Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio,
poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto.
E neppure i demoni lo crocifissero,
ma sei stato tu con essi a crucifiggerlo,
e ancora lo crucifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati.
Di che cosa puoi dunque gloriarti?
Infatti, se tu fossi tanto sottile e sapiente da possedere tutta la scienza
e da sapere interpretare tutte le lingue
e acutamente perscrutare le cose celesti,
in tutto questo non potresti gloriarti;
poiché un solo demonio seppe delle realtà celesti
e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini insieme;
e se tu operassi cose mirabili, come scacciare i demoni,
tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza,
ed in esse non ti puoi gloriare per niente;
ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità
e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo.
San Francesco, Ammonizioni V
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno» .
E a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà.
Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?».
Il commento
Il
nostro cammino quotidiano è guidato da un imperativo categorico,
un'irrefrenabile esigenza di auto-affermazione, di essere, per
qualcuno, per sé stessi. Ma, alla fine di "ogni giorno", è sempre
solitudine e tristezza, il destino di chi, per "salvare la propria
vita", "segue" solo se stesso e le proprie concupiscenze. Il
Figlio dell'Uomo, invece, ha un'altro imperativo: "deve" essere "riprovato" per
"essere messo a morte" e così "risorgere". E' la sua
missione, per ogni uomo. Nell'originale
greco il verbo "riprovare", apodokimazo, deriva
da dokimos, che
significa fidato, attendibile, provato, e, come termine tecnico, indica una moneta autentica,
circolabile; è riferito anche a persone cui è tributato comune
riconoscimento. Nella traduzione della Bibbia greca della LXX il termine era
usato esclusivamente per qualificare le monete
valide. Il verbo che ne deriva, dokimazo traduce l'ebraico bakhan = provare con il
crogiuolo. Gesù dunque è dovuto passare per il crogiuolo del
Sinedrio, ed è stato a-podokimazo, ri-provato. Lui non era la moneta
di cui "gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi" avevano bisogno.
Essi "rappresentano l'avere, il potere e il sapere. La ricchezza, la
vanagloria e la superbia, strette parenti delle tre concupiscenze di 1 Gv.
2,16, sono le tre maschere del nemico, e le tre apparenze del frutto di Gen.
3,6: buono, bello e desiderabile" (S. Fausti, Una comunità legge il vangelo
di Luca). Il demonio, mascherato subdolamente da uomo religioso,
ha rigettato Gesù.
Come accaduto già quando era stato tentato nel deserto, ora nel crogiuolo del
Sinedrio Gesù smaschera ogni ipocrisia religiosa: quando la religione è nemica
della Croce, quando l'interpretazione della Parola di Dio ci induce a sfuggire
la storia, allora è opera del nemico. Proprio per questo era
necessario che satana gettasse fuori il Figlio dell'uomo: quella moneta era autentica, non
gli apparteneva. Gesù è, invece, la moneta del Padre suo,
gettata nel mondo per pagare il riscatto di ogni uomo imprigionato nel
peccato. Così, mentre satana rigettava Cristo,
il Padre accoglieva noi, monete da Lui coniate con amore che però avevano perduto
bellezza e identità. Il sangue e l'acqua colati sul legno
della Croce hanno riportato alla luce l'immagine e l'iscrizione di nostro Padre
che portiamo impresse. Ci ha creato per essere monete autentiche, immagini fedeli del
suo amore. Per questo oggi Gesù ci chiede "se vogliamo andare dietro
Lui" nel mondo a pagare il riscatto per i peccatori. Se vogliamo essere una
moneta autentica. Lo desideriamo sinceramente? Ecco allora per noi
la Quaresima porci dinanzi lo stesso cammino di Gesù: ad ogni passo la storia ci chiede di rinnegare noi stessi. Dire no a
satana e alla parte di noi che gli appartiene e fa di noi monete
false. Questo significa, concretamente, rinnegare la giustizia umana
che reclama i propri diritti dimenticando il perdono, la pazienza, la tenerezza
nei confronti di chi ci è accanto; rinnegare la concupiscenza che brucia la
carne, facendo un passo indietro per lasciare l'altro libero; rinnegare
l'accidia che ci distoglie dalla fedeltà alle piccole responsabilità di ogni
giorno; rinnegare l'avarizia che ci fa arpionare cose e persone per chiuderle
nella cassaforte del possesso; rinnegare ideali e idoli che invadono la nostra
volontà per distoglierla dall'adeguarsi a quella di Dio. E, soprattutto, "prendere la
croce ogni giorno".
Qual'è oggi la tua croce? Forse neanche la vediamo,
forse quella che pensiamo non è una croce. Guarda Cristo e capirai.
Contempliamolo mentre cammina sulla via del Calvario. Che cosa oggi ci
assomiglia a Lui? Che cosa ci inchioda e ci umilia impedendoci di fare quello
che vorremmo? Che cosa ci pesa tanto sulle spalle da farci cadere obbligandoci
a chiedere aiuto? Quale sete ci stringe la gola lasciandoci senza parole? Chi
oggi ci allarga le braccia e ci strappa il respiro? Forse proprio la persona
che ami di più ti umilia e ti assedia esigendo da te tutta la vita, sino
all'ultimo respiro. Ecco, questa è la nostra croce, dove sperimentiamo di non
poter andare oltre e amare sino a tanto; di cadere sotto il peso di quella
malattia; di soffocare senza lavoro e stipendio; di perdere sangue dal cuore
per la morte di tuo padre. Ecco, le grandi e piccole croci sono i fatti e le
persone dove Cristo ci attende per accoglierci così come siamo, perdonarci e
farci sperimentare il potere della sua risurrezione. La Croce non è una condanna, è "il letto d'amore dove ci sposa il Signore" (Inno
del IV secolo). Su di essa si consuma l'unione intima e indissolubile con
Cristo, sostanza del nostro essere suoi, nella fecondità che ne attesta il
compimento. Sulla Croce si ama come si è amati, è impossibile autoaffermarsi. "A che giova", infatti,
"guadagnare il mondo intero" se l'anima sperimenta la
"perdizione", l'infelicità di chi ha perduto l'amore di Cristo?
"A che giova" affermare le nostre ragioni contro moglie, marito,
colleghi e amici, giudicando, mentendo, adirandoci e mancando di carità se il
salario del peccato è la morte? Per entrare nel Cielo "giova" solo "seguire" il Signore nella
vita di ogni giorno: così "perderemo
la vita" che ci ha condotto alla morte, per ricevere in cambio la sua
Vita, che non si esaurisce mai e trasforma in gioia anche il dolore più grande.
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