Giovedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario. Commento approfondito





 Davide e Gionata


La parabola di oggi è un midrash di Gesù sul Padre Nostro; con le parole che ne seguono, fa chiarezza su cosa sia, essenzialmente, la preghiera. Essa è questione di vita o di morte, così come è fondamentale essere figli di un Padre. Se non sappiamo dire a Dio Abbà - Papà, vivremo come orfani, sempre in cerca di un'origine e di un senso, vuoti e frustrati. Per questo Gesù ci spiega la sua preghiera partendo dall'esperienza fondamentale di ogni uomo, il bisogno nel quale nasciamo tutti: "Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti". Un "amico" è giunto sulla soglia della nostra casa, nel mezzo del suo cammino, e ha chiesto ospitalità. In oriente essa è sacra, e per un ebreo costituisce uno degli appelli più pressanti della Torah. Il nome stesso "‘ibri", "ebreo", che i popoli confinanti davano a Israele e da lui accolto come suo, significa "abitante al di là della frontiera", cioè straniero. Ogni ebreo ha il dovere sacro dell'ospitalità "… perché voi siete stati stranieri in terra d’Egitto" (Es 22,20; 23,9). Per un ebreo, l'Egitto è il "luogo dell'angoscia" dal quale il Signore lo ha tratto in salvo, senza alcun merito. 

Per un ebreo, l'Egitto è il "luogo dell'angoscia" dal quale il Signore lo ha tratto in salvo, senza alcun merito. E quante volte si è rivolto a Dio perché non aveva pane. Nella notte del deserto il Popolo ha bussato alle porte del Cielo e Dio lo ha sempre beneficato. Ma lo ha fatto mormorando, e dubitando. E proprio nella misericordia così sproporzionata rispetto al suo cuore duro ed esigente, Israele ha conosciuto se stesso e Dio. Il suo amore infinito, la magnanimità e la pazienza con la quale ha sempre risposto hanno svelato al popolo che c'è qualcosa di più importante del pane materiale. Nel deserto Israele ha compreso che è la Parola di Dio a dare vita dove essa non c'è; e che solo lo Spirito Santo Creatore che esce dalla bocca del Padre, quello con cui ha fatto l'universo, dà senso e consistenza allo spirito dell'uomo. E' solo esso che imprime l'immagine e la somiglianza con Dio a chi lo riceve. 

Chi non ha questa esperienza, la certezza cioè che Dio esiste e provvede in tutto, e ama al di là di ogni ragionevole limite, e dona senza misura il suo Spirito Santo giorno dopo giorno, come la manna di cui nutrirsi per camminare nel deserto che avvolge la vita, chi non lo ha ricevuto e non ci crede, non può bussare al cuore di Dio. Anzi, pur bussando si sentirà rispondere di non essere conosciuto. Non è amico di Dio perché non ha ascoltato le sue confidenze, e non desidera compierne la volontà. Per che cosa allora il Padre dovrebbe donargli lo Spirito Santo e ciò che chiede? Sarebbe gettare tra i rifiuti la Grazia. 

Per questo, in ogni viandante riconoscerà se stesso, i suoi peccati e la misericordia di Dio; e, facendo memoria della sua storia, farà nei suoi riguardi quanto ha Dio ha fatto con lui. Ma l'uomo della parabola non può! Non ha il pane necessario ogni giorno, l'alimento sostanziale per accogliere il suo amico - quello che Gesù invita a chiedere nel Padre Nostro. Forse ha dimenticato di prepararlo, o ne ha consumato la provvista. Che amicizia può offrire? La Scrittura descrive così l'amico: "L’amico fedele è solido rifugio, chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore" (Cfr. Sir 6). Forse anche noi dovremmo chiederci se davvero ci sta a cuore la sorte dell'amico che bussa alla nostra porta; o, addirittura, se è davvero nostro amico... "C’è chi è amico quando gli è comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. C’è anche l’amico che si cambia in nemico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi. C’è l’amico compagno a tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura" (Sir 6). Allora, vediamo, mio marito è mio amico? E mio figlio? E' mia amica mia madre o mia sorella? Sono "amici" nel senso illuminato dalla Scrittura? Sono "altri me stesso" come lo fu Gionata per Davide, al punto di legare indissolubilmente la sua vita a quella del suo amico: "l’anima di Gionata s’era già talmente legata all’anima di Davide, che Gionata lo amò come se stesso. Gionata strinse con Davide un patto, perché lo amava, come se stesso(1 Sam. 18,1;3,4). 

Niente a che vedere con la caricatura post-sessantottina dei genitori amici dei figli, niente di sdolcinato, anzi: Gionata è morto per Davide, perdendo tutto. Questo è un amico. Dovremo allora ammettere che no, non andiamo a "importunare" nessuno: non abbiamo amici da accogliere; infatti, non abbiamo preparato nulla per loro; e non abbiamo amici a cui chiedere aiuto, crediamo di bastare a noi stessi. Autoreferenziali e centrati sul nostro ego, anche quando crediamo di amare cerchiamo solo di saziare la nostra concupiscenza. Siamo presi tra due amici dei quali forse non conosciamo nulla, i bisogni dell'uno e la generosità dell'altro. Con uno siamo egoisti e narcisi, dell'altro dubitiamo perfino dell'amicizia, e non siamo certi che possa darci il pane di cui abbiamo bisogno. Per tutto questo, probabilmente non ci siamo mai svegliati di notte per pregare in favore del matrimonio, dei figli o di un collega

Forse abbiamo pensato di risolvere le questioni mondanamente, e ci siamo ritrovati senza "pane". L'amore autentico, invece, squarcia la notte e insanguina le ginocchia, bussando, cercando e chiedendo il "pane" per l'amico; chi ama sa che ha bisogno di essere amato egli per primo, istante dopo istante. Così ha fatto Gesù per ciascuno di noi. Ci ha incontrati sul nostro cammino, affamati, schiacciati dal peso dei peccati, senza forze per andare avanti. E ha pregato, ogni notte, sino all'alba, anticipando nell'orazione il Mistero Pasquale con cui ci avrebbe salvati. Sempre rivolto al Padre, parlandogli di noi, sino a Gerusalemme, quando è corso a "bussare" alle porte del Cielo, e ha "chiesto" a suo Padre il "pane" di cui avevamo bisogno. Ha "cercato"  una via di salvezza per i peccatori e ha disteso le braccia sulla Croce. Inchiodato a quel Legno ha visto "aprirsi" il cammino al Paradiso, lo ha "trovato" in mezzo alla morte, e gli "è stata data" la salvezza per ciascuno di noi. La sua preghiera crocifissa ci ha ottenuto lo Spirito Santo, il suo stesso respiro di vita che ha vinto il peccato e la morte.

Non a caso, infatti, Gesù ambienta la parabola nel cuore della notte; essa è immagine di quella in cui Dio ha "liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell'Egitto" (Exultet di Pasqua). E' notte anche oggi, siamo schiavi, non sappiamo amare, dubitiamo e mormoriamo. Per questo il Signore ci chiama a farci pellegrini per andare a "bussare", umilmente, alla porta dell'Amico: dobbiamo chiedere quello che non abbiamo per essere quello che dovremmo essere. Dobbiamo aprire gli occhi e accettare di essere ancora stranieri in terra d'Egitto, strozzati nell'angoscia e nella paura di perdere il brandello di vita che ci è rimasto; solo così potremo sperimentare di nuovo l'opera di Dio. Gesù ci invita a fare memoria della Pasqua, e ricordare la nostra storia per entrare così nella verità. E' da essa, sinonimo di umiltà, che sgorga la preghiera autentica, fiduciosa, audace, radicata nella certezza di non essere delusi. E la verità è il bisogno estremo di chi non ha nulla, il nostro. Non abbiamo il "pane" per sfamare l'amico che bussa alla nostra porta; siamo senza amore per la moglie, il marito, i figli, i colleghi. Non possiamo accogliere quanti, stanchi e affaticati, cercano in noi ospitalità: è sacra, ci definisce come figli del Padre che ci ha accolto sempre con misericordia, ma non possiamo. 

Non abbiamo lo Spirito Santo per farci "pane" e offrire il riposo del perdono, la consolazione di una parola, la tenerezza dell'ascolto. Non possiamo farci carico dei peccati degli "amici" e lavare loro i piedi. Non possiamo accogliere Cristo che bussa alla porta celato nel bisogno del fratello. Per questo il Vangelo ci spinge a "cercare, chiedere e bussare" per "ottenere" quello che ci manca: c'è un amico che bussa alla nostra vita e ha bisogno di pane; e c'è un Amico che può darcelo. Pur essendo padri cattivi "schiavi", secondo l'etimologia del termine "cattivi" - sino ad ora abbiamo dato "cose buone" ai nostri figli; non li abbiamo ingannati dandogli una cosa per un'altra. In Palestina, infatti, lo scorpione è presente in una dozzina di specie, tra cui una biancastra, che può raggiungere anche i 15 centimetri. Quando questo tipo di scorpione si arrotola su se stesso per nascondersi e camuffarsi, assume una forma molto simile a un piccolo uovo. L’anguilla, poi, assomiglia molto a una biscia, mentre certe focacce erano simili a delle pietre. Ebbene, proprio partendo dal nostro cuore paterno possiamo intuire quello dell'Amico celeste, che non ci ingannerà mai. Abbiamo dato ai nostri figli tanti consigli, forse denaro, e lo studio, e i vestiti. Così come a tutti quelli che ci sono vicini: succedanei dell'amore, regali che saziano solo fugacemente. 

Se noi, dunque, padri schiavi della carne, abbiamo saputo dare il pane che sazia la carne, forse che il Padre celeste non potrà darci lo Spirito Santo per nutrire la natura divina che è in noi? E' il frutto compiuto della Pasqua, l'alito della vita eterna che ha risuscitato il Figlio e che il Padre vuole donarci. E' il sigillo che Egli ha messo sul Pane che discende dal Cielo, sulla carne benedetta del Signore, con la quale ha vinto il peccato e la morte. Ricevendolo potremo donarci anche noi come "pane" capace di dare la vita anche a chi ci dà la morte. In ogni notte che ci avvolge impedendoci di vedere l'amico che abbiamo vicino possiamo "importunare" l'Amico perché "L’amico ama in ogni circostanza; è nato per essere un fratello nella avversità" (Pr 17,17): tuo figlio sta divorziando? Non sopporti più tua suocera o tua moglie? Hai perso il lavoro e non ce la fai ad avere rapporti aperti alla vita? Hai paura della vecchiaia? L'artrosi ti ha rubato speranza e pace? Alzati durante la notte, ed entra nell'angoscia; e lì dentro gettati in ginocchio, e "bussa" alle porte del Cielo e prega dicendo al tuo Amico, il Padre che ti ama, che proprio "Questa è la notte in cui, nel Figlio, hai vinto le tenebre del peccato". E' la "notte beata, che sola ha meritato di conoscere il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dagli inferi". 

Mezzanotte, il cuore delle nostre tenebre vuote, è l'ora in cui pregare e sperimentare che "Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti" (Exultet di Pasqua). Questa è la notte in cui brilla la luce della Pasqua, quando il nostro Amico ci dona il suo Spirito, che, come in ogni sacramento, trasforma in segni della vita eterna le nostre cose inzuppate nel dolore, facendole "pane" preparatocotto nel Mistero Pasquale di Gesù.


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