Sulla Via crucis di Gesù c’è anche Maria, sua Madre.
I discepoli sono fuggiti, ella non fugge.
Ella sta lì, con il coraggio della madre,
con la fedeltà della madre,
con la bontà della madre,
e con la sua fede, che resiste nell’oscurità:
"E beata colei che ha creduto".
"Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?.
Sì, in questo momento Egli lo sa: troverà la fede.
Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione.
Benedetto XVI
Dal Vangelo secondo Luca 18, 1-8
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Il commento
Gesù parla agli "eletti". Anche se di questi tempi non è politicamente e religiosamente corretto, però nei primi secoli esistevano gli "eletti", ovvero coloro i quali avevano terminato il catecumenato ed erano approdati al battesimo: il loro nome era stato inscritto nel Libro della Vita. Erano divenuti figli di Dio, passando dal peccato alla Vita divina. Erano uomini nei quali era visibile la fede adulta. Se non si tiene conto del contesto non si capisce nulla delle parole di Gesù Non si tratta di una preghiera generica; se si dimentica che Gesù si sta rivolgendo ai cristiani e alla sua Chiesa, si corre il rischio di confondere tutto: anche gli islamici e i membri di altre religioni pregano, e molto più di noi.... Si tratta, dunque, di qualcosa di unico. E per questo il brano si chiude con la domanda "Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?". Gesù ci parla della preghiera indicandocela come l'atteggiamento fondamentale della "vedova", ossia della Chiesa di cui è immagine. Come lei anche la Sposa di Cristo è protesa verso il compimento delle nozze con il suo Signore, e vive qui sulla terra il tempo dell'attesa del suo ritorno. Come vive la Chiesa? Gridando "giorno e notte" Maranhatà, Vieni Signore Gesù, nella certezza che Lui, misteriosamente, è già qui, ma non ancora in pienezza.
Innanzi tutto, occorre aver sperimentato, proprio durante il catecumenato, l'iniziazione alla fede, che sperare contro ogni speranza è il fondamento primo e ultimo della preghiera. Come quella della «vedova», con un «avversario» a stringerle la gola davanti a un «giudice terribile»; non può appellarsi né alla giustizia umana visto che il giudice «non ha riguardo di nessuno», né al sentimento religioso perché il giudice «non teme Dio». Essa si confonde nell'immagine dell'inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore così come appare nel Cantico dei Cantici: "O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole" (Ct. 2,14).
Innanzi tutto, occorre aver sperimentato, proprio durante il catecumenato, l'iniziazione alla fede, che sperare contro ogni speranza è il fondamento primo e ultimo della preghiera. Come quella della «vedova», con un «avversario» a stringerle la gola davanti a un «giudice terribile»; non può appellarsi né alla giustizia umana visto che il giudice «non ha riguardo di nessuno», né al sentimento religioso perché il giudice «non teme Dio». Essa si confonde nell'immagine dell'inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore così come appare nel Cantico dei Cantici: "O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole" (Ct. 2,14).
La tradizione di Israele interpreta questo versetto alla luce
della notte di Pasqua: "Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo
d'Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è
entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se
entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c'era il falco" (Targum Shir
Ha-Shirim 2:14). La preghiera della
vedova è, essenzialmente, la voce dell'amata in difficoltà e senza il sostegno
del marito; ma è anche il grido
suscitato proprio dall'Amato: è Lui che, innamorato e appassionato
di ciascuno di noi, vedendoci attaccati da un “avversario” più forte, desidera
ascoltare la nostra voce e vedere il nostro volto; ci desidera dove Lui è, e
dove ci ha preparato un posto.
La “preghiera incessante” e “senza svenimenti”, secondo il
significato originale del termine tradotto con “senza stancarsi”, è la necessità dell'amore: esso non ha
nulla a che vedere con il sentimentalismo romantico di sui siamo impregnati. L’amore,
infatti, è il grido d’aiuto di una sposa che cerca l’amato, che lo desidera ma
sa che il compimento del suo amore sarà solo nel Cielo. Qui, sulla terra, tra il faraone e il mar Rosso, l’amore
si può incarnare solo nella preghiera, nel grido, nelle lacrime; soprattutto,
nell’insistente richiesta di aiuto che ha il potere di imprimere il nostro
volto nel cuore di Cristo.
La preghiera è dunque “necessaria” come l’aria che respiriamo,
non per soddisfare passioni e concupiscenze, ma per dare compimento alla nostra vita. Per questo l’amore perfetto è
rivelato nella “preghiera” di Gesù nel
Getsemani, così autentica da distillare le parole in gocce di sangue.
L’ “avversario” del Signore è lo stesso che ronda intorno a
ciascuno di noi come leone ruggente. E’ il demonio che non vuole che si compia
in noi la volontà del Padre, che si mette di traverso sul nostro cammino verso
il Cielo: prima ci inganna, seduce e spinge a peccare, e poi ci “trascina”
«accusandoci» davanti al Giudice. Lui sa che è in gioco la salvezza di questa
generazione: se distrugge il nostro
matrimonio ha messo nel sacco tantissime persone, tutte quelle che Dio ha
pensato di salvare attraverso l’incarnazione del suo amore nella nostra
famiglia. Per questo l’ “avversario” non ci lascia in pace neanche un istante.
Deve provarle tutte per distruggere l’opera di Dio nella nostra vita. Si
comprende allora che non possiamo abbassare la guardia, e dobbiamo “pregare
incessantemente”, e rintuzzare ogni attacco del demonio attraverso l’abbandono
alla fedeltà del Padre.
La vita, infatti, è un combattimento simile a quello ingaggiato
dalla vedova del Vangelo. Sola e con una nostalgia che le toglie il fiato, non
smette un istante di cercare “giustizia”. Come per lei, anche per noi e per il
nostro prossimo è “conveniente” pregare; come fu “conveniente” e “necessario”
che Gesù si fermasse a casa di Zaccheo. Si tratta dello stesso verbo e ci
illumina sull’urgenza della fatica ineludibile della preghiera. Con Zaccheo
molti hanno conosciuto la salvezza. Con
la nostra preghiera inizia e si compie la missione per la quale siamo stati
chiamati nella Chiesa. Non vi sono parole, non vi è testimonianza, non vi è
Calvario senza la notte del Getsemani – forse questa notte - dove con Cristo possiamo
vedere il nostro “avversario” giustiziato.
La «giustizia» nella Scrittura descrive il rapporto pieno e
autentico con Dio, il permanere nella Verità. Questa vedova, come ciascuno di
noi e le persone alle quali siamo inviate, ha un avversario che le ha strappato
la verità, ovvero l’amore di Dio. Per questo «non si stanca» nel rivendicare la
“giusta” misura di vita che corrisponde alla sposa di Cristo. Il verbo «enkakein»
tradotto con «stancarsi», ha il significato di «cominciare a trascurare
qualcosa» o «tralasciare un impegno a cui si è obbligati»: la preghiera è
proprio la missione alla quale Dio ci ha chiamato. Chi l’ha dimenticata, si
stanca e comincia a tralasciare l'impegno costitutivo della propria vita; in
fondo non ha nulla da perdere, non ha un
avversario… Quanti vivono così stoltamente e sentimentalmente il proprio
cristianesimo; e quanti giovani fuggono da questa melassa che non risponde alla
serietà della vita...
Ogni persona,
infatti, è definita proprio dal suo “avversario”. Contrastandola ne
evidenzia la missione e il valore. Chi è oggi il tuo avversario? Come e dove ti
sta muovendo guerra? E’ importante discernerlo nella fede. Chi non ha la fede
adulta non capisce nulla della propria vita, confonde i raid dell’ “avversario”
con sfortunati e ingiusti rovesci che feriscono la vita. E lotta inutilmente
cercando di ragionare, dialogare, battersi con armi inadeguate. La “fede sulla
terra” è quella di Abramo che, discernendo la voce del Signore nell’assurdo, si
dispone a sacrificare suo figlio, nella certezza che, sul monte, Dio avrebbe provveduto. La fede che ci spinge a pregare
per consegnarci, con Cristo, alla Croce che sconfigge l’ “avversario”.
E’ proprio lui che, paradossalmente, rivela l’importanza di ogni
istante, di ogni incontro, di ogni aspetto. Un giovane, come chiunque, illuminato
sul suo avversario e sulla missione importantissima alla quale è chiamato e da
questi insidiata, vivrà ben diversamente da chi si lascia scivolare sui giorni
e sulle emozioni. Come insegna la Chiesa orientale, invocherà “incessantemente”
il Nome di Gesù, facendo così di ogni momento un appuntamento con la salvezza.
Ogni istante, infatti, è prezioso, un “kairos”, un momento
favorevole e irripetibile: la preghiera
innesca la giustizia di Dio, collegando i due “device”, Dio e l’uomo, come
un bluethoot… Non dovremo “aspettare
a lungo” perché il momento in cui Dio ci fa “giustizia” coincide con quello in
cui preghiamo. In esso apriamo gli occhi della fede e riconosciamo il suo
amore, anche negli eventi più dolorosi. Per questo gli “eletti” pregano “giorno
e notte”, sapendo che Dio fa giustizia “incessantemente”,
al ritmo della nostra preghiera. Non di certo cambiando le situazioni, ma
perché, pregando, apriamo le porte all’avvento della Giustizia della Croce che
riscatta ogni uomo e ogni situazione.
Scopriamo allora che la preghiera degli "eletti", dei cristiani che vivono nella fede adulta, è l'annuncio del Vangelo. La domanda finale di Gesù significa proprio: "quando tornerò, troverò la Chiesa spendendo la vita nella missione di predicare in tutto il mondo la Buona Notizia?". Cioè, troverò nella Chiesa la fede nel potere della predicazione e del Vangelo? O la troverò indaffarata come Marta in mille cose inutili? La "fede" degli "eletti" crede che Cristo è vivo ora, e, proprio mentre si annuncia il Vangelo, Egli è alla destra del Padre e intercede presso di Lui, mostrando le sue piaghe gloriose. E in quel momento il Padre fa giustizia del demonio, perché perdona i peccati, che è la vera ingiustizia, il male sparso dall'avversario. Solo il Vangelo può giustificare, rendere giusto e santo un peccatore: il marito, la moglie, il figlio, chiunque, "prontamente", nell'istante stesso in cui risuona il Kerygma.
Lo crediamo? Se lo credessimo non perderemmo occasione, giorno e notte, di pregare annunciando il Vangelo, nella certezza che Dio ascolta la nostra preghiera di intercessione, la predicazione crocifissa con la quale chiediamo "giustizia" per la persona che sta morendo a causa del demonio. O per il matrimonio, o qualsiasi relazione. Solo gli "eletti", infatti, sanno, per esperienza, che esiste l'avversario, satana, e la vera ingiustizia, il peccato.
Siamo chiamati a vivere senza timore, come quando riceviamo la comunione. Dio sta suscitando in noi l'"amen" alla sua volontà, al suo potere, alla sua giustizia. Oggi, ora, ed è la "fede" che il Signore spera di “trovare sulla terra al suo ritorno”: lo sguardo rivolto a Lui, simile a quello della Vergine Maria sotto la Croce; la preghiera che implora lo Spirito Santo con il quale i cristiani sanno entrare “giustificati”, cioè liberi e vittoriosi, nella storia di ogni giorno, accompagnando in Cielo, con l'annuncio del Vangelo, chi vede solo la terra.
Scopriamo allora che la preghiera degli "eletti", dei cristiani che vivono nella fede adulta, è l'annuncio del Vangelo. La domanda finale di Gesù significa proprio: "quando tornerò, troverò la Chiesa spendendo la vita nella missione di predicare in tutto il mondo la Buona Notizia?". Cioè, troverò nella Chiesa la fede nel potere della predicazione e del Vangelo? O la troverò indaffarata come Marta in mille cose inutili? La "fede" degli "eletti" crede che Cristo è vivo ora, e, proprio mentre si annuncia il Vangelo, Egli è alla destra del Padre e intercede presso di Lui, mostrando le sue piaghe gloriose. E in quel momento il Padre fa giustizia del demonio, perché perdona i peccati, che è la vera ingiustizia, il male sparso dall'avversario. Solo il Vangelo può giustificare, rendere giusto e santo un peccatore: il marito, la moglie, il figlio, chiunque, "prontamente", nell'istante stesso in cui risuona il Kerygma.
Lo crediamo? Se lo credessimo non perderemmo occasione, giorno e notte, di pregare annunciando il Vangelo, nella certezza che Dio ascolta la nostra preghiera di intercessione, la predicazione crocifissa con la quale chiediamo "giustizia" per la persona che sta morendo a causa del demonio. O per il matrimonio, o qualsiasi relazione. Solo gli "eletti", infatti, sanno, per esperienza, che esiste l'avversario, satana, e la vera ingiustizia, il peccato.
Siamo chiamati a vivere senza timore, come quando riceviamo la comunione. Dio sta suscitando in noi l'"amen" alla sua volontà, al suo potere, alla sua giustizia. Oggi, ora, ed è la "fede" che il Signore spera di “trovare sulla terra al suo ritorno”: lo sguardo rivolto a Lui, simile a quello della Vergine Maria sotto la Croce; la preghiera che implora lo Spirito Santo con il quale i cristiani sanno entrare “giustificati”, cioè liberi e vittoriosi, nella storia di ogni giorno, accompagnando in Cielo, con l'annuncio del Vangelo, chi vede solo la terra.
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