3 Luglio. San Tommaso Apostolo





Il cammino al vero non parte da un'astrazione, da un'idea o da un'ideologia. Ha, invece, sempre inizio da un dato che i sensi possono percepire. Un pochino come quando, al chiuso in una stanza buia dove non siamo stati, ad un certo punto ci scontriamo con qualcosa. Potevamo immaginare che lì dentro ci fosse un sofà, un tavolo, delle sedie. Ma l'immaginazione non ha nulla a che vedere con la realtà e la verità. Ma se le gambe urtano qualcosa la cui forma non ci è ignota, allora possiamo passare dall'immaginazione alla certezza: quella cosa contro cui ho sbattuto è certamente una sedia, l'ho già presa in mano mille volte, anzi, mi è capitato anche di sbatterci e farmi male. Nonostante sia buio e non sappia di che colore sia, che forma abbia, so, per certo, che si tratta di una sedia. Ecco, per Tommaso è stato così: di Gesù aveva un'esperienza più viva e familiare delle altre, un ricordo più fresco, tanto intenso e struggente da fargli sanguinare il cuore dal dolore. Aveva l'esperienza delle sue ferite: lo aveva visto mentre lo inchiodavano alla croce; lo aveva contemplato, forse impaurito e da lontano, mentre pendeva agonizzante da quel legno. Probabilmente le aveva anche toccate, accarezzate, baciate; forse aveva intinto il lembo del suo mantello nel loro sangue. Insomma, per Tommaso Gesù era il suo Maestro crocifisso; per credere, per uscire dall'immaginazione, aveva bisogno di quel segno concreto, l'unico che poteva riconoscere. Di più: Tommaso era chiamato "Didimo", che significa "gemello". Dunque, Tommaso stava cercando, come tutti i gemelli quando si separano dal fratello, la parte di sé che gli era venuta meno! Cercava un segno nelle piaghe di Gesù, perché cercava un senso alle sue ferite, al dolore della sua vita: infatti, "colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all'assemblea canterò le tue lodi... Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che dalla morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita" (cfr. Eb. 2, 11-14). Tommaso, mosso dalla relazione nella carne con Gesù, il primo impulso, istintivo, era andato a cercare il suo gemello, l'unica parte di sé che poteva dare compimento e completezza alla sua vita; ma lo era andato a cercare lontano dalla verità, paradossalmente, proprio lontano dalla carne di Gesù, dal corpo di Cristo che è vivo nella comunione della Chiesa, la comunità dei suoi fratelli. Forse era andato a cercarlo alla tomba, come la Maddalena, laddove i suoi occhi lo avevano visto deporre; forse non si rassegnava a vedere la carne della propria carne scendere e marcire in un sepolcro; forse Tommaso, come noi, stava rovistando tra le speranze deluse, i progetti restati in sospeso, le zone oscure del passato dove si è sbagliato qualcosa; forse Tommaso cercava la pace tra i sensi di colpa mai sopiti, tra le angosce di quella relazione così importante ma scivolata via senza poterci fare nulla. O forse voleva un rapporto diverso ed esclusivo, forse desiderava seguire il suo istinto, gli schemi che seguono gli affetti carnali; forse voleva, semplicemente, restare solo a piangere il suo dolore. Ma la sua relazione con il Maestro era stata anche qualcosa di più; lo aveva sentito vibrare nell'anima il suo amore soprannaturale, ne aveva percepito la tenerezza, e questa memoria mai sopita, come quella del figlio prodigo, lo ha spinto a tornare nel luogo dove ancora non lo aveva cercato. Qualcosa lo aveva attirato nella stanza dove aveva ricevuto dalle sue mani il suo corpo e il suo sangue; in quell'intimità che solo si sperimenta nella comunione con i fratelli. E Gesù, che non lo ha mai considerato perduto, lo viene a cercare; torna dopo un settimana, come torna in ogni giorno nel quale la Chiesa fa memoria della sua resurrezione. Torna per lui, assecondando con tenerezza infinita quel bisogno affettivo che, sempre, muove gli uomini verso di Lui. Il vuoto di una vita fallimentare, un matrimonio che sta andando a rotoli, una malattia, l'incompiutezza della vita sono i pertugi che Dio scava nella roccia dura dell'orgoglio. Da essi parte il cammino di ritorno, la conversione. Anche noi, spesso, dimentichiamo che l'unico luogo dove ricevere la virtù soprannaturale della fede, dove toccare e vedere Cristo risorto, dove sperimentare il suo amore più forte della morte, è la Chiesa, la comunità. Perché un cristiano è un gemello nel cui cuore risuona sempre l'eco della presenza del proprio fratello, anch'egli a sua volta gemello di Cristo, come ciascuno di noi. Per questo le sue ferite sono le nostre, e la fede non si ferma ad un evento registrato dai sensi, ma va al di là, alla presenza misteriosa eppure concreta e reale, della sua vittoria, della sua vita dentro la nostra vita. "Credente", ovvero in cammino con la Chiesa. Gesù, infatti, non dice che la fede è un salto nel buio. Altrimenti, perché avrebbe fondato la Chiesa? Essa è, nel mondo, proprio il suo corpo risorto offerto come segno perché il mondo possa credere. Dall'amore tra i fratelli potrà riconoscere che Dio esiste, che ha mandato il suo Figlio non per condannarlo, ma per salvarlo. L'amore che perdona, la croce portata ogni giorno, la pace nella malattia, l'abbandono confidente nella precarietà, sono le piaghe di Cristo che ogni uomo può vedere e toccare nei suoi discepoli. Il Signore ama Tommaso, e ama noi. E ci attende con pazienza, e viene a cercarci ancora. Anche i momenti in cui ci siamo allontanati e abbiamo preferito la solitudine dell'orgoglio o del dolore, anche quelli infilati nel buio più oscuro, sono fecondi e preparano all'incontro decisivo che muove alla professione di fede più bella. Anche noi, anche tuo figlio e il tuo amico, anche l'uomo più lontano sta cercando il Signore! E può tornare come Tommaso attirato dall'annuncio dei suoi fratelli. Egli, anche se balbettando e ponendo condizioni, ha prestato un po' di fede alle parole dei suoi fratelli, e ora è lì, nella sua comunità. E tanto basta, e questo è tutto. Perché Gesù torna sempre dai suoi, e cerca Tommaso, e accetta ogni sua condizione! Gesù accoglie anche le nostre, anche quelle di ogni uomo, dei più piccoli e deboli, dei più grandi peccatori, e si fa carne, storia, vita dentro le nostre ore, e schiude le sue ferite, la sua misericordia, perché tutti le possiamo toccare. Gesù ha pazienza e, come un fratello maggiore, ci prende per mano e, nella Chiesa Madre e Maestra, ci insegna a camminare con la Parola e i Sacramenti, per "diventare", passo dopo passo nel catecumenato di conversione, "un credente", uno che, in ogni circostanza, vive appoggiato al suo amore incorruttibile. Nella Chiesa, infatti, possiamo fare l'esperienza della misericordia, del perdono che nulla esige e sa ricreare un uomo nuovo nella carne debole e vacillante. E' necessaria la scintilla che solo l'amore di Dio rivelato in Cristo e sigillato dallo Spirito Santo - quello che mancava a Tommaso perché assente la sera di Pasqua - può far scoccare nell'anima: allora, come San Paolo, la "conoscenza" di Cristo non sarà più secondo la carne, necessaria all'inizio, come fu necessaria la notte di Betlemme per dare inizio, con l'incarnazione, al Mistero di Pasqua di Gesù. Ma, come la mangiatoia profetizzava la tomba, così in ogni esperienza sensibile e consolatoria del Signore è profetizzata la notte oscura della fede, dove la carne non basta più: per resistere al pericolo che anche la fede divenga uno struggente ricordo, occorre lasciarsi crocifiggere con Cristo, per restare ben piantati con Lui nella storia, e vivere, pur non "sentendo" nulla, anche senza consolazioni, appoggiati al mistero del suo amore, spesso invisibile ma sempre all'opera. Quando l'altro ci offre la morte, quando la storia si apre come un abisso di delusione e solitudine, ci salva la comunità, il cenacolo dove toccare Cristo e imparare la fede. In essa possiamo allineare i memoriali su cui costruire, come sulla roccia, la nostra casa, capace di resistere alle tempeste e ai terremoti. Così potremo giungere alla fede adulta, la fede di Tommaso cresciuta nella sua comunità, alla presenza di Cristo risorto. E, come Lui, potremo riconoscere "il nostro Signore e il nostro Dio" nelle nostre stesse piaghe, nelle ferite della nostra vita: nella Croce la gloria, nella storia l'onnipotenza di Dio, nella nostra vita la signoria di Cristo.

  


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L'ANNUNCIO
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
 (Dal Vangelo secondo Giovanni 20, 24-29)







APPROFONDIMENTI




COMMENTI PATRISTICI


ARTE E LITURGIA




αποφθεγμα Apoftegma







I credenti, attesta sant’Agostino, “si fortificano credendo”...
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; 
non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita 
se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, 
nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande 
perché ha la sua origine in Dio.

Benedetto XVI, Porta fidei

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