La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l'illuminazione e la conversione,
cioè col passaggio dalla morte alla vita,
dal peccato alla giustizia,
dalla infedeltà alla fede,
dalle cattive azioni ad una santa condotta.
Coloro che risuscitano con questa risurrezione
non subiscono la seconda morte.
San Fulgenzio di Ruspe
Dal
Vangelo secondo Luca 7,11-17.
In
seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i
discepoli e grande folla.
Quando
fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto,
figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola,
il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!».
E
accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse:
«Giovinetto, dico a te, alzati!».
Il
morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla
madre.
Tutti
furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto
tra noi e Dio ha visitato il suo popolo».
La
fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la
regione.
Il
commento
Tutto
l'episodio ruota intorno a un'assenza decisiva. Vi sono la
madre, il figlio morto, i portatori, molta gente della città, ma del
"padre" nessuna traccia. Se la madre è vedova, significa che il
figlio è orfano di padre. E proprio questa è la "malattia" che lo
aveva ucciso! In lui appare anche l'immagine della morte prodotta dal
frutto velenoso dell'inganno demoniaco per cui bisogna disfarsi del Padre
creatore. E' accaduto come al figlio prodigo, "morto" proprio per
esserci allontanato dal Padre, mentre il ritorno a lui ne ha segnato la
risurrezione: "questo mio figlio è morto ed è ritornato in vita"
afferma il Padre che lo ha riabbracciato. Chi non ha Padre è morto.
Già Telemaco nell'Odissea, diceva: “Se quello che i mortali desiderano,
potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre”. Al proposito,
spiegava in un'intervista lo psichiatra Caudio Risé che "le patologie
psichiatriche sono in forte crescita. Da una parte negli ultimi trent’anni sono
enormemente aumentati i giovani chiusi in se stessi, soli anche se in compagnia
e incapaci di costruirsi una vita basata su relazioni stabili. Dall’altra parte
l’assenza del padre genera un narcisismo patologico in cui la persona ha
bisogno di continue conferme di sé, prigioniera di una fragilità
destabilizzante che la fa essere in balia di tutto. Incapace di fidarsi
(innanzitutto di sé) per via del padre che ha abdicato, non sa confrontarsi né
accogliere l’altro, di cui dubita sempre. Questa situazione è sfruttata
economicamente attraverso comunicazioni e consumi indotti e dipinta come positiva
dal circo massmediatico. Così la persona sofferente, lasciata nella sua
sostanziale solitudine anziché aiutata a uscirne, rimane insicura e dipendente
e sviluppa angoscia" (Intervista al settimanale Tempi).
Possiamo
vedere in questo ragazzo la nostra vita e quella dei nostri figli, quella di
tanti amici e colleghi, dei protagonisti di film e canzoni: tutti
inguaribilmente schiavi di un "narcisismo psicologico" che cerca
l'identità nei Social Networks e nell'abbigliamento, negli oggetti e nelle
persone ridotte a beni di consumo. Abbiamo perduto il Padre, siamo usciti dal
Paradiso nudi e impauriti come Adamo ed Eva, come il figlio incamminato a
dilapidare le sostanze. Non solo, ma così ci siamo comportati, orfani
che generano orfani, dando vita ad un tragico ossimoro. Quante volte ci
comportiamo come pappemolli incapaci di dire no, di avere un'idea forte,
espressione di una fede adulta. Quante volte rincorriamo gli affetti perché
vuoti e privi di spina dorsale. Morti che generano morti. Come il figlio unico
di madre vedova. L'esito immancabile dei nostri atteggiamenti è sparire
eludendo le responsabilità per paura; così lasciamo solo chi ci è accanto, solo
ad accompagnare alla tomba chi non siamo stati capaci di amare offrendo la
nostra vita. Il Padre, infatti, è proprio immagine del Creatore, di colui che è
principio e sorgente di vita. La madre è diversa, è colei che sa accogliere la
vita, gestarla e custodirla con pazienza e tenerezza. Tutte le volte che
abbiamo rifiutato di assumere la responsabilità di testimoniare, con parole,
scelte e gesti autentici e "creativi" di bene e bellezza, abbiamo
abdicato dalla paternità alla quale siamo chiamati: "Servono anche padri che
rappresentino il Padre. Persone che ci indichino il senso, la nostra strada per
riconoscerlo, e che la ricerchino con noi. Servono contesti in cui i legami
siano veri, comunità in cui ci si supporti l’uno con l’altro, spiritualmente,
affettivamente e materialmente. Ne abbiamo urgenza sia noi sia gli altri.
Le persone sono sempre più isolate: quando le incontriamo dobbiamo fare di
tutto per rompere questo isolamento. Dobbiamo costruire dei ponti, come ci sta
ricordando papa Francesco" (Claudio Risè, Ibid.). E
invece di ponti abbiamo allargato le distanze, sino a evaporare noi e la nostra
vocazione; abbiamo così consegnato alla vedovanza la moglie con la quale
avremmo dovuto condividere la responsabilità – la moglie che abbiamo sposato
come la Chiesa e i fratelli - e alla morte il figlio che ci è stato affidato -
nella carne o spirituale.
Ma
il quadro terribile non finisce qui... Proprio quando tutto sembra perduto, e
il bambino è già nella bara e alla disperazione della madre non resta che deporlo
nella tomba, giunge Gesù. Lui è il Figlio amato dal Padre. Lui è il Figlio
Unico che il Padre non lascia solo un istante. Lui è il Figlio che compie la
volontà del Padre. Lui è il Figlio al quale il Padre rivela tutto e dona ogni
suo bene. Lui è il Figlio prediletto e scelto per rivelare e ridonare a ogni
figlio il Padre perduto. Per questo si trova, in quel momento preciso, alle
porte di quella città: doveva incontrare quell'orfano ormai morto. Esattamente
come si trova ora alle porte della nostra vita orfana e prossima alla tomba.
Ma, per ridonarci il Padre ha bisogno di guardare e avere compassione di nostra
Madre. Ma chi è nostra Madre? E' colei che ci ha generato nella carne? Certo,
ma non solo lei. E' Maria, la Madre che ha dato alla luce il Figlio del Padre
di ogni uomo. E' Lei la Madre di tutti noi, piangente oggi perché ci ama
infinitamente. Piange perché, per salvarci, deve consegnare le sue lacrime alla
compassione di Gesù. Deve poter ascoltare per noi che, morti, non possiamo;
deve essere lì, accanto a noi e a Gesù e udire le parole capaci di consolare e
schiudere la tomba: "Non piangere".
In
questo frastuono di lacrime e speranze infrante, in questo funerale che è oggi
la nostra vita - un figlio scappato di casa, una malattia, il lavoro perduto,
l'incomprensione della moglie, i soldi che non bastano, lo sfratto, i peccati
che ci scappano dal cuore e non possiamo farne a meno - sul cammino che ci
conduce al sepolcro dove deporre la felicità perduta, ecco giungere e planare
lo sguardo di Gesù. Ecco oggi i suoi occhi colmi di compassione cercare
quelli gonfi di lacrime della madre e quelli spenti del figlio; e le
sue parole, le udiamo insieme a nostra madre; proprio perché morti e senza
speranza, ci giungono diritte al cuore che ha smesso di amare: "Non
piangere!". Le stesse che hanno fatto fremere il cuore di Maria
Maddalena piangente al sepolcro di Gesù. Le parole che ne hanno destato la
speranza, come oggi risvegliano in noi la Verità che la Chiesa ci ha annunciato
mille volte: non piangere, la morte è vinta, ogni peccato è perdonato,
Cristo è risorto dal sepolcro!
L'episodio
del Vangelo di oggi profetizza quello del Calvario, dove "stava presso la
Croce di Gesù Maria, la madre di Gesù...": Giovanni utilizza la
preposizione presso in una forma particolare, quella che in
greco è riservata alle persone, diversa da quella usata per le cose: Maria non
era accanto ad un oggetto di legno quale era in effetti la Croce; Ella si
trovava invece presso qualcosa di vivo, ad una Croce viva, la Croce
di suo Figlio, il legno santo divenuto persona, la sofferenza autentica intrisa
del sangue di Gesù, un dolore che la coinvolgeva in un rapporto specialissimo.
La Croce non era per Maria un semplice strumento di tortura ma il Destino che
aveva afferrato suo Figlio e nel quale lei stessa era assorbita, del quale
partecipava fino a sentire la sua anima trapassata da una spada. Su quella
Croce il Figlio ha riaperto il Cielo e ricondotto ogni figlio disperso tra le
braccia di suo Padre.
Per
questo Maria presso la Croce è anche immagine di ogni innocente sofferente, di
tutti gli orfani di Padre disseminati nella storia. Bambini violentati, vittime
degli tsunami, figli che hanno visto i genitori divorziare, coniugi traditi,
lavoratori licenziati, anziani gettati nell'abisso della solitudine, e le
vittime delle dittature e dei campi di concentramento, delle guerre e delle
rivoluzioni, degli sconquassi economici frutto di giochi finanziari perversi e
avidi. I piccoli e i poveri della terra, tutti racchiusi nel popolo degli anawin di
Israele, oppressi e affaticati, gli ultimi della terra. Maria presso la Croce è
una di loro, abbracciata alla sofferenza di ogni innocente, unita all'unico
Giusto sofferente l'ingiustizia più grande: Maria presso Gesù crocifisso,
presso ciascuno di noi, "figli unici di madre vedova", senza
speranza, cancellati dalla terra, avviati ad un sepolcro senza uscita.
Peccatori
che sperimentano le conseguenze mortali del peccato ci troviamo spesso vittime
innocenti di ingiustizie cui non possiamo sfuggire. Siamo tutti distesi nella
bara di quel giovinetto. E proprio per questo siamo tutti oggetto della
compassione di Dio. In noi Egli vede il suo Figlio crocifisso, e sua Madre sola
accanto a Lui. Nostra madre, le viscere di carne che ci hanno gestato e
generato, la nostra storia, l'identità, quello che ci ha costituito e formato,
dissolversi nel fallimento della morte. E la nostra Madre che ci ha rigenerato,
Maria, la Chiesa, anch'essa sofferente per noi, le sue preghiere e le sue
lacrime, la sua intercessione, lo zelo pieno d'amore che non ci lascia mai,
sino al'ultimo respiro, sin dentro la morte. Su tutto lo sguardo compassionevole
di Dio, lo stesso che ha guardato il Popolo oppresso da quattrocento anni di
schiavitù in terra d'Egitto, lo stesso che ha amato quella madre vedova di quel
"giovinetto", "figlio unico" come Gesù, come unico è
ciascuno di noi agli occhi di Dio.
La
"compassione" di Gesù è la compassione del Padre, il suo cuore
spezzato di fronte alla morte del Figlio, alla spada che percuoteva l'anima di
sua Madre, al peccato e alla sofferenza innocente di ogni uomo, paradosso che
atterrisce anche la nostra vita. La "compassione" che ha mosso
Gesù a toccare quella bara e a ridare vita al ragazzo è la
"compassione" di suo Padre che lo ha riscattato dalle angosce della
morte. E' la compassione che tocca la nostra bara oggi, che si contamina con la
nostra morte, e che ci risveglia e rialza ad una nuova vita. "Dico a
te!", a me, a te, proprio a noi, e non sono parole dette così, alla
moltitudine. Sono una chiamata personale ad alzarci dalla tomba,
per "ricominciare a parlare", ad avere relazioni nuove e
autentiche libere dal narcisismo perché ormai riconsegnati alla vita dei figli
amati dal Padre. Il Signore ci ridona oggi la capacità di "parlare"
lingue nuove, per entrare nella comunione nuova che Lui ci dona per
amare: parlare per donarci agli altri, per uscire dalla solitudine
della tomba e ricominciare a vivere, che significa amare, nella storia concreta
che siamo chiamati a vivere, senza sperare ed esigere cambiamenti, certi che la
compassione di Dio ci conduce ogni istante ad attraversare la porta stretta dell'ingiustizia,
della sofferenza e della Croce. Risuscitati
per tornare a nostra Madre.
Risuscitati
per sperimentare la riconciliazione, e vivere nell'intimità della
Chiesa, il luogo dove la nostra storia di carne, anche nei suoi aspetti più
misteriosi e dolorosi, incontrano la pace di chi vi scopre l'amore infinito di
Dio. Come Giovanni sotto la Croce siamo risuscitati per accogliere Maria, la
Mediatrice di tutte le Grazie, nella nostra casa, nella trama della nostra
vita. Per questo oggi il Signore ci perdona e ci riscatta dalle ingiustizie,
per donarci a sua Madre, alla Chiesa, non più vedova ma Sposa che attende ogni
istante il ritorno dello Sposo amatissimo; e noi suoi figli siamo chiamati a
vivere ogni evento nella stessa attesa, certi che Lui è già con noi, e noi con
Lui vivi alla destra dello stesso Padre. Oggi il Signore ci risuscita per
gustare e vivere già il Cielo nella nostra storia. E' questa la Profezia
apparsa tra noi, la visita di Dio: "Non piangere! Alzati!" ed entra
nella volontà d'amore di Dio, una vita trasfigurata sui passi della storia,
attraverso tsunami e sofferenze, verso il compimento che ci attende in Cielo,
in Cristo Gesù risorto che ci ama di un amore incorruttibile.
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