"I morti udranno la sua voce e risorgeranno"




Gesù aveva appena guarito un paralitico, suscitando però nei Giudei prima lo sdegno e poi un desiderio crescente di “ucciderlo”. Ma come, uno fa del bene e lo vogliono far fuori? Sì, è così, perché in quell’Uomo capace di compiere l’impossibile si nascondeva una pretesa inaccettabile alla superbia del demonio: “chiamare Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”. I fatti erano quelli, ma le modalità non potevano essere quelle del Messia. Gesù aveva “violato il sabato” accidenti, giustificandosi con parole blasfeme: “il Padre mio opera sempre e anche io opero”. Non è facile comprendere la portata di questa affermazione. Gesù stava mettendo in crisi il rapporto che i giudei avevano avuto sino ad allora con lo “Shabbat”, uno dei fondamenti del giudaismo. Con poche parole aveva sgretolato certezze inossidabili e usi consolidati: Uno: Dio è mio Padre, ovvero io sono Dio. Due: il Padre opera sempre e non si ferma neanche di sabato, e io faccio lo stesso perché sono suo figlio. Ciò significa smentire addirittura la Scrittura che, uno: proibisce di farsi immagini di Dio, figuriamoci se era possibile pensare che un uomo potesse assomigliargli tanto da essere suo figlio; due: essa insegna che Dio si è riposato dalle sue opere il settimo giorno, fondando così la stretta osservanza delle regole per celebrare Shabbat. Ancora una volta i giudei, come ciascuno di noi, non avevano capito nulla. Lo zampino del demonio è evidente: come ha fatto con Adamo ed Eva nel giardino e con Gesù nel deserto, lui stravolge sempre il senso della Scrittura per farne un cappio da stringere intorno al collo. Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato: la Legge è per la felicità dell’uomo, che non gli verrà dall’osservarla, perché ne è incapace. Allora la Legge significa qualcosa d’altro che un insieme di regole da rispettare per essere buoni e bravi e andare in paradiso. Di questo sta parlando Gesù, del destino al quale ogni uomo è chiamato. Per questo aveva guarito un paralitico, mostrando così che senza di Lui nessuno può camminare verso il Cielo; se Lui non “opera” la “volontà del Padre” in ogni istante, sempre, tu ed io siamo destinati a “una resurrezione di condanna”. Il riposo del sabato è per aiutare l’uomo a guardare a Lui che provvede alla sua vita, sempre. Ciò significa che, proprio di sabato, il Signore moltiplica la sua opera in favore di tutti, perché in quel giorno assaporino le primizia del Paradiso, dove non sarà più il sudore della fronte a dare il pane. Dio aveva riposato proprio per incoraggiare ogni uomo a entrare nel suo Shabbat, a non fare un assoluto del proprio lavoro, a non idolatrare l’opera delle proprie mani. Il sabato è per umiliarsi e riconoscersi creature, riconsegnando a Dio il posto e “l’onore” che gli spettano. Allora non era Gesù a “violare il sabato”, ma i giudei, che, nella loro arrogante superbia, ne avevano pervertito lo spirito al punto di “giudicare” Dio in suo nome, e “uccidere” suo Figlio che osservava il sabato colmandolo del suo amore. Eppure proprio in questo paradosso malvagio si cela il mistero che ci ha salvato: originando l'ostilità contro Gesù, il miracolo coglieva il suo obiettivo. La guarigione del paralitico, infatti, era stata solo un pretesto profetico che annunciava l’amore del Padre offerto gratuitamente per svelare i pensieri dei cuori. L'amore autentico, infatti, attira il rancore, l'invidia, la gelosia, il marciume che s'annida nell'intimo, come il miele le api. E non c'è nulla da stupirsi se, tra marito e moglie, spesso accade proprio così; o se i figli, invece della gratitudine, presentano impietosi il conto per i difetti dei genitori. E' ovvio, perché un amore così scandalosamente gratuito mette a nudo la superbia; come la guarigione del paralitico è un’evidente “opera” divina che smaschera la realtà dei giudei, povere creature peccatrici… E a nessuno piace essere smascherato. Ma finché ciò non accade l'uomo vecchio non può riconoscere i suoi peccati per accogliere la Parola di perdono. Il paralitico non ha fatto nulla, il suo male era evidente, non poteva nasconderlo. Lui il sabato lo osservava ogni giorno… sino a quel sabato speciale che compiva ogni altro sabato, dando senso a ogni istante speso sul lettuccio dell’impotenza. In quel sabato, infatti, il Buon Pastore era finalmente giunto alla “Porta delle pecore”, chiusa da trentotto anni. E’ entrato, ha guardato quell’uomo paralizzato, lo ha chiamato per nome, l’ha guarito e condotto fuori. E dopo di lui tutti noi, paralitici, ciechi, sordi, malati, peccatori, "i morti che hanno udito la voce del Figlio di Dio, e avendole obbedito, sono risuscitati”. Ci ha spinto fuori, e ora cammina davanti a noi, e lo seguiamo perché conosciamo la sua voce, l'unica che annuncia il Vangelo che aspettiamo da "sempre". Solo l'amore risuscita l'amore, anche in un cimitero quale è ridotta la vita di un uomo schiavo del peccato. Gesù parla anche oggi dinanzi alla lapide che ha chiuso un matrimonio, un'amicizia o qualsiasi relazione, perché “il Padre gli manifesta tutto quello che fa... e opere più grandi" che sta per compiere con quella famiglia, con quel ragazzo caduto nella droga, con qualunque persona; ciò significa che mentre Gesù chiama per nome i tanti Lazzaro sepolti nel peccato, il Padre già sta facendo la sua opera. Egli, infatti, “non può far nulla se non quello che ha visto fare dal Padre” quando, calato inerme nel sepolcro, è stato ridestato alla vita dalla Parola d’amore del Padre. Da quel momento ogni istante della storia è un kairos, un momento favorevole per parlare e risuscitare. Gesù, infatti,  parla in ogni luogo e tempo con la predicazione della Chiesa. Guai se la Chiesa non annunciasse il Vangelo, perdendosi in mille altre attività. La Chiesa deve parlare le parole di Gesù perché esiste solo per risuscitare i morti, per accendere la Pasqua nella storia. Se tace o diluisce le sue parole in quelle mondane frustra la volontà di Dio e tradisce gli uomini lasciandoli nei sepolcri. Se la Chiesa smette di credere nella forza della predicazione non le resta che portare fiori ai cimiteri, "opere" buone e pie per carità, ma semplicemente umane, e per questo incapaci di chiamare fuori gli uomini dalle tombe. Cristo risorto, invece, ha inviato il suo Corpo sino agli estremi confini della terra, tu ed io oggi in famiglia, a scuola, al lavoro, a far “udire la voce del Figlio di Dio”, perché “quelli che l’ascolteranno e crederanno al Padre che l’ha mandato, passino dalla morte alla vita”. C’è una missione più grande? Parlare ai morti per risuscitarli; annunciare il Vangelo per salvare un matrimonio, per salvare tuo figlio, tuo cugino, ogni uomo! Oggi è il “giudizio”, perché ovunque è predicata la Buona Notizia si anticipa quello dell’ultimo giorno. Oggi possiamo “udire la sua voce e uscire dai sepolcri” concretamente, per una risurrezione di vita o di condanna. Abbiamo fatto "il bene"? Rendiamo grazie a Dio che lo ha compiuto in noi. Abbiamo fatto "il male"? Sì, "sempre". Coraggio! Siamo ancora in tempo per ascoltare e uscire dal peccato e consegnare la nostra condanna a Colui che ha “il potere di giudicare", perché non ci condanni nell’ultimo giorno. Lui ci “giudica” oggi con "il potere di dare la vita", perché è un potere che "mette in crisi" la morte, secondo l'etimologia del verbo "giudicare". Gesù, con il Padre e per conto del Padre, ha giudicato la morte, condannandola a restituire quelli che aveva imprigionato. Anche la Chiesa ha "il potere di giudicare" con viscere di misericordia e ridare vita al cuore più indurito che non vuole perdonare, perché ha imparato dal suo Signore a "non far nulla da se stessa"; non si avvita su superbe alchimie psicologiche, su poveri e limitati ricorsi umani e piani pastorali; fa solo quello che vede fare al suo Sposo, perché anche "il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa". Con la Chiesa, siamo chiamati in questa Quaresima a non disperare di fronte alle situazioni più difficili, per giudicare tutti con il giudizio di Dio. Genitori, presbiteri, educatori, fratelli non dobbiamo inventare nulla, perché la misericordia non è genialità, ma viscere umili che accolgono l'altro così com'è. E questo si impara solo "copiando" Cristo, ovvero sperimentando ogni giorno il suo amore per donarlo agli altri. Finiamola di escogitare stratagemmi, e guardiamo a Lui, sino a lasciarci crocifiggere nella sua mitezza e nella sua umiltà, per "compiere la volontà del Padre e non la nostra"; così ogni uomo, vedendo il Figlio vivo  che "opera" nei suoi apostoli, potrà "onorare Lui e il Padre" accogliendo la sua Parola; per Dio, infatti, non c'è onore più grande di un peccatore strappato al demonio e alla morte.


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