XXVI Domenica del Tempo Ordinario. Anno C

Il Signore ci ama e viene ogni giorno per strapparci a  un'esistenza distesa tra vizi e lussi anestetizzanti. Non servono chissà quanti soldi per vivere come l’ “uomo ricco”. Bastano anche i desideri, quelli indotti dalle pubblicità suadenti di prodotti che sembrano regalati; e non possiamo più vivere senza essere connessi non-stop e senza i film in HD, mentre le concupiscenze inesauste ci sbiadiscono i sentimenti.
“Banchettare lautamente” significa mangiare ovunque e senza freni per diventare poi obesi di effimero; “vestirsi di porpora e bisso” significa indossare ipocritamente l’onore, il rispetto, il prestigio e il successo per i quali si è sacrificato tutto, soprattutto la propria anima. I mille compromessi, le menzogne, le invidie, le gelosie e l’avarizia, sono le portate del crasso menu di cui ci satolliamo ogni giorno. E’ la nostra vita, spesa tra banchetti per saziare una fame insaziabile, e vestiti per coprire una nudità che non si può dimenticare, l’indigenza mortale dove ci ha sospinto il demonio.
Per questo la salvezza appare sulla soglia della nostra vita con gli abiti lisi di un mendicante affamato: "Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo" (don Giussani). Anche oggi, infatti, è come quell'oggi del ladrone crocifisso accanto a Gesù: proprio in quel momento l'infinita misericordia lo visitava con la carne lacerata di Cristo crocifisso giunta a un passo da lui. Dio era lì come l’ultimo peccatore della terra e mendicava da lui una parola capace di mendicare il suo perdono.
Come oggi è a un soffio da te e da me, “coperto di piaghe” - una per peccato, i nostri - “bramoso di sfamarsi di quello che cade dalla nostra mensa”, mendicando cioè un frammento della nostra vita sfregiata dal peccato. Gesù “brama” solo una briciola insanguinata, quella di cui neanche ci avvediamo: quel giudizio avventato e scivolato sulle labbra, e uccidevamo un fratello; quell’ironia gratuita che ha umiliato la moglie o il figlio, e noi continuando a vedere la televisione come niente fosse… Il Signore desidera tutti i momenti nei quali non abbiamo saputo e potuto amare, briciole capaci di sfamare e, invece, buttate via.
Tutti quei momenti che, ripensandoli, ci fanno dire: “se avessi fatto o detto in quest’altro modo…”; che ciechi siamo, quel “se” è assurdo perché in quei frangenti ci siamo comportati come potevamo, e non c’era alternativa, perché siamo peccatori, punto. Non esisteva un altro me stesso, buono e santo… E’ illusorio e fuorviante pensare che le cose sarebbero potute andare diversamente, perché solo una completa rigenerazione del cuore può cambiare parole e gesti. Per questo Gesù ci chiede di dargli i nostri vestiti pieni di strappi e scuciture, perché possa darci la veste bianca del perdono e dell’amore, per entrare con Lui nel Paradiso.
E’ per il Cielo, infatti, che siamo nati. Una volta varcata la soglia della tomba il “ricco” apre gli occhi sulla verità. La vita non si giocava tutta sulla terra perché oltre la morte esistono davvero Paradiso e inferno. Come possiamo accorgercene anche noi, tutte le volte che precipitiamo negli inferi a causa dei nostri peccati. Hai disprezzato tua moglie e ora non ti parla da un mese e ti si nega per vendetta? Hai tradito la fiducia di chi ti è accanto, lo hai usato per saziarti, e ora ti trovi solo, crocifisso nell’impotenza? Guarda bene, apri gli occhi e capirai che nulla è senza conseguenze, e queste sono, già qui, anticipo e profezia di ciò che vi sarà oltre la morte.
Come non credere all’eternità se ogni giorno sperimentiamo il gusto dolce o amaro delle decisioni? E come mai l’amaro ci vien voglia di sputarlo? Perché non siamo fatti per l’inferno e i suoi “tormenti”, ma per il paradiso e le sue “consolazioni”, quelle che pregustiamo quando amiamo davvero. Allora, come pensare che non vi sia nulla oltre la morte se c’è qualcosa oltre anche ogni nostra parola? La vita è seria, eccome, e tutto ha un valore immenso, anche le “briciole”, perché perfino ogni sguardo ha il suo riverbero oltre la morte, per il Cielo o per l’inferno.
Anche noi, proprio come il “ricco”, possiamo oggi “alzare lo sguardo” e contemplare Abramo e i santi nel Cielo. Tra “i tormenti” di un rancore possiamo sperare lo stesso destino di Lazzaro, il fratello che ha saputo amare in mezzo ai “suoi mali”. Non siamo morti, c’è ancora un oggi per convertirci: proprio ora Cristo è accanto a te, e, come Lazzaro, mendica la tua attenzione. Il fratello che oggi busserà e chiederà amore, è l’occasione che Di ci dona per aprire gli occhi:la povertà di Lazzaro infatti, è l'immagine che il ricco non vuole guardare, è la propria realtà cancellata e dimenticata.
Per raggiungerci, Gesù ha assunto la nostra natura di poveri Lazzaro: è Lui che, oggi, giace alla nostra porta, sulla soglia della nostra vita mondana, orgogliosa e arrogante. Gesù si è fatto Lazzaro perché potessimo riconoscere la nostra realtà; ha bussato al nostro cuore vestito della stessa nostra debolezza per svegliarci dall’inganno della superbia e della superficialità. Ci chiede le briciole, per dirci che anch’esse sono importanti e decisive. Lazzaro le voleva, gli bastavano, come a tuo figlio, o a tua sorella…
Convertirsi è riconoscere di essere come i pagani, poveri “cani” scacciati da tutti, secondo l’immagine forte che li descriveva. Ma proprio per questo erano gli unici ad accorgersi del suo dolore innamorato: ne erano mendicanti, pronti a curare le “piaghe” che li salvavano, tra l’indifferenza e il rifiuto dei farisei, che non avevano bisogno di nulla.
Convertirsi è scoprire di non avere nessuno che “bagni la punta del dito per bagnarci la lingua” e ridonarci parola e comunione. Senza un amore che superi le barriere della carne, infatti, siamo chiusi a tutti, ed è l’inferno: “un grande abisso” tra i coniugi, tra genitori e figli, tra colleghi e fidanzati. E non si può fare nulla, perché così è “stabilito” dalle nostre scelte. Ma Cristo è risuscitato, ha vinto peccato e morte; e ora, in Cielo, intercede per noi, e ci aiuta a “rientrare in noi stessi”, come il figlio prodigo; e accettare di essere, in questa terra, dei poveri mendicanti che possono solo tendere la mano alla misericordia di Dio.
Così un matrimonio sarà vero e autentico nella misura in cui entrambi i coniugi vivranno nella verità della mendicanza. La moglie che non ci parla sarà allora trasfigurata e riconosceremo in lei il povero Lazzaro: non più un nemico da combattere e sul quale prevalere, ma la nostra stessa povertà che bussa al nostro cuore: nell’esperienza di essere stati amati così come siamo potremo accogliere e amare Cristo crocifisso in chi, invece, vorremmo cancellare, e così entrare insieme nel Paradiso di un matrimonio rigenerato.
Ma per giungere a questa umiltà, occorre un cammino lungo quanto tutta la vitaperché nulla si improvvisa. Per questo, anche se ora apparisse Cristo risorto davanti a noi, non cambierebbe nulla. Non crederemmo, perché ancora chiusi nell’orgoglio. Abbiamo bisogno di “ascoltare Mosè e i Profeti”, per accogliere la fede che ci apra all’annuncio che illumina e salva la nostra vita; occorre imparare a camminare ascoltando, per aprire gli occhi e accogliere Cristo che, anche ora, bussa al nostro cuore in modo inaspettato, nel povero più povero, nel peccatore rifiutato, nell’ultimo di questa generazione.
 Occorre una iniziazione cristiana seria e approfondita perché non ci chiudiamo nel nostro lusso spirituale egoista che ci corrompe dentro: sì, perché anche l'amore infinito di Dio, i doni immensi ricevuti possono trasformarsi in un'autostrada per l'inferno. A Lucifero è successo, e non è una possibilità remota neanche per noi... Occorre vigilare, ed essere aiutati per non distruggere l'opera di Dio, per non accumulare la manna che ci sfama ogni giorno. Vi è una sola possibilità: non trattenere per sé l'abbondanza, i lauti banchetti di Parola e sacramenti, comunione e Grazia, ma aprirci a tutti quelli che bussano per annunciare loro il Vangelo e donarci senza riserve:" Dove c’è vera vita in Cristo, c’è apertura all’altro, c’è uscita da sé per andare incontro all’altro nel nome di Cristo. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù ed esco all’incontro con gli altri. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non può vivere. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono. Questa parolina: dono. Il catechista è cosciente che ha ricevuto un dono, il dono della fede e lo dà in dono agli altri. E questo è bello. E non se ne prende per sé la percentuale! Tutto quello che riceve lo dà! Questo non è un affare!... Quando  rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è chiuso; quando una stanza è chiusa incomincia l’odore dell’umidità. E se una persona è chiusa in quella stanza, si ammala!  E alle volte è ammalato dalla testa…." (Papa Francesco, Incontro con i catechisti, 27 settembre 2013)

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