, risultati, misure da esibire, cifre e numeri a stabilire il perimetro della propria presenza: più "conti" e più sei grande, e addio paura della fine... 
L’ambizione è sempre figlia dell’insoddisfazione, dell’esigenza insopprimibile di colmare il vuoto che sperimentiamo. Così si fa strada in noi l’illusione che in una certa grandezza vi sia la possibilità di dare consistenza e certezze alla nostra vita. Essere il più grande, la stessa tentazione che ha sedotto Adamo ed Eva, diventare come Dio, salire più in alto di tutti per decidere in tutta "libertà", dirigere e proteggere la propria vita senza nessuno che la contesti e frustri i nostri desideri. 
Gesù ci conosce e così, invece di rivelare chi sia il più grande, indica il cammino che Lui stesso ha percorso, la Via Crucis alla ricerca della "pecora perduta". La "conversione" alla quale ci chiama il Signore è passare dal pensare secondo gli uomini al pensare secondo Dio; è un cambio di mentalità, che si dà solo quando si è scoperta e accettata la realtà. Siamo "piccoli", e abbiamo bisogno di un Pastore che ci ami senza giudicarci, che ci "cerchi" e ci "ritrovi". 
Paradosso dei paradossi, secondo il pensiero di Dio, "il più grande" nel regno dei cieli è il più piccolo, un bambino capriccioso che si infila in un bosco e si perde. Un bambino come una pecora "smarrita", come tu ed io ogni giorno. Cerchiamo la grandezza e ci ritroviamo impauriti e piccolissimi, inermi di fronte alle situazioni nelle quali, stoltamente, ci siamo infilati. 

Abbiamo lasciato che il volto di quella ragazza si impadronisse delle nostre passioni, e ora non siamo capaci di liberarcene, ci sentiamo strozzati dentro qualcosa che ci fa male perché non ci appartiene; abbiamo lasciato che il risentimento covasse, e ora è impossibile recuperare il rapporto con nostra moglie; dapprima non le abbiamo rivolto la parola, e i giorni si sono accumulati, e ora sono già mesi che viviamo come estranei, la notte si erge tra noi un muro invalicabile, di giorno scappiamo ai nostri affari senza degnarci di uno sguardo.

Non abbiamo avuto tempo per intercettare il bisogno di aiuto di nostro figlio, chiusi nell'egoismo e nella presunta severità che crediamo si addica a un genitore; e ora che vorremmo parlare, aiutare e salvare è impossibile, lui è già scappato dietro al mondo, cercando fuori di casa l'affetto e la misericordia che gli abbiamo negato; prigionieri dell'avarizia abbiamo portato in tribunale nostro cugino e in famiglia è scoppiata una guerra senza quartiere; e così in mille altre situazioni.

Si, quel bambino che Gesù ha "chiamato" e "posto in mezzo" a tutti sono io. Non perché a prezzo di sforzi indicibili mi sia rimpicciolito e sia diventato finalmente umile. Quel bambino sono io perché la storia mi ha ridimensionato, i peccati hanno svelato il loro lato nascosto di morte e solitudine. Quel bambino sono io perché "smarrito" come la pecora della parabola. 

Gesù, infatti, è venuto a "chiamare" i malati e i peccatori, i lontani e i perduti. Gesù ha la stessa "volontà del Padre", la rivela e la compie. Non a caso, per illuminare la parabola, conclude dicendo che questa volontà è "che neanche uno di questi piccoli si perda": non dice pecora, ma identifica questa con uno dei "piccoli", dal bambino che ha chiamato e messo nel mezzo a quelli che sono "disprezzati". 

Quanto disprezzo abbiamo sperimentato nel mondo; il demonio, infatti, fa sempre così: prima ci induce a "perderci" e poi ci dà in pasto al disprezzo del mondo e di noi stessi, sino a spingerci alla disperazione. E' questa l'autentica perdizione, disprezzare se stessi dimenticando che, anche nel fondo più buio, i nostri "angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre di Gesù che è nei cieli". E' questo il cuore del vangelo di oggi. Proprio laddove, a causa del peccato, più grande si è fatta la distanza tra l'uomo e Dio, il Cielo è più vicino: "dove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia". 

E' questo lo sguardo di Dio che ne rivela il pensiero, e che si fa carne nel pastore che lascia le novantanove per cercare l'unica perduta e si inoltra nelle "periferie" di ogni esistenza; questi è Gesù che così profetizza il suo estremo smarrimento patito sulla Croce, quando ha gridato: "Padre, perché mi hai abbandonato?". La carne era lontana dal Cielo, inchiodata alla Croce da tutti i peccati di ogni pecora perduta, ma, divenuto il più "piccolo" e il più "disprezzato" tra gli uomini, attirava a sé lo sguardo misericordioso del Padre che è nei Cieli. Gesù era perduto in tutti i perduti, ma più vicino che mai al Padre che era misteriosamente accanto a Lui, "cercando" le sue lacrime, il suo sangue, goccia dopo goccia, "ritrovando" in quella sua carne martoriata ogni carne ferita dal peccato per riportarla in salvo. 

Forse non lo abbiamo mai pensato, ma proprio mentre ci stavamo allontanando, cedendo miseramente al peccato, il Signore era già alla nostra ricerca. Così, proprio ora, in questa situazione dalla quale non sappiamo uscire, Gesù ci "ritrova" per salvarci. Il Padre non ha mai smesso di guardarci come suoi figli carissimi, i più "piccoli" e "disprezzati". In noi ha riconosciuto il suo Figlio diletto crocifisso, nelle nostre ferite ha visto quelle gloriose del suo Unigenito. 

Ora è per noi come per Pietro sulle sponde del Mare di Galilea dove si era "perduto" per dimenticare quel Maestro crocifisso; come quella sera di Pasqua con i suoi compagni "perduti" nella paura e nascosti nel cenacolo; come per i due discepoli di Emmaus "perduti" sulla strada del ritorno deluso alla solita vita, all'immenso sconforto d'una speranza svanita. E lì, nello sconforto, può vibrare il cuore di gioia purissima per l'incontro di due così diversi eppure fatti l'uno per l'altro: "Ossa delle mie ossa, carne della mia carne", sono queste le parole del Pastore al ritrovare la sua amata pecora smarrita.

Ma non è scontato questo amore. "Che ve ne pare?" ci chiede oggi il Signore. Chi lascerebbe il guadagno sicuro di novantanove pecore per andare a cercare un'unica pecora dispersa, senza alcuna certezza di trovarla, senza sapere se sia viva o morta, o sbranata dai lupi e così inutilizzabile per lana e carne? 
Chi, facendo due lucidi calcoli, si sognerebbe di rischiare la vita per un'unica pecora, avendone messe al sicuro novantanove? 

Chi lascerebbe la parrocchia piena di fratelli avviati a un pascolo tranquillo per un fratello traviato, l'unico, scappato, perduto, ostinato nei suoi peccati, cieco nei suoi inganni? Chi, dinanzi all'evidenza di anni scivolati senza concludere nulla di quanto creduto, sperato, sofferto, sarebbe disposto a ricominciare tutto da capo, con moglie, marito, figli, parenti e colleghi? 

Chi è così libero da se stesso, dagli anni accumulati e dalle ragioni di prete, di padre, di madre, di fratello, di sorella, raccolte nella mente e nel cuore, da ripresentare, ogni giorno, dinanzi alle mille speranze frustrate, la propria vita come un foglio completamente bianco, nell'assoluta certezza che Dio può stupire e compiere l'impossibile? Chi? Solo Gesù Cristo! 

Gesù è l'unico che ha nel cuore cento pecore, sempre. Anche quando una scappa, si perde, lo rifiuta, lo bestemmia, spezza l'Alleanza, lo tradisce, e distrugge la propria vita e dilapida la primogenitura e le Grazie ad essa legate, per Lui sempre cento sono le sue pecore. Gesù non cancella nessuno, non considera nessuno spacciato, sino alla fine. Per Lui è sua pecora anche la peggiore, la più ribelle; anche quella che lo umilia, e lo calunnia, e lo uccide... cento ne ha ricevute, cento vuole portare all'ovile eterno del Cielo. 

Così vive anche chi ha sperimentato il suo amore, i "piccoli" che, "disprezzati" da tutti, hanno incontrato il suo apprezzamento senza condizioni. Per questo i "piccoli" sono gli apostoli del Regno, gli annunciatori del Vangelo: "chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me". Chi accoglie i "piccoli" evangelizzatori accoglie l'amore di Dio che si offre in loro; hanno, infatti, il pensiero di Dio su chi è vicino e si è fatto il più lontano, l'amico che mangiava insieme e ha tradito, vendendoli per trenta stupide monete. 

Anche noi siamo chiamati a camminare sulla Via Crucis che ci ha salvato, la strada di quell'unica pecora così strana da perdersi, da uscire dai nostri schemi. Se non è presente all'appello del branco, al sicuro dell'ovile, per quanto si brighi e si ragioni, ci lascia il cuore inquieto; ed è il segnale che siamo nati per amare davvero, al di là di ogni ragione, per sperare contro ogni speranza, e per accogliere tutti, senza distinzione, nel nostro cuore. 

Quell'unica pecora che ci è sfuggita, che non ha accolto il nostro amore, le nostre cure, parla al nostro cuore: è il Signore stesso che, in lei, ci chiama alla luce della verità. Forse gli sforzi che abbiamo profuso hanno dimenticato chi quella pecora fosse realmente, e abbiamo tentato di rinchiuderla nei nostri criteri. O forse no, forse è stata davvero così perversa da rigettare il nostro amore, da rifiutarci e tradirci. Il fatto è che ora manca all'appello. E fa parte di noi, dell'eredità che Dio ci ha dato nel momento stesso in cui ci ha pensato e chiamato all'esistenza. Non saremo noi stessi sino a che non l'avremo ritrovata, issata sulle spalle e ricondotta a Dio

Ma come? Per questo non esiste manuale di teologia o di pastorale; è un affare dello Spirito Santo, dell'amore di Dio che, riversato nei nostri cuori, li rende docili alla sua follia, allo zelo che rade al suolo ogni umana sapienza, per far posto ad una misericordia che spinge a cercare laddove nessuno si avventurerebbe. Lo Spirito che ci fa giungere a un centimetro dalla pecora perduta, ad accettare le sue fughe, ad aver pazienza, a ricominciare la ricerca, a rinunciare ad ogni piano e progetto di recupero, a lasciare che sia Dio a determinare tempi e modi. Lo Spirito di libertà che fa amare senza misura, senza sperare nulla donando tutto! 

Che il Signore ci conceda un desiderio ardente di ritrovare e amare quanti si sono allontanati, non importa per quale motivo. Che il nostro cuore sia dischiuso nella libertà senza limiti, nella speranza che supera ogni criterio, nell'amore struggente che, testardamente, non vuole che nessun piccolo sia perduto. Perché la gioia autentica, il destino per il quale siamo nati, ci è dato come primizia nel ritrovare chi era perduto! 

E' questa l'intimità con Dio, la partecipazione ai suoi sentimenti, il pensare con il suo pensiero. La sua gioia in noi, ed è, finalmente, gioia piena! La gioia di chi, al di là di ogni ragionamento, di ogni calcolo, di ogni speranza, ritrova il volto di chi aveva perduto! La gioia della misericordia! E' in essa che si fa presente il Paradiso. 

La soddisfazione professionale, pastorale, paterna, materna costituita da novantanove-pecore-novantanove che obbediscono, ascoltano, messe al sicuro, non è ancora la gioia che può saziarci; non è la gioia del Cielo. "In verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite". In queste parole è svelato il segreto più profondo di Dio. Testi e corsi di Cristologia, Ecclesiologia, saggi di pastorale, convegni, dibattiti, riunioni fiume di Conferenze Episcopali e Consigli pastorali, tutto potrebbe essere riassunto in queste semplici parole del Signore: C'è più gioia! E' questa, e solo questa, la gioia di Dio! 

La missione della Chiesa non sarà compiuta se non in questo surplus di gioia. Guardarsi e rimirarsi per i successi ottenuti, come per i fallimenti subiti, non è secondo il cuore di Dio.  Caritas Christi urget nosLo zelo arde di gelosia per la carne della propria carne dispersa e perduta! Non è un vanto predicare il vangelo, è un dovere, un fuoco che Dio stesso ha acceso nel cuore della sua Chiesa. La gioia naturale del cuore di Dio: o si ha questo cuore o tutto è vano! 



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