30 Dicembre




La fede nasce dall’incontro con l’amore originario di Dio 
in cui appare il senso e la bontà della nostra vita. 
La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, 
la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, 
di arricchire la vita comune. 
La fede non allontana dal mondo 
e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei.

Papa Francesco






Lc 2.36-40. 

C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.


Il commento

 
   Una vedova e un bambino, un figlio donato quale compimento di una preghiera senza posa. Il silenzio e la dedizione totale a Dio. Questo era Anna, figlia della Tribù di Aser cui era toccata in sorte una porzione della Terra Promessa che giungeva sino al Carmelo. Il profumo di questo Monte, culla del monachesimo d'ogni epoca, il giardino dai frutti deliziosi (in ebraico karmel significa "Frutteto, giardino") evocato dal Cantico dei Cantici, pervade l'incontro tra questa donna anziana e questo Bimbo che celava un mistero prodigioso. Anna, immagine di Israele, la sposa della Creazione, era ormai vedova da troppi anni: Come ogni figlio di Israele intrappolato nel giogo dell'aguzzino romano, come ogni uomo della storia, era in attesa dell'ottavo giorno, quello delle nozze eterne e libere. Anna, che significa Grazia, una vita tra le mani orientata da sempre a quest'incontro. Anna, infatti, “non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Una vedova che, senza stancarsi, bussava alle porte del Giudice perché le facesse giustizia del suo avversario: aveva perduto lo Sposo, lo cercava, lo aspettava, lo desiderava. Era profetessa e sapeva che sarebbe arrivata la Giustizia, la preghiera incollata alle pietre del tempio era l'immagine di questa certezza che tappezzava ogni centimetro d'esistenza, che la fondava e la orientava. Sapeva aspettare e, proprio per questo, saprà riconoscere nel Bambino quello che attendeva. 

Era con tutta probabilità tra quelle donne che “nei tempi stabiliti venivano a prestare servizio all’ingresso della tenda del convegno” (Es 38,8; cfr. 1Sam 2,22). Viveva lì, facendo della sua vita un Tempio pronto ad accogliere il suo Dio; era sola con in seno la speranza di tutto il suo Popolo. E in un istante, dopo decine d'anni trascorsi tra digiuni e preghiere, ecco la Grazia di un incontro. Non era stata inutile la sua vita, anzi. Come non sono inutili anni di preghiere che sembrano evaporare inascoltate. Non è inutile pregare per il figlio che si è allontanato dalla Chiesa e non si vuole sposare; per il marito o la moglie che hanno tradito; per il fratello che ci odia pieno di gelosia. Non è inutile una sola delle nostre preghiere, dei sacrifici e dei digiuni, delle elemosine e delle lacrime. Tutto è raccolto nelle mani di Dio, e darà frutto a suo tempo, quello pensato da Dio nella sua provvidenza. Per questo la vecchiaia è feconda in una carica profetica dirompente. I calli del cuore solcati da lavoro e preghiera plasmano preghiere e parole sapide, autentiche, capaci di conficcarsi in terra come in Cielo, nel cuore degli uomini e in quelli di Dio. Quante donne anziane e quanti uomini, invece, vivono ai bordi della società, dalla panchina dei giardini pubblici ad una sedia in un angolo della casa; se non peggio, dimenticati in un ospizio, scivolando nelle ore senza senso per aver perduto la propria fondamentale missione. No, la vecchiaia è il tempo della preghiera più intensa, dell'intimità in attesa del compimento di tutta una vita. Gli anziani sono le antenne che ricevono ansie, speranze, angosce e desideri di tutta la famiglia per ritrasmetterle a Dio. Non sono soli, sono lasciati liberi per Dio. E a loro, come ad Anna, è concesso, in una pienezza di vita che gli anni precedenti non hanno conosciuto, la Grazia dell'incontro più importante, quello decisivo, per loro e per le loro famiglie. Possono accogliere Gesù con un'umiltà che la gioventù non ha e non può avere; è necessario cadere molto e molto rialzarsi, e imparare ad ccogliere la Luce capace di diradare le nebbie dell'illusione. Saranno gli anziani, i nonni a parlare a figli e nipoti, nuore e generi, di quel Bambino, della salvezza e del compimento, la redenzione a quanti attendono afferrati e distratti da mille impegni, un senso alle proprie vite. 

Anna dunque, è immagine del culmine della vita, la parte migliore, la più saggia, la più santa, la più feconda. Perchè era proprio nella vecchiaia inoltrata che quel Dio pregato, amato e temuto le aveva risposto; ed ecco ora un Bambino, piccolo per lei piccola, umile per lei umile, nascosto per lei nascosta. Così Dio incontra i suoi figli. Nulla d'eccezionale, piuttosto lo stupore d'un evento atteso e accaduto nella semplicità d'un Bimbo che nasce. Così è la nostra storia con Dio. Viene a noi nelle sembianze semplici della vita d'ogni giorno, viene a trovarci e a saziare le speranze che ci colmano il cuore. Preghiera e digiuno sono in noi ad esprimere l'attesa e il desiderio di Lui; anche la preghiera fatta carne e il digiuno fatto lacrime di dolore e nostalgia sono il grido che cerca e aspetta Lui, il Bimbo atteso e che non abbiamo saputo partorire. Abbiamo bisogno della Chiesa, di Maria, anche se anziani, forse ancora di più. Anche se non ci siamo mai allontanati dal Tempio, anzi: viene ogni giorno Maria a presentarci Gesù. E' Lei che, per noi, ha creduto, gestato e partorito il frutto d'amore di cui siamo incapaci. E ora ecco Maria che viene ancora a donarci il suo Bambino perchè diventi il nostro, perché con Lei impariamo a donarlo al mondo. Anziani, sazi di anni e di misericordia eccoci fecondi come da giovani non lo siamo stati: ecco l'amor puro, ecco Gesù tra le nostre braccia distese per donarlo al mondo che ci circonda.

Anna è dunque figura di ciascuno di noi sposato nell'incompiutezza dei sette anni che disegnano la prima creazione ferita dalla caduta del peccato originale; come Anna attende il Messia Bambino che dischiuda l'alba della nuova creazione, l'ottavo giorno della redenzione che trasfigura la nostra carne e la nostra esistenza riscattandola dal peccato. La vita liberata dalla forza inerme di un Bambino stretto tra le braccia. E, con Lui, possiamo incamminarci oggi tutti alla Santa casa di Nazaret dove, bambini nel Bambino, fortificarci colmi di sapienza, con la Grazia ad accompagnarci. Andiamo a Nazaret dunque, la nostra casa, la nostra comunità, il nostro cammino: "Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine!" (Paolo VI, Discorso pronunciato a Nazaret, 5 gennaio 1964).







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