Venerdì della XXIX settimana del Tempo Ordinario




SINTESI


Ce lo «assicura» il Signore, la vita è un cammino accanto al «nostro avversario», per giungere infine «davanti al Giudice». Purtroppo non è proprio così che siamo abituati a «giudicare questo tempo» e le relazioni con chi ci è caro; il sentimentalismo e la passione ci impediscono di vedere nella moglie, nel marito, nei figli i nostri «avversari» che possono ostacolare il cammino dietro al Signore. Normalmente ci poniamo davanti alla storia come quando si guarda l’«aspetto della terra e del cielo» per prevedere il tempo: allo stesso modo che da una «nuvola che sale a ponente» ci aspettiamo «la pioggia», da una persona cara attendiamo comprensione, rispetto, amore. E quando ciò non «accade» è la fine del mondo, con i suoi terremoti affettivi: allora sì che gli altri diventano nemici. «Come mai» non riusciamo a frenarli? Perché siamo intrappolati nella stessa «ipocrisia» dei farisei. Questi «giudicavano» senza misericordia i peccatori presumendo di essere giusti perché all’«esterno» della loro vita «accadeva» esattamente ciò che ogni precetto prescriveva. Noi «giudichiamo» gli altri per non avere nei nostri riguardi le attitudini e i comportamenti che, ingannati, presumiamo di aver avuto con loro. E come i farisei che, accecati dal disprezzo, non hanno conosciuto la giustificazione di Dio, così anche noi sperimentiamo la «prigione» della gelosia e del rancore, dove siamo condannati a «pagare sino all’ultimo spicciolo» di noi stessi nel tentativo, inutile, di ricostruire le relazioni che abbiamo distrutto. Ma Dio non ci ha abbandonato al nostro destino perché conosce il peccato di Adamo che ha ferito e sconvolto la natura; non si aspetta quello che non possiamo dare perché la superbia ci ha resi suoi «avversari» come qualunque altro uomo. Come Pietro, che si voleva frapporre tra Gesù e la Croce, tra Lui e il compimento della volontà del Padre. E, senza sconti, si è messo d'accordo con Pietro dicendogli la verità, che cioè in quel momento stava incarnando satana, rimettendolo al suo posto. Ed era il modo autentico di amarlo e perdonarlo. Perché il perdono di Dio non è solo un voltar pagina, ma ricreare l'uomo, facendone una creatura nuova. E per Pietro questo significava diventare un discepolo, che segue Gesù sino al Calvario. Anche noi, senza il suo perdono non possiamo fare nulla. Per questo Dio ha «rivolto contro di sé» (Benedetto XVI) la condanna che ci spettava, inviando il suo Figlio sul nostro cammino per «accordarsi» con noi e «liberarci dal debito» che le nostre opere morte, come «esattori» esigenti, ci contestano. Ha pagato per noi l’ultimo spicciolo con l’ultima goccia del suo sangue. E ci ha resi liberi per "accordarci" anche noi con chi ci è accanto, riconoscendo l'inganno del demonio che ce li rende "avversari" della nostra missione come lo è lui. Per questo, "accordarsi" con loro non significa mediare e fare compromessi, ma sintonizzarsi sul "cuore" dei fratelli, rigettando le ipocrisie. Significa odiare tutto e tutti quando usurpano il posto di Dio in noi, che non è mai quello che Lui gli ha assegnato. Significa "unire i cuori" per seguire, insieme, le orme di Gesù, compiendo la volontà di Dio. Per questo il «discernimento» sulla vita e le persone nasce dall’amore, sa cogliere la verità, il "cuore" appunto, nella selva delle apparenze. Come anche Davide, che ha riconosciuto in Simei che lo insultava mentre scappava sull'erta del Monte degli Ulivi, una possibilità che Dio gli concedeva per convertirsi ed essere perdonato. Chi ha conosciuto se stesso scoprendosi identico a Giuda «avversario» del Signore, può accettare senza stupirsi che l’«avversario» si nasconda anche nella persona più cara. Così, come Gesù ha amato Giuda chiamandolo amico mentre con un bacio lo tradiva, un cristiano sa riconoscere come favorevole per amare nella verità proprio «questo tempo» nel quale l'"avversario" cammina accanto a lui; «giudica da se stesso», dalla sua esperienza intima, come amare per difendere la primogenitura e seguire il Signore. Discerne cioè che è «giusto» «accordarsi»: da un lato donarsi al cuore di chi tradisce le sue attese, «procurando» di restituirgli quanto sino ad allora gli ha sottratto, il perdono e l'amore che ha redento entrambi; dall'altro rinnegando ogni affetto carnale, ogni ipocrisia e menzogna, "restituendo" così all'altro la verità e il posto che Dio gli ha assegnato, l'unico nel quale può conoscere il suo amore. È questo il cammino che il Signore ha inaugurato per noi e sul quale ci chiama a seguirlo. L’unico ragionevole perché solo l’amore che raggiunge anche il nemico può ricreare i rapporti logorati dalla carne ammalata. La carità è pioggia anche quando soffia lo scirocco e sole anche quando salgono le nuvole da ponente; è la giustizia di Dio che supera quella ipocrita che ci ha gettato in prigione. E' l'amore che non si piega al sentimento e alle catechesi del mondo. A noi è chiesto solo di accoglierlo mentre "siamo per via" su questa terra, per donarlo agli altri e comparire nell'ultimo giorno davanti al Giudice assolti insieme ai nostri "avversari".





L'ANNUNCIO
Diceva ancora alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esecutore e questi ti getti in prigione. Ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo».
 (Dal Vangelo secondo Luca 12,54-59)




Ce lo «assicura» il Signore, la vita è un cammino «con il nostro avversario» per giungere infine «davanti al Giudice». Ma non è proprio così che siamo abituati a «giudicare questo tempo». Nel testo odierno Luca utilizza due volte il termine discernimentodokimazo (valutare in vista di un giudizio), che traduce il verbo ebraico bchn (verificare, mettere alla prova, provare, saggiare anche i metalli); e una volta giudicarekrino che, traduce il verbo ebraico bîn (= vedere la differenza, connesso con la preposizione bên ‘tra’, quindi vuol dire anche distinguere). 

Verifichiamo sino all'ultimo particolare per comprendere - letteralmente - il "volto della terra e del cielo" ma non sappiamo guardare con la stessa attenzione per discernere questo kairos, il tempo favorevole nel quale Dio si fa presente per farci riconciliare con la storia e i fratelli; non sappiamo guardare i segni per discernere che cosa essi indichino. E, di conseguenza, non possiamo giudicare, vedere la differenza tra giusto e ingiusto, distinguere tra bene e male. Siamo come gli abitanti di Ninive, non sappiamo distinguere la destra dalla sinistra. Il cuore è indurito, in esso non risuona nulla. 

Guardiamo il "volto" della creazione ma non sappiamo riconoscervi le sembianze del Creatore, e di conseguenza, abbiamo "cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile... abbiamo cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore" (cfr. Rom. 2, 23.25). 

Da una parte il sentimentalismo ci spinge a sperare dalle relazioni quel romanticismo affettivo e appiccicoso con cui crediamo di riscaldare il nostro cuore. Ci sembra impossibile che proprio l'amore del nostro cuore sia un nemico, che possa ostacolare il cammino dietro al Signore. Ci poniamo davanti alla storia come quando si guarda l’«aspetto della terra e del cielo» per prevedere il tempo: allo stesso modo che quando «soffia lo scirocco» ci aspettiamo «il caldo», o come da "una nuvola che sale a ponente" ci aspettiamo la pioggia, da una persona cara attendiamo comprensione, rispetto, amore. E quando ciò non «accade» è la fine del mondo, con i suoi terremoti affettivi, e gli altri sì che diventano nemici. 

«Come mai» non riusciamo a frenare ira e passione, gelosia e rancore? Perché siamo intrappolati nell' «ipocrisia». Essa significa doppiezza e falsità, ed è quella che definisce le nostre relazioni. Quando l'amore autentico, l'agape gratuita nella quale siamo stati creati e alla quale siamo chiamati, si trasforma in eros, ovvero egoismo che vuole offrire tutti a se stesso, l'altro diviene un "avversario" da combattere e piegare. Guardiamo una donna, ne apprezziamo la bellezza, ma rimaniamo sedotti dalla carne: l'eros fagocita l'agape e così, invece che verso il dono, l'impulso ci muove al possesso. Quanti rapporti intimi tra marito e moglie sono cambi di battaglia tra "avversari"... Tutto è sporcato, ogni relazione è macchiata dall'ipocrisia: gli occhi non rispondono più ai comandi del cuore, la mente non riesce a decodificare gli impulsi dello Spirito, siamo come un aereo ingovernabile che sta precipitando. Quando superiamo la linea che separa agape ed eros, la relazione si trasforma in una guerra. Si alza la voce, ci afferra il nervosismo, giudichiamo tutto senza pietà. 

Così, ad esempio, una madre che ha perduto l'orizzonte gratuito dell'amore, comincia a non accettare sua figlia, troppo diversa dai suoi schemi, sfuggevole come un'anguilla dalle sue mire e dai suoi progetti. Non sopporta più il suo modo di parlare, di vestire, di tagliarsi i capelli. Quando l'agape diviene eros entriamo nel territorio dell'ipocrisia: tutto diviene una caricatura dell'amore. A volte esplode la passionalità e la carica erotica della sessualità, più spesso si diviene insopportabili e si stenta a controllarsi. Ciò accade perché dall'altro si comincia ad esigere l'affetto, la riconoscenza, la dedizione. Sempre di più, in un parossismo sfrenato. L'altro è davvero un avversario, che si mette di traverso per farci inciampare, ci scandalizza nel cammino dietro al Signore. 

E allora si diventa anche violenti, verbalmente o fisicamente, sino ad arrivare, in casi estremi, all'omicidio; dopo essere stati lasciati da colei dalla quale si era creduto di poter attingere la vita, tutto finisce, si muore dentro, e per questo si può giungere alla violenza cieca di una bestia ferita. Orgoglio, affettività malata e idolatra, sono un mix esplosivo. 

E ne facciamo esperienza ogni giorno, dal momento che, ingannati dalla solita menzogna del demonio che ci insinua che Dio non ci ama, ci facciamo dio e ci aspettiamo dall'altro che sia quello che abbiamo "creato" nella nostra concupiscenza: un marito o una moglie, un figlio o una figlia, i genitori, i fidanzati, gli amici, tutti. E finiamo con il credere che il problema sia proprio negli altri che non ci amano e adorano come dio che li ha creati, mentre il marcio è dentro di noi, nel nostro cuore. Siamo "ipocriti", viviamo una vita che non ci appartiene, che non c'entra nulla con la nostra vocazione. Come i farisei «giudichiamo» gli altri senza misericordia per non avere nei nostri riguardi le attitudini e i comportamenti che, ingannati, presumiamo di aver avuto con loro. E come i farisei che, accecati dal disprezzo, non hanno conosciuto la giustificazione di Dio, così anche noi sperimentiamo la «prigione» della gelosia e del rancore, dove siamo condannati a «pagare sino all’ultimo spicciolo» di noi stessi nel tentativo, inutile, di ricostruire le relazioni che abbiamo distrutto.

Ma Dio non ci ha abbandonato al nostro destino perché conosce il peccato di Adamo che ha ferito e sconvolto la natura; non si aspetta quello che non possiamo dare perché la superbia ci ha resi suoi «avversari» come qualunque altro uomo. Come Pietro, che si voleva frapporre tra Gesù e la Croce, tra Lui e il compimento della volontà del Padre. E, senza sconti, si è messo d'accordo con Pietro dicendogli la verità, che cioè in quel momento stava incarnando satana, rimettendolo al suo posto. Ed era il modo autentico di amarlo e perdonarlo. Perché il perdono di Dio non è solo un voltar pagina, ma ricreare l'uomo, facendone una creatura nuova. E per Pietro questo significava diventare un discepolo, che segue Gesù sino al Calvario.

Senza il suo perdono non possiamo fare nulla. Per questo ha «rivolto contro di sé» (Benedetto XVI) la condanna che ci spettava, inviando il suo Figlio sul nostro cammino per «accordarsi» con noi e «liberarci dal debito» che le nostre opere morte, come «esattori» esigenti, ci contestano: ha pagato per noi l’ultimo spicciolo con l’ultima goccia del suo sangue. E ci ha resi liberi per "accordarci" anche noi con chi ci è accanto, riconoscendo l'inganno del demonio che ce li rende "avversari" della nostra missione come lo è lui. Per questo, "accordarsi" con loro non significa mediare e prendere degli accordi, ma sintonizzarsi sul "cuore" dei fratelli, rigettando i compromessi. Significa odiare tutto e tutti quando usurpano il posto di Dio in noi, che non è mai quello che Lui gli ha assegnato. Significa "unire i cuori" per seguire, insieme, le orme di Gesù, compiendo la volontà di Dio. 

Gesù ha amato Giuda camminando con lui ogni giorno per mettersi d'accordo con lui, anzi mettendosi già d'accordo con lui chiamandolo amico proprio mentre con un bacio lo tradiva; ha amato noi durante tutta la nostra vita, nella quale ha camminato al nostro fianco sapendo che lo avremmo tradito in mille modi... 

E ci ha sempre perdonato, riconciliandosi con noi anche quando non ne avevamo né voglia né interesse. Gesù è stato al nostro fianco sino ad oggi per destarci alla verità, scoprire d'essere stati suoi "avversari" e lasciarci riconciliare con Lui.  Nella luce dell'amore di Cristo, proprio quell' "ipocriti!" è una buona notizia... E' la verità, siamo ipocriti, perché il modo in cui viviamo i rapporti è solo apparenza, l'esterno della coppa che lucidiamo. Ma non è la verità... Al contrario, è vero l'amore, l'agape che Dio ha seminato in noi, e che la predicazione e l'incontro con Cristo possono ridestare e far crescere. Sei tu, sono io quell'ipocrita sempre adirato perché mai sazio dell'affetto dell'altro, in perenne giudizio con il mondo. Anche Pietro, all'annuncio della Croce, ha cominciato a protestare come un pazzo... 

Ma non era amore, come non lo è il nostro; è solo una caricatura, aria inquinata dal demonio che gonfia il pallone della superbia, mentre la storia lo sgonfia ogni istante, nascondendo la tenacia di Dio... Coraggio allora, perché anche oggi, il Signore ci guarda come nessuno, con occhi di misericordia, capaci di vederci crocifissi nel dono di noi stessi mentre le apparenze dicono tutto il contrario. Le sue parole sono proprio questo sguardo che ci annuncia la conversione. 

Davide e Simei

Per questo il «discernimento» sulla vita e le persone nasce dall’amore, sa cogliere la verità, il "cuore" appunto, nella selva delle apparenze. Come anche Davide, che ha riconosciuto in Simei che lo insultava mentre scappava sull'erta del Monte degli Ulivi, una possibilità che Dio gli concedeva per convertirsi ed essere perdonato. Chi ha conosciuto se stesso scoprendosi identico a Giuda «avversario» del Signore, può accettare senza stupirsi che l’«avversario» si nasconda anche nella persona più cara. 

Un cristiano sa riconoscere come favorevole per amare nella verità proprio «questo tempo» nel quale l'"avversario" cammina accanto a lui; «giudica da se stesso», dal profondo della propria debolezza amata gratuitamente, dai propri pensieri ormai rinnovati e non più schiavi del mondo e dei suoi criteri, come amare per difendere la primogenitura e seguire il Signore. Discerne cioè che è «giusto» «accordarsi», cioè da un lato donarsi al cuore di chi tradisce le sue attese, perché erano solo esigenze dettate dalla concupiscenze di un'affettività malata, «procurando» di restituirgli quanto sino ad allora gli ha sottratto, il perdono e l'amore che ha redento entrambi. Dall'altro rinnegando ogni affetto carnale, ogni ipocrisia e menzogna, "restituendo" così all'altro la verità e il posto che Dio gli ha assegnato, l'unico nel quale può conoscere il suo amore. 

Per vivere una vita autentica mossa da un cuore in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito occorre dunque accogliere l'umiltà di Cristo, il suo amore che lo conduce, anche oggi, a camminare con noi. Per uscire dall'ipocrisia occorre aprirsi alla misericordia di Dio. Occorre un cuore contrito che si apra a Cristo, e non abbia timore di mettersi d'accordo con Lui. Sino ad oggi Egli è stato ai nostri occhi spenti un avversario, nelle sembianze della moglie, del marito, del professore, del collega, della suocera o di chi sia. Sino ad oggi, ipocritamente ciechi, non abbiamo riconosciuto il suo volto in quello di chi ci è accanto, il suo amore negli eventi della nostra vita. 

Per questo non abbiamo giudicato giusto amare, perdonare, donarci: abbiamo vissuto nell'egoismo, il vestito dell'ipocrisia. Non importa! Accanto a noi oggi vi è Cristo! Quante volte ha avuto pietà di noi, quanti prodigi ha compiuto in nostro favore, quanti segni! Sino ad oggi il demonio, l'avversario autentico, ci ha ingannato, sovrapponendo la sua menzogna al volto misericordioso di Dio. Possiamo oggi "darci da fare per liberarcene", secondo l'originale greco tradotto con mettiti d'accordo: accogliere Gesù che si è fatto peccato nella nostra storia. 

Giudichiamo allora che cosa sia giusto, accogliamo quello che secondo l'inganno del demonio è male, e rifiutiamo ciò che per lui è bene. Non sbaglieremo! Lasciamoci giudicare come giusti nella giustizia della Croce di Cristo. Accogliamo oggi il suo giudizio di misericordia per non dover subire il giudizio di condanna che gi getti nella prigione dell'inferno. Rimaniamo nascosti nel Suo amore che mette d'accordo i nostri desideri con la Sua volontà. E' questa la pace dove ci conducono i segni del tempo che ci è dato. L'amore che cancella ogni debito, ci riscatta dal carcere della menzogna dove sino ad oggi abbiamo dovuto pagare sino all'ultimo spicciolo della nostra vita; la Verità che ci fa liberi d'essere quello per cui siamo nati, amati per amare. 

Potremo allora offrirci a ogni "avversario", senza sperare nulla; amarli lasciandoli liberi, nell'amore di Cristo che ha redento noi e loro. È questo il cammino che il Signore ha inaugurato per noi e sul quale ci chiama a seguirlo. L’unico ragionevole perché solo l’amore che raggiunge anche il nemico può ricreare i rapporti logorati dalla carne ammalata. La carità è pioggia anche quando soffia lo scirocco e sole anche quando salgono le nuvole da ponente, è il sovvertimento della natura malata, è il soprannaturale che prende dimora nel naturale, l'impossibile che si fa possibile. Solo chi ha sperimentato questo amore può leggere i cosiddetti segni dei tempi attraverso la sapienza della Croce. Per essa gli "avversari" non sono nemici ai quali conquistare territori di affetto, ma sono la carne di Cristo che mendica il nostro amore, l'accoglienza che ci consegna la salvezza e il compimento della nostra vita. La Croce, infatti, quella di Cristo e quella nostra di ogni giorno, è la giustizia di Dio che supera quella ipocrita che ci ha gettato in prigione. A noi accoglierla mentre siamo per via su questa terra, per comparire nell'ultimo giorno davanti al Giudice assolti insieme ai nostri avversari.




αποφθεγμα Apoftegma




Solo l'amore distingue i figli di Dio dai figli del diavolo. 
Se tutti si segnassero con la croce, 
se rispondessero Amen e cantassero tutti l'Alleluia; 
se tutti ricevessero il battesimo ed entrassero nelle chiese, 
se facessero costruire i muri delle basiliche,
resta il fatto che soltanto la carità 
fa distinguere i figli di Dio dai figli del diavolo. 
Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, 
quelli che non l'hanno non sono nati da Dio. 
È questo il grande criterio di discernimento.
S. Agostino, Commento prima lettera di Giovanni 

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