Mercoledì della XIII settimana del Tempo Ordinario




Dopo aver placato il mare, avvolto nello stupore di chi lo aveva visto "comandare ai venti e al mare" e non riusciva a riconoscere il potere di Dio, Gesù sbarca nel paese dei Gadareni. "Dio era con Lui", dirà Pietro a Cornelio, e lo aveva "consacrato in Spirito Santo e potenza"; per questo "passava beneficando e risanando tutti quelli che stavano sotto il potere del diavolo". Dunque, Dio "sbarca" in territorio pagano. Ma "del Signore è la terra, e quanto contiene, il mondo e i suoi abitanti", recita il salmo 24, uno dei più antichi, scritto per cantare la solenne traslazione dell'arca nel tabernacolo di Gerusalemme, dopo che Davide ebbe conquistata la fortezza gebusea e la scelse come capitale del suo regno. Per celebrare uno tra gli eventi più importanti della sua storia, attraverso i versi del salmista, Israele risale alla creazione, confessando la fede in Dio e nella sua signoria sul cosmo. La terra è di Yahwé perché Lui stessa l'ha fondata, traendola dal caos primordiale: "ora la terra era informe e deserta, e le tenebre ricoprivano l'abisso" (Ge, 1,2). Dio ha creato la terra con la sua Parola che ha "chiamato" le cose, dandole cioè un nome; e, perché ciascun elemento avesse un suo posto e una sua missione nell'universo, li ha separati e distinti. Ciò significa che, creando, Dio ha acquisito la signoria e il dominio su ogni elemento, e, proprio in virtù del fatto che li abbia chiamati all'esistenza, ha messo ordine nell'universo, conferendo dignità alla diversità. Tutto questo è la "bellezza", la "bontà" che Dio ha "visto" in quanto aveva creato; sino alla creazione del "molto buono", ovvero del "molto bello" che è l'uomo, plasmato a sua immagine e somiglianza. "Molto bello" perché posto nel mondo secondo un ordine che risponde alla sua natura, nell'obbedienza che riconosce e rispetta la diversità di Dio e del fratello. Sappiamo come il diavolo abbia ferito gravemente questa bellezza, portando disordine, disobbedienza e divisione. Ma il salmo 24 professa che, nonostante "la morte sia entrata nel mondo per l'invidia del diavolo, e ne facciano esperienza coloro che gli appartengono" (Sap 2,24), "Dio non ha creato la morte, e non gode per la rovina dei viventi. Egli, infatti, ha creato tutto per l'esistenza" (Sap 1,13-14); affermando che "la terra e quanto contiene, il mondo e i suoi abitanti sono del Signore", il salmista sta ribadendo con forza che "sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece, infatti, a sua immagine e somiglianza" (Sap 2,23). E lo può confessare perché sta celebrando la conquista da parte di Davide di Gerusalemme e l'ingresso trionfale dell'Arca nella città. I Gebusei gli avevano detto: "Davide non potrà entrare qui" (2 Sam 5,6); ma egli ha potuto sconfiggerli e, una volta presa la rocca di Sion, "è andato crescendo in potenza, e il Signore Dio degli eserciti era con Lui" (2 Sam 5,10). "Davide radunò i migliori di Israele... Poi si alzò e partì con tutta la sua gente, per trasportare di là l'arca di Dio, sul quale è invocato il nome del Signore degli eserciti. Posero l'arca su un carro nuovo... Introdussero dunque l'arca del Signore, e la collocarono al suo posto, in mezzo alla tenda che Davide aveva piantata per essa" (2 Sam 6,2ss). Le immagini contenute nei testi ci suggeriscono che Davide, immagine profetica del Messia che sarebbe venuto, conquista Gerusalemme come fosse una nuova creazione. "Colloca", infatti, "l'arca al suo posto, in mezzo alla tenda che aveva piantata per essa", come "il Signore Dio", che "piantò un giardino in Eden e vi collocò l'uomo che aveva plasmato" (Gen 2,8) a sua immagine e somiglianza. Come la "tenda" piantata da Davide era il posto dell'arca, così il "giardino" è il posto per l'uomo, creato per essere l'arca della natura divina che porta impressa. Ma il diavolo ha fatto perdere all'uomo il suo "giardino". Il termine greco "diabolos" deriva dal verbo "diaballein", che significa "dividere" e "mettersi di traverso". Proprio come i Gebusei con Davide, il diavolo si è messo di traverso con le sue menzogne, e ha portato la divisione tra l'uomo e Dio e tra uomo e uomo, facendolo così uscire dal Paradiso, dall'ordine, dall'obbedienza e dall'amore. A causa del diavolo tutti noi abbiamo perduto la bellezza originaria. Esattamente come i "due indemoniati" che vengono incontro a Gesù. Vivevano, infatti, nei "sepolcri", come morti, e la morte frutto del peccato non è mai bella. Il diavolo si era messo così "furiosamente" di traverso "che nessuno poteva passare per la loro strada". Ma Gesù, come Davide, "aveva radunato" i suoi, "era partito" con la barca e si "era alzato" dal sonno per calmare la tempesta, ovvero per legare il potere del diavolo signore della morte; doveva andare per "trasportare di là l'arca di Dio", strappandola dal Paese dei Gadareni con "potenza, perché Dio era con Lui", dalla schiavitù agli idoli e dall'impurità. Gesù sapeva, infatti, che anche quei due prigionieri del demonio erano stati creati per essere l'arca di Dio. Il peccato non aveva cancellato del tutto il seme deposto in loro. Nella bruttezza di una vita emarginata in un sepolcro era celata la bellezza originaria. Non era quel cimitero il loro "posto"; non era tra i morti il "giardino" che Dio aveva "piantato" per loro. Ma occorreva che Davide di nuovo conquistasse la rocca di Sion; bisognava che il Figlio di Davide, che era il Messia Figlio di Dio, conquistasse quelle grotte dove erano scavati i sepolcri. Per liberare i due indemoniati occorreva uno così "potente" da essere capace di "passare per quella strada". E Gesù si inoltra proprio lì, l'unico a "poterlo" fare, perché anche quel territorio impuro e pagano, anche quella città dei morti, erano parte della terra che appartiene a Dio e della quale è Signore. E i suoi passi, come già solcando il mare, destano e attirano i demoni. Basta la sua presenza per sconvolgere il regno di satana. Basta Lui a vincere la morte, come quando, scendendo nel "sepolcro" in cui "nessuno era stato deposto", avrebbe trasformato ogni tomba "posta nel giardino" in una soglia di quello che ogni uomo ha perduto. Eccolo, infatti, il diavolo, il principio di ogni divisione farsi incontro al Principio di ogni comunione. Ecco l'origine del disordine e della bruttezza avvicinarsi al più bello tra i figli dell'uomo, origine dell'ordine e della pace. Ed è una nuova creazione: appare la Luce e le tenebre subito sono "separate" da essa, così come accadde precedentemente sul mare, quando alla sua parola, le acque sono tornate al loro posto e i venti hanno cessato di spirare disordinatamente. Per questo, e qui dice la verità, il demonio chiede a Gesù: "Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?". Niente, assolutamente nulla in comune, come il bello con il brutto, la luce con le tenebre, l'amore con il peccato, la vita con la morte. Il diavolo non si aspettava che Gesù penetrasse sin dentro il suo regno, come non si sarebbe aspettato di trovarselo nella morte. Ma proprio lì il Signore "con la sua morte ha distrutto la morte, e con la sua resurrezione ci ha ridato la vita". E proprio lì, su quella strada di "furia" e dolore, la sua presenza "scaccia" il principe della morte dall'arca di Dio, e lo induce a "scongiurarlo di mandarlo nella mandria di porci". Appare Gesù e il demonio è smascherato e, con il suo carico di male, di bruttezza e disordine, torna al suo posto, nell'impurezza inghiottita dall'abisso. Tanto male quanti erano i porci, uno per peccato, uno per guerra, uno per divorzio, uno per aborto, uno per stupro, uno per ogni nostro peccato. Accadde in quella regione quanto profetizzato da Isaia: "In quel giorno il Signore ti libererà dalle tue pene e dal tuo affanno e dalla dura schiavitù con la quale eri stato asservito... Il Signore ha spezzato la verga degli iniqui, il bastone dei dominatori, di colui che percuoteva i popoli nel suo furore, con colpi senza fine, che dominava con furia le genti con una tirannia senza respiro. Riposa ora tranquilla tutta la terra ed erompe in grida di gioia. Gli inferi di sotto si agitano per te, per venirti incontro al tuo arrivo... Negli inferi è precipitato il tuo fasto... sotto di te v'è uno strato di marciume, tua coltre sono i vermi. Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono... E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso! È questo l'individuo che sconvolgeva la terra, che faceva tremare i regni, che riduceva il mondo a un deserto, che ne distruggeva le città, che non apriva ai suoi prigionieri la prigione? Tu, invece, sei stato gettato fuori del tuo sepolcro, come un virgulto spregevole" (Is 14, 3ss). E accade oggi, nella Chiesa, per te e per me, schiavi di una menzogna che si è messa di traverso e ci ha sbarrato la strada all'amore, al compimento della nostra vita. Noi, che abitiamo forse ancora in piena Decapoli, intenti ai nostri traffici di maiali, ovvero alle nostre relazioni piene di lussuria e di egoismo. Dimoriamo anche noi tra i sepolcri, vittime della "furia" di Lucifero. Ovunque, in noi e attorno a noi, si reclama giustizia, tra sposi, tra fratelli, tra conducenti d'auto per un posto al parcheggio, anche nella Chiesa, tra vescovi e sacerdoti, tra fedeli e pastori. Sempre tesi, pronti alla polemica, e che "nessuno si avventuri a passare per la strada" dove abitiamo... E' il nostro territorio, vigono le nostre regole, e che nessuno si azzardi a contestarle... Ecco, la nostra vita è come quelle strade private serrate dalle sbarre, sigillate perché nessuno venga a disturbare. Poco importa se quelle sbarre obbligano i vicini e gli abitanti della città ad allungare il percorso per tornare a casa, quel pezzo di terra è un prolungamento di noi stessi, è gravido di violenza e furia, difenderlo significa proteggere le nostre idee, i nostri criteri, la nostra giustizia; quelle sbarre sono i giudizi, le calunnie, la maldicenza, la concupiscenza che fa di ogni nostro prossimo un oggetto da usare ben lontano dal cuore. Proviamo a pensare quante strade abbiamo chiuso in faccia ai fratelli: la strada della comprensione e della pazienza; la strada della vita dinanzi ai bambini che Dio ha pensato far nascere attraverso di noi; la strada del perdono a chi ci vive accanto e ha sbagliato; la strada della generosità di fronte a chi ha bisogno. Strade, autostrade lunghe migliaia di chilometri, dove nessuno può passare, progettate e costruite dal demonio, astuto ingegnere dell'egoismo e della superbia. Strade che finiscono per diventare come le vecchie e desuete piste per le automobiline con cui giocavamo da piccoli: un ovale per girarci intorno, sempre uguale, una, due, mille volte, con un altro a telecomandarci la vita. Non ti sei accorto che sono anni che pensi le stesse cose di tua moglie? Mesi che dici le stesse identiche parole a tuo marito? Un altro ti sta obbligando a rifare gli stessi peccati, tanto che ci hai fatto il callo, e non ti sembrano più neanche peccati. E tu, sempre con quelle cuffiette inchiodate nelle orecchie, isolato dal resto della terra, divenuta per te ostile e da fuggire. Ascolta, ascolta senza stancarti le parole di fiele dei tuoi rappers, i bassi e le percussioni che ti stritolano mente e cuore, polverizzando la capacità di uscire da stesso e donarti a chi si avvicina, di obbedire, sacrificarti e umiliarti. E quei cappucci delle felpe sempre calati sulla testa? Un sepolcro sono, uguale a quello che teneva imprigionati i due indemoniati di Gerasa. E il branco nel quale ti muovi? E il gruppo con cui vai allo stadio? Isolati da tutti, ti credi il migliore perché pensi le stesse cose e ripeti gli stessi slogan; ti sembra d'essere alternativo al sistema, libero, e invece sei schiavo degli altri, della divisa e dell'inno che un regista occulto ti sta obbligando a vestire e cantare, lì, tra i sepolcri di una vita sterile ed egoista. Il diavolo, infatti, è sempre di traverso tra le bellezza e l'ordine a cui siamo chiamati, giovani, adulti e anziani; è sempre in agguato per non far passare Davide che viene a liberarci per ridare il suo posto all'arca che è la nostra vita. Anche la tua, che se la guardi ti viene da vomitare. Anche la tua, che il mondo ha detto di non valere nulla, disoccupato e cassintegrato. Anche la tua, che il demonio sta spingendo nell'isolamento della depressione, dell'alcool e della droga. Anche la tua, che per darle un po' di senso, la rivesti di impegni, di palestra, di fitness e diete. Anche la tua, anche la mia, è l'arca che custodisce la presenza di Dio! Lo sai? Lo sapete voi genitori? E voi preti? Oppure vi siete rassegnati a vivere nei sepolcri, o, peggio, a dar fuoco alla "furia" dell'indignazione, della protesta, della giustizia, dei divorzi? Per questo anche oggi Gesù deve "passare" su una strada dove nessuno si è mai avventurato, la nostra. Deve "scendere" come uno speleologo nelle profondità dove il demonio ha deposto la menzogna, e da dove teleguida la nostra vita. Deve svegliarlo e attirarlo, perché abbai come un cane quando un ladro entra nella sua proprietà; deve uscire allo scoperto, altrimenti non può essere esorcizzato. Allora non temere se, quando ti raggiunge la predicazione ti senti male e, in un primo momento, proprio non riesci ad accettarla; non ti meravigliare quando tuo figlio ascolta l'annuncio della Verità che smaschera le menzogne, e reagisce come il demonio: "Che abbiamo in comune con te? Che abbiamo a che fare con la Chiesa, i preti, le messe, le parole di padre e madre?". Capita anche a noi, no? Ma è il demonio che ruggisce con le nostre parole: "Che hai a che fare con noi...", ovvero: "Che vuoi Signore, sei venuto a rovinare i miei piani, la vita pagana nella quale ho immerso la mia anima?" Ma Gesù è Dio e sa riconoscere, nella caricatura che siamo diventati, nell'involucro sporco, immondo e degenerato, il suo stesso volto, il grido disperato che il seme di vita eterna seminato in noi cerca di farsi strada. Gesù riconosce nelle parole blasfeme e terribili del demonio, l'angoscia e la paura di chi ne è posseduto. Anche dentro i nostri rifiuti, nelle cadute, nelle chiusure più ostinate, Gesù sa intercettare l'inganno e il camuffamento del demonio: è lui che rigetta Cristo, noi siamo solo degli schiavi caduti nelle sue trappole, nelle pompe illusorie che ci hanno sedotti. Certo lo abbiamo fatto liberamente, vi è stato almeno un momento in cui, nel fondo del nostro cuore, abbiamo scelto di dare ascolto alla voce del demonio. Ma Gesù sa che portiamo una natura ferita: per questo, nonostante secoli di ostinazione, scende anche oggi dal Cielo a cercare la pecora perduta, in territorio pagano, nel paese dei Gadareni, nella nostra vita. E ascolta la voce del demonio ormai sconfitto dalla sua sola presenza, lì, su quella strada che nessuno, sino ad allora, aveva osato percorrere, laddove nessuno ha mai potuto nulla. Gesù è l'unico che viene a cercarci laddove siamo, dove gli altri ci hanno rifiutato e non hanno più forza e desiderio di venirci a prendere. Gesù scende nei quartieri malfamati delle metropoli, quelli dove governa la mafia e la malavita, dove neanche la polizia vi entra più, i bassifondi della nostra anima piagata. Gesù entra nell'anarchia mortale che governa la vita dell'uomo. E spazza via la menzogna annidata nel cuore, il motore malefico che ci ha resi egoisti e soli. Gesù arriva e fa giustizia del nostro avversario che, ormai sconfitto, grida «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci». Il demonio torna ad essere quello che realmente è, una mandria di porci, che si rotolano nel loro vomito, che hanno perduto il senso del peccato e la gioia dell'amore. E' l'assassino che alla fine, per l'opera di Cristo, rivolge contro di se il suo stesso proposito malvagio. Così il demonio precipita nel mare, come l'esercito del faraone, come ogni inganno illuminato dall'amore di Dio. Gesù passa il mare della morte, supera con il sonno della sua morte la furia della tempesta, ci raggiunge laddove l'inganno ci ha precipitato, e ci riporta in vita, come accade nel battesimo. Qualunque sia oggi la schiavitù che ci opprime, qualunque disordine e chiusura ci attanagli l'esistenza Lui è qui, ora, a distruggere l'autore di tanto sfacelo, e a sollevare la sbarra che impedisce al nostro prossimo di avvicinarci, e a spalancare le strade che ci conducono a donarci ad ogni uomo. Lui riconquista la nostra terra a Dio, e ci purifica, rimette ordine fa di nuovo bella la nostra vita, perché, come recita il salmo 25 alla cui luce abbiamo letto questo episodio, "il Re della Gloria" sta per "entrare nel suo Santuario"; ecco, le "porte antiche ed eterne" si "alzano" perché "entra il Signore potente e valoroso nella battaglia" contro il demonio. La sua vittoria ci ha riaperto, dunque, le "porte" del Paradiso: e viene a farci degni della dignità perduta. Infatti, "può stare nel Santuario di Dio solo chi è puro di cuore e innocente di mani, chi non rivolge il suo essere agli idoli vani, e chi non giura a scopo fraudolento". E' felice, è in pace, può lodare Dio per la sua vita solo chi da Lui "è stato benedetto ottenendo giustizia", chi cioè è stato perdonato e rigenerato da Cristo attraverso la sua Chiesa. Coraggio allora! Lui è la Via al Padre, il cammino di misericordia che ci fa ancora più "belli" della bellezza originaria, perché il suo sangue ci purifica per amare anche il nemico! Per vivere nell'ordine, nell'obbedienza e nell'amore, come creature docili alla volontà del Creatore e capaci di rispettare la diversità degli altri, amandoli senza esigenze, riaprendo le strade del proprio cuore ai piccoli e ai peccatori. Perché tutti possano, attraverso la nostra vita salvata, ritornare a Dio: "Come vedi, già nella traversata degli Ebrei, in cui l'Egiziano è perito e l'Ebreo s'è salvato, è presente la figura del santo Battesimo. Che altro ci insegna infatti questo sacramento, se non che la colpa e annegata, l'errore abolito, mentre la pietà e l'innocenza vengono salvate? (S. Ambrogio, de Myst. 12). E non ti angustiare se i falsi amici di prima che ti conducevano dove volevano, ti scacceranno; se i "mandriani" che preferiscono i loro maiali a due vite salvate, ti "pregheranno di andartene". Il mondo non sopporta Cristo e la libertà che Lui ci dona, perché il demonio che lo governa, sa di avere poco tempo; per questo deve muovere guerra ai figli di Dio, e scacciarli, come "tutta la città" terrena rifiuta la "città del Cielo", come l'umanità continua a scacciare Cristo dal suo territorio. Accettalo, è il prezzo della libertà, ma è fecondo. Proprio in questo rifiuto che fa completare nella Chiesa ciò che in ogni generazione manca alla Passione di Cristo, sarà offerta al mondo la salvezza. E' il mistero che ha avvolto la vita del Signore, e noi, che ne seguiamo le orme, siamo chiamati ad accoglierlo, perché l'esorcismo che ci ha salvato, giunga ad ogni pagano. 







    






L'ANNUNCIO
In quel tempo, giunto Gesù all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada. Ed ecco, si misero a gridare: «Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?».
A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo; e i demòni lo scongiuravano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci». Egli disse loro: «Andate!». Ed essi uscirono, ed entrarono nei porci: ed ecco, tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e morirono nelle acque. 
I mandriani allora fuggirono e, entrati in città, raccontarono ogni cosa e anche il fatto degli indemoniati. Tutta la città allora uscì incontro a Gesù: quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio.
 (Dal Vangelo secondo Matteo 8, 28-34)








APPROFONDIMENTI




αποφθεγμα Apoftegma



L'uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. 
Dio ha introdotto la guarigione. 
È entrato in persona nella storia. 
Alla permanente fonte del male 
ha opposto una fonte di puro bene. 
Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, 
oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. 
E questo fiume è presente nelle storia: 
vediamo i santi, i grandi santi 
ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. 
Vediamo che il fiume di luce 
che viene da Cristo è presente, è forte.


Benedetto XVI, Udienza generale del 3 dicembre 2008 

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