Mercoledì della XXX settimana del Tempo Ordinario



SINTESI

Una «porta stretta» ci separa dalla felicità. Anticamente all’interno della porta grande ve ne era una di servizio, più piccola, che veniva chiusa per ultima. Era quella che attendeva il Servo di Dio a «Gerusalemme», e ogni suo discepolo nella propria «città». Essa è un appello di Gesù alla nostra libertà: Egli «passa», e «insegnando» la dischiude dinanzi a noi chiamandoci a seguirlo sul cammino della salvezza. Viviamo in un tempo di Grazia per convertirci, perché un giorno la porta sarà «chiusa». Il «tale» del Vangelo però sembra non lasciarsi coinvolgere. Anonimo e indifferente sulla soglia della questione fondamentale dell’esistenza, è immagine di ciascuno di noi di fronte all’urgenza della chiamata di Gesù. Come quell’uomo e i rabbini del tempo, ci interessiamo della «salvezza» accademicamente, forse scandalizzati della possibilità che i pagani - la «casta» che ruba o il collega che ci fa le scarpe - si salvino con noi che crediamo di essere già «in salvo», lontani dalla loro corruzione e malvagità. Ma non siamo salvi affatto, l’indifferenza verso il drammatico appello di Gesù nasconde la paura che ci impietrisce dinanzi alla «porta stretta» dove passare per donarci ai fratelli. «Cerchiamo» di «entrare» nella comunione e nella pace con loro ma «non ci riusciamo». Il peccato ci ha fatto sperimentare la morte e, come i progenitori «scacciati» «fuori» dalla casa del «Padrone», «non abbiamo forza» di «lottare» (sforzarci) per amare. Allora ci affrettiamo a «bussare», pregando e chiedendo consigli, ma non è la conversione. È il tentativo di giustificarci accusando Dio subdolamente opponendogli le nostre «opere». Certo Gesù ha «insegnato» nelle nostre chiese, è stato «presente» quando «abbiamo mangiato e bevuto» nelle liturgie, ma nel fondo non lo abbiamo mai accolto. Dinanzi alla «porta stretta» infatti cadono tutte le maschere e appare l’autentica matrice delle nostre «opere»: la superbia nella quale viviamo per noi stessi servendoci «iniquamente» dei fratelli. Sono opere così diverse da quelle del Figlio da renderci «irriconoscibili» al Padre; non può aprirci perché «non sa da dove veniamo», la lingua delle nostre preghiere infatti è radicalmente diversa da quella parlata nel suo Regno. Non è quella di Pentecoste, capace di farsi comprendere dal coniuge, dai figli, dai nemici, anche quando ne parlano una diversa. La lingua del Regno, infatti, è quella dell'amore che tutti ascoltano come fosse la propria. Lo Spirito Santo è l'unico che ci dona la parola giusta, il gesto unico e indispensabile, lo sguardo misericordioso, l'ascolto paziente con i quali passare per la porta stretta che mi separa dall'altro. Ogni incomprensione deriva dalla mancanza di Spirito Santo. Altro che psicologi e terapie, si tratta di avere o non avere lo Spirito di Gesù Cristo che crocifigge ogni pensiero, parola e gesto, perché ci aprano al cuore dell'altro. Un padre senza Spirito Santo può fare e dire mille cose, serviranno a poco. Una moglie senza Spirito Santo non avrà misericordia del marito. Un prete senza Spirito Santo parlerà, farà omelie, si sgolerà, ma non resterà nulla. Ma anche oggi il Signore vuole donarci il suo Spirito, che rinnova in noi il miracolo dell'amore che ci farà passare per la porta stretta che distrugge l'orgoglio e ci fa servi degli altri. E' ancora giorno, i fratelli sono accanto a noi e la «porta» è tenuta aperta dalla pazienza di Dio. Possiamo convertirci perché il «pianto» di oggi non ci accompagni domani e per l’eternità. La salvezza è dischiusa dinanzi a noi oltre la «porta stretta» del sepolcro del Signore. La forza dirompente della sua risurrezione ha rotolato via la pietra che ci impauriva. Il suo amore ci attira dietro a Lui nella «lotta» quotidiana per uscire dal peccato ed entrare nel Regno di Dio e sederci a «mensa» in compagnia dei Patriarchi e di tutti i peccatori salvati prima di noi. Lasciamo che il Signore tagli via quanto in noi è troppo grande e ci impedisce di passare, per scendere dai «primi» posti della superbia che ci aveva condannato, all’«ultimo» dell’umiltà dove il Signore ci aspetta per salvarci. Entriamo attraverso la "porta stretta" che conduce alle acque del battesimo: sacramentalmente nella comunità cristiana, dove impariamo a spogliarci dell'uomo vecchio per accostarci alla fonte della Grazia che sono i sacramenti e la Parola di Dio; e poi nella vita di tutti i giorni, dove si attualizza quanto vissuto nella Chiesa: rigettare la via larga che conduce alla perdizione, che è dare soddisfazione alla carne e ai suoi desideri, giudicare, mentire, mormorare, per entrare nei fatti che ci aspettano disegnati a forma di Croce. In essi si schiude il Cielo, la riconciliazione, la pace, la vera felicità, l'abbraccio di Gesù.





L'ANNUNCIO
Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi».

(Dal Vangelo secondo Luca 13,22-30)



Gesù cammina verso Gerusalemme, passa tra le città e i villaggi, e annuncia il Vangelo, compiendo così le parole del salmo: "Tu visiti la terra e la disseti, coroni l'anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stilla l'abbondanza". Gesù visita la nostra "città", con le ricchezze del suo insegnamento ci disseta, passa fa stillare l'abbondanza nella nostra vitaEssa infatti "è una questione aperta, un progetto incompleto. Come si impara l'arte di vivere? Quale è la strada alla felicità? Evangelizzare vuol dire: mostrare questa strada - insegnare l'arte di vivere. Gesù dice... Io ho la risposta alla vostra domanda fondamentale; io vi mostro la strada della vita, la strada alla felicità - anzi: io sono questa strada" (Benedetto XVI). 

In questo contesto si svolge il dialogo del Vangelo. Alcuni rabbini sostenevano che tutto Israele si sarebbe salvato in virtù della fedeltà di Dio. Altri invece affermavano: «Dio ha creato questo mondo per amore di molti, ma quello futuro per pochi». Gesù non cade nel tranello, e, come al solito, mette a fuoco la questione: si tratta della salvezza, dell'arte di vivere una vita piena per ereditare quella eterna; e ciò riguarda ciascuno di noi. Non importano le statistiche, quelle ad esempio nelle quali si perdono i Testimoni di Geova. Per questo Gesù presenta l'immagine della porta stretta attraverso la quale siamo chiamati ad entrare. Innanzi tutto essa ci insegna che la salvezza è al di là del luogo dove oggi noi ci troviamo: è necessario un passaggio, una pasqua, un cambiamento. E' la metanoia, la conversione, movimento ineludibile nel quale apprendere l'arte di vivere

Ma l'immagine della porta stretta illumina anche il tempo e lo spazio della salvezza. Nelle mura della città vi era la porta grande attraverso la quale, durante il giorno, passavano i carri, gli animali e le persone. All'interno di essa ve ne era una più stretta, la porta di servizio, che veniva chiusa per ultima. C'è un tempo favorevole per entrare, poi non si potrà più. Annunciando il Vangelo nelle città e nei villaggi, Gesù inaugura il tempo della Grazia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore... Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (Lc. 4, 18-21). 

L'anno di Grazia era l'anno giubilare della riconciliazione, del perdono, del riscatto descritto nel Libro del Levitico che iniziava con la celebrazione di Yom Kippur, la Grande festa della Riconciliazione. Per continuare ad abitare la Terra occorreva ri-entrare in essa attraverso la porta della conversione e del perdono, che supponeva la restituzione delle terre, il condono dei debiti e la liberazione degli schiavi. 

Nel corso dei secoli la Chiesa ha recuperato la Tradizione giubilare, istituzionalizzandola nel 1300, quando Bonifacio VIII diede inizio al primo giubileo della storia cristiana. Non a caso l'Anno Santo si inaugura con l'apertura della Porta Santa: il Papa, dolce Cristo in terra, la spalanca perchè ogni uomo possa attraversarla al termine di un pellegrinaggio di conversione: "Passare per quella porta significa confessare che Gesù Cristo è il Signore, rinvigorendo la fede in lui per vivere la vita nuova che Egli ci ha donato. E' una decisione che suppone la libertà di scegliere ed insieme il coraggio di lasciare qualcosa, sapendo che si acquista la vita divina. E' con questo spirito che il Papa per primo varcherà la porta santa...". E' molto interessante ricordare la storia della Porta Santa in San Pietro: "Nella Basilica Vaticana l'apertura della porta santa è attestata per la prima volta nel Natale del 1499. Una piccola porta, probabilmente di servizio, che si trovava nella parte sinistra della facciata della Basilica di S. Pietro, fu allora allargata e trasformata in porta santa, proprio nel luogo in cui si trova ancora oggi" (Mons. P. Marini, Indicazioni rituali sull'apertura della Porta Santa nel Giubileo del 2000)


Nel suo passare attraverso i luoghi degli uomini, le loro storie comuni e quotidiane, Gesù apre la porta su un tempo nuovo e favorevole, un kairos di salvezza. "Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2 Cor. 6, 2). Ci è data, ora, l'occasione per entrare - un oggi irripetibile da cogliere, un anno giubilareun anno coronato di benefici - perchè poi la porta sarà chiusa: "Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino" (Is. 55,6). Il Signore apre ogni giorno per noi delle porte attraverso le quali poterci riconciliare con il nostro passato, con le persone care; non siamo noi a stabilire i tempi della conversione, è Lui che ci visita offrendoci le occasioni per uscire dalla mediocrità e dalla dissipazione e prendere sul serio la nostra vita. 


La porta stretta significa anche che c'è uno spazio, una dimensione cui adeguarsi per entrare. Non siamo noi la "misura"; la misura autentica che ci definisce è la "porta". Il passaggio, la conversione suppone un adeguarsi alla piccolezza della porta. La porta stretta taglia e recide tutto quello che in noi ci fa schiavi della carne; essendo stretta ci obbliga a dimagrire spiritualmente. Ogni morte quotidiana, ogni evento che nella nostra vita uccide un pezzettino di uomo vecchio, è il segno dell'amore fedele di Dio, l'occasione da cogliere per adeguarci alla porta che introduce nella felicità. La porta stretta è la Croce di ogni giorno, che ricrea, nei diversi momenti favorevoli, la sua immagine in noi; così il Padre ci potrà riconoscere quali suoi figli nel Figlio, a Lui somiglianti, e aprirci la porta del Paradiso.


Gesù ci consegna anche la chiave per aprire la porta, l'atteggiamento con il quale cogliere l'occasione e adeguarci alle sue dimensioni: la lotta. La traduzione "sforzatevi" non fa giustizia all'originale greco che dice "lottare", entrare nell'agone che ci è presentato quotidianamente, la lotta per la libertà autentica. Per questo San Paolo, "di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù", considerava sterco e impedimento tutto quello che poteva essere per lui un guadagno per potersi vantare, giustificare, salvare secondo la carne. Conoscere il Signore al punto di essere crocifisso con Lui, perchè la propria vita fosse completamente unita e trasformata in quella di Cristo: identificato con Cristo per "essere trovato in lui". Così per ciascuno di noi, non basta aver partecipato all'eucarestia, aver ascoltato la sua Parola per varcare la soglia del Paradiso. 

Non vi sono passaporti validi se non quello che reca l'immagine di Cristo. "Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo lotto per correre e conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù" (Fil. 3,12-14). Nella stretta porta delle Croce si spalancano le braccia del Signore colme di misericordia. In ogni istante abbiamo l'occasione di essere accolti, ultimi perchè piccoli, deboli e incapaci di nulla, e perciò primi nell'essere amati: infatti, "senza la coscienza della nostra miseria, la conoscenza di Dio porta alla presunzione; la coscienza della nostra miseria senza la conoscenza di Dio porta alla disperazione. Cristo è la mediazione perchè unisce la coscienza della nostra miseria e la conoscenza di un Dio misericordioso" (B. Pascal)





αποφθεγμα Apoftegma





La Porta Santa evoca il passaggio
che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia.
Gesù ha detto: «Io sono la porta»,
per indicare che nessuno può avere accesso al Padre
se non per mezzo suo.
C'è un solo accesso che spalanca l'ingresso nella vita di comunione con Dio:
questo accesso è Gesù, unica e assoluta via di salvezza.
Solo a lui si può applicare con piena verità la parola del Salmista:
«E' questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti».


Giovanni Paolo II, Incarnationis Mysterium

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