Venerdì della XXIII settimana del Tempo Ordinario








L'ANNUNCIO
Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt'e due in una buca?
Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo?
Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. 

 (Dal Vangelo secondo Luca 6,39-42)





Nessun “cieco può guidare un altro cieco”. Eppure anche oggi ci accingeremo a prendere per mano moglie e figli, amici e fedeli affidati, per accompagnarli a “cadere nelle buca” con noi. Non possiamo vedere le trappole che ci tende il demonio perché abbiamo dimenticato i nostri peccati e lo sguardo d’amore di Gesù. Siamo, infatti, schiavi della carne, del mondo e del demonio, che ci impediscono il discernimento, ovvero la vista "chiara" di cui parla il Signore. 

Siamo ciechi perché i nostri occhi hanno lasciato di contemplare il Creatore e hanno cominciato a fissare il frutto che ci è stato proibito: "Tu non puoi mangiare, cioè assimilare la conoscenza, cioè il possesso dei segreti, di tutta intera la realtà in tutte le sue dimensioni materiali e spirituali. Tu non puoi assumere, strappare e far diventare tuo l’essere origine del Tutto. Tu sei uomo e questa è la tua verità e bisogna che tu ne prenda coscienza e la rispetti, perché solo così tu puoi essere davvero uomo e prendere coscienza della tua identità ed essere davvero in comunione con me" (B. Costacurta).




Ma proprio qui il demonio ci ha ingannato come fece con Adamo ed Eva: "Non è vero quello che ti ha detto Dio. E' ingiusto, e geloso di te. Non ti ama, e vuole limitare le tue legittime aspirazioni. Prima ti crea, ti mette nel giardino che è la tua vita, e poi ti proibisce l'albero che ti farebbe uguale a Lui. Ti vuol tenere a bada, altroché..." 

Non è andata così? Non ci ha presentato la nostra storia sfregiata da un'ingiustizia della quale proprio Dio sembra il responsabile? Perché mi ha fatto nascere se poi... Ognuno potrebbe raccontare di quella sofferenza che gli si è piantata dentro, e dalla quale non riesce a liberarsi. 

E abbiamo accolto nel cuore i pensieri che l'avversario ci ha insinuato, al punto che ancora oggi ci sentiamo frustrati da Dio, dagli eventi e dalle persone; quando qualcuno ci rifiuta, ci umilia, quando gli avvenimenti spezzano le speranze e limitano i nostri progetti, risuona prepotente in noi il ricordo di quella che abbiamo creduto essere un'ingiustizia di Dio, e non c'è niente da fare, ricadiamo nella stessa opaca tristezza e insoddisfazione.

Allora cominciamo a fissare il frutto che Dio ci ha comandato di non mangiare e lo troviamo "bello, buono da mangiare, e desiderabile". E' buono diventare come Dio, e così riscattare l'ingiustizia. E' un po' come farsi giustizia da soli, vendicarsi di Dio: "ora faccio io; ora faccio vedere a tutti che esisto, che non sono quello che i fatti e le persone vorrebbero farmi diventare. Ora divento io l'origine della mia storia". 

E abbiamo cominciato a lottare per diventare i "primi", e così poter giudicare tutto e tutti, occupandoci a togliere le "pagliuzze" dagli occhi dei fratelli. Ci crediamo, infatti, "da più del Maestro", più intelligenti di Gesù Cristo, e invece siamo solo dei palloni gonfiati dall'ipocrisia. Ma un "ipocrita" è, essenzialmente, uno che non accetta la propria realtà e la deve sfuggire con il peccato, perché in nulla vede l'amore di Dio. 




Sansone accecato


Ci è accaduto, infatti, quello che successe a Sansone che cedette alle lusinghe di Dalila, quando "i Filistei - ovvero le concupiscenze, i giudizi, le mormorazioni, l'ira, l'avarizia, l'invidia e le gelosie - lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con catene di rame. Egli dovette girare la macina nella prigione". 





Anche noi, senza occhinon riusciamo più a vedere l'amore di Dio e quindi non sappiamo guardare i fratelli con amore; il demonio ci ha legato con le catene dell'orgoglio, e ci obbliga a girare intorno alla nostra vita trascinando pesi insopportabili per fare la sua volontà. 

Ma proprio in questa situazione è sceso il Signore per liberarci. Per giustificarci e salvarci dalla morte, Gesù ha portato sulle spalle la "trave" dei nostri peccati che è divenuta la sua Croce. Si è fatto peccato perché il Padre guardasse su di Lui "la trave" che ci condannava accettando il suo sacrificio per il nostro riscatto, mentre i suoi occhi pieni di compassione guardavano ai nostri peccati come a una "pagliuzza" che le sue mani trafitte hanno tolto con misericordia. 

Coraggio, il demonio non ha più potere del nostro "Maestro". Lui è fedele e non ci lascia nell'inganno. Siamo ciechi e non sappiamo più seguirlo, è vero, ma possiamo guarire per divenire "discepoli come Lui". Per questo ci ha chiamati!

E come si guarisce? Essendo "ben preparati". La "preparazione" di cui Gesù parla è il catecumenato con il quale la Chiesa primitiva preparava i pagani a ricevere il battesimo. Ma è anche il cammino di purificazione e conversione che Dio ha preparato per noi nella Chiesa. 

In esso ci possiamo "preparare" attraverso i fatti e le persone della nostra vita, illuminati con la predicazione e la Parola di Dio per uscire dall'ipocrisia e "accorgerci" di avere una "trave" nell'occhio, mentre i peccati degli altri ci sembreranno solo una "pagliuzza", esattamente "come il Maestro" ha visto i nostri

Alimentati dai sacramenti potremo "togliere" la nostra "trave" e consegnarla a Cristo; è la luce della misericordia che illumina la realtà senza causare disperazione. E' la Pasqua fatta carne, che cammina con noi nel cammino di "preparazione", che apre gli occhi, come accadde ai discepoli di Emmaus. Solo dopo aver riconosciuto il Signore risorto nella nostra vita "ci vedremo bene", ovvero con amore e compassione, e potremo andare nella comunità e annunciare la vittoria di Gesù, "togliendo così la pagliuzza dall'occhio del fratello". 

Come San Francesco, che viveva nell'umiltà che lo condusse a conoscersi e a conoscere il Signore. Per questo ha potuto aprire gli occhi a tante persone che lo seguivano: "frate Masseo disse a san Francesco: Perché proprio a te? Perché tutto il mondo vien dietro di te e tutti vogliono vederti, ascoltarti e ubbidirti? Tu non sei bello, non hai grande cultura, non sei nobile. Perché, dunque, tutti ti seguono così?". San Francesco a queste parole si rallegrò molto e guardando il cielo rimase per molto tempo rapito in Dio. Quando ritornò in sé si inginocchiò lodando e ringraziando il Signore, poi, molto infervorato, rispose a frate Masseo: "Vuoi sapere perché il mondo segue proprio me? Vedi, gli occhi dell'Altissimo Iddio che vedono in ogni luogo e in ogni cuore, hanno visto che non esiste peccatore più vile, più misero di me sulla terra. Per questo, per attuare il suo grande disegno, Dio ha scelto me, per confondere la nobiltà, la grandezza e la potenza del mondo, affinché si sappia che ogni virtù e ogni bene non provengono dalle creature ma dal Creatore e nessuno possa gloriarsi davanti a Dio (cfr 1 Cor 1,27-31). Solo a Lui ogni onore e gloria, nei secoli dei secoli" (Fioretti di San Francesco).

Solo dall'ultimo posto, infatti, nella nostra storia illuminata, pacificata e accettata, nella consapevolezza di essere gli ultimi e i più indegni, ma amati infinitamente e gratuitamente da Dio, si può servire con la verità i fratelli. Come il Signore, i "discepoli" "tolgono" la pagliuzza che impedisce ai fratelli di vedere l'amore di Dio inginocchiati davanti a loro, lavando i loro piedi, prendendo su di sé i loro peccati. Annunciano la verità dell'amore di Dio testimoniandola nella propria carne.




APPROFONDIMENTI






αποφθεγμα Apoftegma






Questo comando è necessario 
in modo speciale a quelli 
che hanno la missione di insegnare agli altri. 
Se infatti saranno buoni e solerti, 
dando con la propria condotta 
una testimonianza autentica della vita evangelica, 
allora potranno più liberamente rimproverare 
chi rifiuta di comportarsi allo stesso modo.

San Cirillo d'Alessandria



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