XXX Domenica del Tempo Ordinario. Anno A



La prima comunità cristiana


SINTESI

"Quale è per te il più grande comandamento?": questa domanda è rivolta anche a noi oggi. I farisei chiedevano a Gesù un'opinione, secondo la tecnica del demonio, per "tentarlo" e farlo cadere. Vediamo come interpreti la Scrittura... Già visto: con Adamo ed Eva e con Saul per esempio, caduti proprio perché irretiti nei sofismi del demonio che li ha indotti a interpretare da sé le Parole di Dio. Ma Gesù no, Lui, come nel deserto prima di iniziare la missione pubblica, e poi sempre di fronte alle domande dei farisei, ha risposto con la Verità fatta carne. Con i fatti, non con un'opinione. E il fatto era Lui stesso, lo Shemà compiuto nei segni che stava facendo. Tutti i miracoli, infatti, erano la testimonianza del suo amore a Dio e al prossimo con tutto se stesso. Gesù era l’amore di Dio sceso sulla terra; era “il comandamento” offerto gratuitamente a ogni uomo. Lui era tutto quello che avrebbero voluto compiere i farisei con i loro sforzi. Potevano “ascoltarlo” ed entrare nella vita vera. O rifiutarlo, e morire nei loro peccati. Come ciascuno di noi, ogni giorno. Nella Chiesa ci viene annunciata la Parola, che illumina le nostre vicende e i nostri cuori. Spesso ci smaschera intrappolati in Egitto, schiavi del disordine, che in ebraico significa anche faraone: rancori e litigi, giudizi e gelosie. Significa che il demonio ci ha sedotto, strappandoci a Dio. Significa che abbiamo dialogato con lui, che non abbiamo saputo rispondere con i fatti che testimoniano l'amore di Dio nella nostra vita. Certo, perdonare chi non riconosce l'errore non è giusto; aprirsi alla vita, senza un lavoro fisso, è assurdo. E così la Parola di Dio diviene la nostra condanna: accettando l'interpretazione del demonio usciamo dalla volontà di Dio, e restiamo imprigionati nella corruzione del nostro ego. Ma anche oggi possiamo essere “restituiti” a Lui. Basta “ascoltare” senza indurire il cuore, in un cammino di conversione che cominci dall'accettare di essere “piccoli”, peccatori, senza difendersi. Ed è il primo frutto della Parola, che illumina la verità. Padre F. Manns mette in evidenza come, nel vangelo di Giovanni, Nicodemo sia iniziato alla fede proprio attraverso il compimento dello Shemà. Egli è "il tipo del catecumeno che si apre alla fede; e l'itinerario che gli viene proposto da Gesù è proprio quello dello Shemà. Bisogna aprirsi progressivamente. Prima il tuo "cuore", poi la tua "anima" e alla fine le tue "forze", che sono il denaro". Il catecumeno non capisce tutto subito... Prima deve accogliere Cristo nel cuore". Nel cristianesimo non si inventa nulla. E' Dio che, attraverso la Chiesa, ci inizia all'ascolto e all'obbedienza, sino al compimento dell'amore sino al dono totale di sé. L'amore, infatti, dice Benedetto XVI, non si può comandare. Apriamo allora anche solo una fessura del nostro intimo per accogliere la Parola che libera dal peccato, e semina in noi l'amore che, a poco a poco, prende possesso del "cuore", il centro dell'uomo, la sua torre di controllo; poi dell'"anima", ovvero la vita, perché secondo il Levitico essa si trova nel sangue; e infine delle "forze": "Con tutto il cuore: con le tue due tendenze, quella buona e quella cattiva. Con tutta l'anima: dovesse anche costarti la vita. Con tutte le forze: con tutti i tuoi averi" (Mishnà). Così ci trasforma in "cristiani", uomini nuovi crocifissi con Cristo; uomini liberi in cui è vivo Lui e non più l'uomo vecchio della carne. Sulla Croce, infatti, Gesù ha compiuto lo Shemà per noi: la “mente” cinta dalla corona di spine, le “forze” inchiodate al legno, il “cuore” trapassato dalla lancia. Tutto questo è un regalo pronto per noi, affidato alla Chiesa. Attraverso i sacramenti, l’ascolto della Parola di Dio e la comunione con i fratelli, lo Shemà si fa carne in noi per seguire la volontà di Dio, offrire la nostra vita, restituendo tutto a Dio, compreso il denaro, il lavoro, il tempo, i criteri. E' nella comunità cristiana che si compie lo Shemà", il “comandamento” che dà compimento alla nostra vita. In ebraico, infatti, il termine indica anche “una parola che affida un incarico”, o “la legge "incisa" che orienta e dirige il compimento di una missione”. La comunità che “ascolta” senza dividersi sull’interpretazione della Scrittura, ma impara a viverla crescendo nell'amore, compie la missione che il Signore le ha affidato. La comunità e i fratelli, ciascuno nella propria storia. Negli Atti degli Apostoli possiamo scoprire le tracce che ci illuminano come, sin dalle origini, la Chiesa aveva ben chiaro che essa viveva, in continuità con Israele, sul fondamento dello Shemà: "Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune". "Ascolto" e "unione", "un cuore solo e un'anima sola", "ogni cosa era in comune": ecco disegnato lo Shemà che si compiva nella comunione dei fratelli in Cristo; l'amore a Dio e al prossimo si traduce dunque con la comunione, l'essere Uno come Dio è Uno, un solo corpo in Cristo che ci ha amati con tutto se stesso, per annunciare e testimoniare al mondo che Dio esiste, e ama davvero gli uomini: "da questo", dice il Signore, "riconosceranno che siete miei discepoli" e potranno credere ed essere salvati.




L'ANNUNCIO
In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 
e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 
«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». 
Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 
Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. 
E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 
Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 22,34-40)





Gesù aveva appena annunciato la resurrezione e sconfessato i sadducei che la negavano. E i farisei, che alla resurrezione credevano, invece di rallegrarsi delle parole di Gesù, si impauriscono, “si riuniscono” per tramare contro di Lui, e lo “tentano”. 

Non avevano capito nulla della risposta che aveva dato sul tributo a Cesare. La libertà che attendevano dal Messia, e che si illudevano di poter raggiungere e conservare con l’osservanza dei precetti, era annunciata nelle parole “Rendete a Dio quello che è di Dio”. Chi è di Dio, infatti, appartiene a Lui solo, e non è schiavo di nessuno.
Ma loro preferivano restare schiavi del proprio io, avanguardia del demonio, il tiranno che lo muove a suo piacimento. Soffocati dalla superbia, non potevano accettare che la risurrezione annunciata da Gesù era necessaria perché anche loro fossero “restituiti” a Dio. No, i farisei erano puri, separati dal mondo, altro che schiavi del demonio! E quel Gesù era solo un impostore, era urgente poter smentire le parole che diceva e i segni che faceva, perché stavano attirando troppa gente, sottraendo loro il prestigio e l'autorità.
Il demonio però sa vestirsi di luce, che per un ebreo è anche sinonimo della Torah. Lui è il “tentatore”, e, come già nel deserto all’inizio della missione e in altre circostanze, si presenta di nuovo a Gesù, incarnato nel “dottore della Legge”, indossando la Torah, l’abito più bello e prezioso per un ebreo. Difficile riconoscerlo… 
E attacca con un’adulazione, come sempre. Il demonio, quando decide di tentare chi appartiene a Dio, è generoso nelle lodi, e maledettamente rigoroso nella sua personalissima esegesi… Una donna che ti si offre a carni nude, suvvia, puzza a demonio da appestare. Ma uno che ti chiama “Maestro”, e ti chiede, proprio alla maniera solita dei rabbini, come interpreti la Torah, come fai a scovarci dentro il ghigno satanico? 
E invece lui era lì. L’aveva architettata con genialità: uccidere Gesù facendolo apparire un suicidio. Sì, lo avrebbe indotto ad uccidersi con la sua stessa Parola. La Torah è luce, è la vita, ma interpretata male è un veleno mortale, e satana ne sapeva qualcosa per esperienza diretta.

I farisei chiedevano a Gesù un'opinione, secondo la tecnica del demonio, per "tentarlo" e farlo cadere. Vediamo come interpreti la Scrittura... Già visto: con Adamo ed Eva e con Saul per esempio, caduti proprio perché irretiti nei sofismi del demonio. Ma Gesù no, Lui, come nel deserto prima di iniziare la missione pubblica, e poi sempre di fronte alle domande dei farisei, ha risposto con la Verità fatta carne. Con i fatti, non con un'opinione. E il fatto era Lui stesso, lo Shemà compiuto nei segni che stava facendo. Tutti i miracoli, infatti, erano la testimonianza del suo amore a Dio e al prossimo con tutto se stesso.

Il dialogo del Vangelo di questa domenica è dunque un’istantanea sul combattimento tra Gesù e satana che si svolge sul più insidioso dei terreni, quello della Parola di Dio. Ed è profezia di quello che, fin dalle origini, ha dovuto assumere la Chiesa, lo stesso che attende ogni giorno ciascuno di noi.
Le eresie, gli scismi, le guerre di religione, non sono nate da un’interpretazione errata della Scrittura? Perché di fronte ad essa c’è un solo atteggiamento possibile: l’ascolto umile del discepolo. Per questo Gesù risponde immediatamente con il verbo più importante della Bibbia: “Shemà, Ascolta!”. 
Mi "tentate" sulla Scrittura, sperando che affermi qualcosa di palesemente eretico? Lo so, voi avete già deciso nel vostro cuore che ogni mia parola e ogni mio gesto è opera del principe dei demoni; non chiedete per "ascoltare", ma per uccidermi.  
Ebbene, andrò sino in fondo. Non accettate che Gesù di Nazaret, il figlio di Giuseppe il falegname, è "colui che deve venire"? E' impossibile che Dio si faccia carne in un uomo e compiere segni e prodigi, perdonare i peccati e dare compimento alla Legge e ai Profeti? Allora vi scandalizzerò ancora di più.
Così, usando la stessa tecnica dei rabbini, Gesù accosta due passi della Scrittura legandole attraverso un termine che compare in entrambi: "amerai". "Amerai Dio con tutta l'anima, con tutto il cuore e tutta la mente", e "amerai il prossimo tuo come te stesso". Questi due "comandamenti" sono "simili". Perché Dio e l'uomo sono "simili", l'uno "immagine e somiglianza dell'altro". 
Ecco il "comandamento grande" dal quale "dipende" tutta la Scrittura. Ecco il criterio fondamentale per interpretarla. Ecco il codice che apre l'udito all'ascolto, che scioglie il cuore e schiude gli occhi. L'amore senza se e senza ma, l'agape che dona "tutto", sino alla fine.
"Ascolta Israele!", "ascoltate" farisei che mi "tentate" per difendervi. "Ascoltate" voi che siete venuti oggi a messa. Ma certo che "ascoltiamo", siamo qui per questo, è una vita che ascoltiamo la Parola di Dio. Ah sì? Scopriamo se è vero.
Anche i farisei "ascoltavano" molto. Erano i figli del Popolo dell'ascolto, i migliori... Conoscevano bene lo "Shemà" che Gesù aveva citato, se ne nutrivano pregandolo almeno due volte al giorno. Ma come? Orgogliosamente, come Adamo ed Eva di fronte al serpente. Ne avevano ascoltato la voce e gli hanno obbedito; avevano inclinato l’orecchio alla sua menzogna (secondo l’etimologia del verbo obbedire), e ne sono divenuti schiavi.
Ecco perché al centro della battaglia di Gesù con il demonio vi è la Parola di Dio: chi la ascolta vincerà e vivrà; chi ascolta il demonio perderà e morirà. Tutta la sua malizia, infatti, è orientata a strappare l’uomo dall’ascolto di Dio. Può avere successo solo se riesce a sporcare la Parola con la sua interpretazione, inducendo a farsi ascoltare e, quindi, obbedire. Perché uno è figlio della Parola che ascolta. 

"Quale è per te il più grande comandamento?" Questa domanda è rivolta anche a noi oggi. I farisei chiedevano a Gesù un opinione, secondo la tecnica del demonio, per "tentarlo" e farlo cadere. Vediamo come interpreti la Scrittura... Già visto: con Adamo ed Eva e con Saul per esempio, caduti proprio perché irretiti nei sofismi del demonio. 

Satana, infatti, ci “tenta” sempre così: prende la Parola di Dio, approfitta della sua autorità e la usa come un grimaldello, adeguandola alle esigenze dell’uomo vecchio, alle concupiscenze della carne. Così, farcela accogliere e legarci a lui è un gioco da ragazzo. Chi può resistere alle lusinghe, alla promessa di diventare come Dio? Se ci facciamo incastrare nel dialogo con lui, e ci sediamo con i cattivi maestri del mondo nel talk-show che organizza per farci dare un'opinione da cui far dipendere la vita, beh siamo spacciati.
E' accaduto, e accade ancora. Che stolti siamo: ascoltiamo il demonio e non Colui che quella Parola l’ha detta. Obbediamo al falsario e disobbediamo all’Autore. Compriamo al prezzo “della nostra anima, del nostro cuore e delle nostre forze” un falso taroccato, e rifiutiamo l’originale che ci viene regalato.
Come i farisei, che avevano fatto della Legge il mausoleo eretto al proprio ego. Ed erano così caduti tra le braccia del padre della menzogna, omicida fin da principio. Non ascoltavano più la voce di Dio, la propria era troppo forte. E siccome era l’eco di quella di satana, gridava in loro di uccidere il Signore. Proprio come li aveva smascherati Gesù: "Voi fate quello che avete ascoltato dal padre vostro... e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui... Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio" (Cfr Gv 8, 37 ss). 
Ecco che cosa svela la risposta di Gesù: voi, con tutta vostra religiosità, voi che conoscete a memoria la Scrittura, voi con le vostre messe, le preghiere, le elemosine, il volontariato e i vostri gruppi e comunità, "non siete da Dio". Eh no, questo è troppo... Troppo? Portami "il tuo prossimo" e vediamo se "lo ami come te stesso". Mangi? Bevi? Ti vesti? Allora lo amerai dandogli da mangiare e da bere, vestendolo come te. Vuoi essere compreso, rispettato, perdonato e accolto così come sei? Allora lo comprenderai, lo rispetterai, lo perdonerai e accoglierai senza condizioni. Vediamo allora, chiama tua moglie, tuo marito, i figli, gli amici, i colleghi, la suocera, il vicino di casa, il fratello della tua comunità... Chiama Gesù, che è vivo in loro... Chiama Dio, del quale sono, anche se spesso sfigurata, "immagine e somiglianza"...
Meglio di no vero? Lo abbiamo capito che non amiamo nessuno, anzi. Men che meno Dio. Ma se non amiamo vuol dire che odiamo, al punto di voler uccidere chi ci è accanto. E quanti omicidi... Hai per caso stracciato l'opinione di tua moglie ritenendola un'idiozia? Hai pensato male di tuo marito? Hai giudicato, invidiato, sparlato? Sì... Quindi hai ucciso. Quindi, anche se ti sforzi tanto, è pura apparenza, perché non hai mai compiuto alcun "comandamento". 
Capito cari farisei? Cercavate di tendere una trappola a Gesù, ma vi siete caduti dentro voi. Vi preoccupate di difendere la Legge caricando pesi sulle persone, ma non li alzate neanche con un dito. Tramate per proteggerla da Gesù, ma la state ferendo e sfigurando con il vostro cuore assassino. Come potete credere a Gesù e riconoscerlo come il Figlio di Dio se nel peccatore che avete a fianco non sapete vedere il volto di Dio? 
L'arroganza ha seppellito la misericordia lontano "dal vostro cuore, dalla vostra anima e dalla vostra mente". Rispondiamo anche noi: chi stiamo amando? Dio o io? A chi diamo tutta l'anima, il cuore e la mente? A noi stessi! Che è come dire a Cesare, immagine di chiunque si fa dio. 
Per questo i farisei finiranno con dare addirittura Dio a Cesare, consegnando Gesù a Pilato. Come noi, che portiamo il fratello in tribunale per 50 euro. Che non perdoniamo neanche sotto tortura.  
Per “ascoltare” e vedere così compiuta in noi la Parola dello "Shemà", è necessaria, infatti, l’umiltà. Essere consapevoli che Dio ha qualcosa da dirci, così importante da decidere le sorti della nostra vita, istante dopo istante. Per “ascoltare” occorre accettare di essere ancora nel "caos" primordiale, e di avere bisogno della Parola creatrice di Dio. Ogni sua Parola, infatti, può creare quello che annuncia: "sia la luce, e la luce fu"; "sia lo Shemà, sia l'amore totale a Dio e al prossimo, e l'amore è".
Ma occorre "ascoltare" come i piccoli, come i peccatori, le prostitute e i pubblicani, gli unici che hanno obbedito a Gesù e si sono convertiti; gli unici che hanno accolto il suo annuncio e hanno cominciato, nella Chiesa, un cammino di "metanoia", dove cambiare la "mente", "dianoia" nell'originale greco del vangelo di oggi. 
E’ proprio così, non scandalizzatevi. La loro realtà era davanti a tutti, non potevano nascondersi dietro l’ipocrisia dei farisei. Avevano “il cuore” lacerato dai graffi del demonio, “l’anima” sudicia dai tanti tradimenti, “la mente” e “le forze” logorate dagli sforzi fallimentari di cambiare. Avevano “ascoltato” il demonio, ed erano morti dentro, come il Popolo schiavo in Egitto. 

“Egitto” in ebraico significa "angoscia, luogo dove l'uomo è definitivamente incastrato e rinserrato". In Egitto il Popolo ha vissuto incastrato nel servizio agli idoli, obbligato a costruire mausolei al faraone. L’idolatria è sempre sinonimo di dissipazione e disordine dell'uomo, del suo cuore, dell’anima, della mente e delle forze. E “disordine” in ebraico coincide con il termine che indica il "Faraone".
Ma proprio nell’Egitto il Popolo ha conosciuto Dio come “l’unico” capace di compiere l’impossibile e liberarlo. La fede di Israele nasce in quella notte di Pasqua, e per questo l’incipit dello Shemà, prima di essere un comandamento, è un'affermazione, un annuncio e una profezia, la rivelazione di un'identità: "Ascolta Israele, il Signore è uno". 
Tu sei Israele perché Io sono l’unico Dio. Tu vivrai solo se resterai fedele all’ascolto delle mie parole. Perché chi le ascolta, come già nella creazione, le vedrà compiersi nella propria vita e sarà libero davvero. Ma se non le ascolterai morirai, ti dissolverai nella schiavitù, nulla avrà più senso nella tua vita. 
I farisei avevano dimenticato che all’origine della Torah vi era l’amore gratuito di Dio. Pieni di sé avevano finito con il credere d’averne diritto, per anzianità di servizio e meriti conquistati sul campo. Forse come molti di noi…
Ma i peccatori, i “maledetti del Popolo” no. Loro erano sulla soglia dello Shemà: quella vita ridotta a brandelli li aveva umiliati perché potessero “ascoltare” l’unico che si avvicinava a loro con misericordia.
Avevano percorso il catecumenato dell’umiltà, erano pronti ad aprirsi con stupore alla misericordia che veniva loro incontro. Potevano “obbedire”, sine glossa, perché portavano in sé le ferite inferte dall’interpretazione demoniaca della Scrittura, e cercavano solo la libertà.
Si comprende allora che con la loro domanda i farisei volevano smascherare Gesù come un eretico che interpretava la Scrittura a modo suo: un amico dei peccatori, che mangia e beve con loro. Che li tocca. E non comprendevano che agendo così stava donando il cuore della Legge, “il comandamento più grande”, quello dell'uomo libero, a chi, schiavo, non era stato capace di compierlo. Non capivano che Gesù aveva già risposto alla loro domanda, compiendo tutta la Legge e i profeti, come una profezia del suo Mistero Pasquale. 
Gesù, infatti, era l’amore di Dio sceso sulla terra: era “il comandamento” offerto gratuitamente a ogni uomo. Lui era tutto quello che avrebbero voluto fare i farisei con i loro sforzi, con i loro precetti, con le loro interpretazioni della Scrittura.
Potevano “ascoltarlo” ed entrare nella vita vera. O rifiutarlo, e morire nei loro peccati. Come ciascuno di noi, ogni giorno. Significa che abbiamo dialogato con lui, che non abbiamo saputo rispondere con i fatti che testimoniano l'amore di Dio nella nostra vita. Certo, perdonare non è giusto; aprirsi alla vita, senza un lavoro fisso, è assurdo. E così la Parola di Dio diviene la nostra condanna: accettando l'interpretazione del demonio usciamo dalla volontà di Dio, e restiamo imprigionati nella corruzione del nostro ego. Nella Chiesa ci viene annunciata la Parola, che illumina le nostre vicende e i nostri cuori. Spesso ci smaschera intrappolati in Egitto, schiavi del disordine: rancori e litigi, giudizi e gelosie. Significa che il demonio ci ha sedotto, strappandoci a Dio. 

Gesù e Nicodemo

Ma anche oggi possiamo essere “restituiti” a Lui. Basta “ascoltare” senza indurire il cuore, in un cammino di conversione che cominci dall'accettare di essere “piccoli”, peccatori, senza difendersi. Ed è il primo frutto della Parola, che illumina la verità. Padre F. Manns mette in evidenza come, nel vangelo di Giovanni, Nicodemo sia iniziato alla fede proprio attraverso il compimento dello Shemà. Egli è "il tipo del catecumeno che si apre alla fede; e l'itinerario che gli viene proposto da Gesù è proprio quello dello Shemà. Bisogna aprirsi progressivamente. Prima il tuo "cuore", poi la tua "anima" e alla fine le tue "forze", che sono il denaro". Il catecumeno non capisce tutto subito... Prima deve accogliere Cristo nel cuore".
Nel cristianesimo non si inventa nulla. E' Dio che, attraverso la Chiesa, ci inizia all'ascolto e all'obbedienza, sino al compimento dell'amore sino al dono totale di sé. L'amore, infatti, dice Benedetto XVI, non si può comandare. Apriamo allora anche solo una fessura del nostro intimo per accogliere la Parola che libera dal peccato, e semina in noi l'amore che, a poco a poco, prende possesso del "cuore", il centro dell'uomo, la sua torre di controllo; poi dell'"anima", ovvero la vita, perché secondo il Levitico essa si trova nel sangue; e infine delle "forze": "Con tutto il cuore: con le tue due tendenze, quella buona e quella cattiva. Con tutta l'anima: dovesse anche costarti la vita. Con tutte le forze: con tutti i tuoi averi" (Mishnà). Così ci trasforma in "cristiani", uomini nuovi crocifissi con Cristo; uomini liberi in cui è vivo Lui e non più l'uomo vecchio della carne.
Sulla Croce, infatti, Gesù ha compiuto lo Shemà per noi. Non a caso il verbo tradotto con "dipendono", nell'originale greco è "pendono", lo stesso usato per i crocifissi. Ed è usato solo qui e nel momento della Passione. Lo Shemà, dunque, "pende" dalla Croce, e così, come un albero fecondo, fa "pendere" dai rami dell'amore ogni altro comandamento. Ecco dunque Gesù "pendere" dal Legno e compiere lo Shemà: la “mente” cinta dalla corona di spine, le “forze” inchiodate al legno, il “cuore” trapassato dalla lancia. Tutto questo è un regalo pronto per noi, affidato alla Chiesa. Attraverso i sacramenti, l’ascolto della Parola di Dio e la comunione con i fratelli, lo Shemà si fa carne in noi per seguire la volontà di Dio, offrire la nostra vita, restituendo tutto a Dio, compreso il denaro, il lavoro, il tempo, i criteri.
E' nella comunità cristiana che si compie lo Shemà", il “comandamento” che dà compimento alla nostra vita. In ebraico, infatti, il termine indica anche “una parola che affida un incarico”, o “la legge "incisa" che orienta e dirige il compimento di una missione”. La comunità che “ascolta” senza dividersi sull’interpretazione della Scrittura, ma impara a viverla crescendo nell'amore, compie la missione che il Signore le ha affidato. La comunità e i fratelli, ciascuno nella propria storia. Qui ci nutriamo dei sacramenti che realizzano nel Mistero Pasquale i due comandamenti "simili" nella nostra vita. Nella Comunità siamo come immersi nello Shemà, nell'amore a Dio e al prossimo: muore l'uomo vecchio incapace di compierlo e rinasce il nuovo, nel quale è vivo Cristo che ama sino alla fine. 
Negli Atti degli Apostoli possiamo scoprire le tracce che ci illuminano di come, sin dalle origini, la Chiesa aveva ben chiaro che essa viveva, in continuità con Israele, sul fondamento dello Shemà: "Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune". "Ascolto" e "unione", "un cuore solo e un'anima sola", "ogni cosa era in comune": ecco disegnato lo Shemà che si compiva nella comunione dei fratelli in Cristo; l'amore a Dio e al prossimo si traduce dunque con la comunione, l'essere Uno come Dio è Uno, un solo corpo in Cristo che ci ha amati con tutto se stesso, per annunciare e testimoniare al mondo che Dio esiste, e ama davvero gli uomini: "da questo", dice il Signore, "riconosceranno che siete miei discepoli" e potranno credere ed essere salvati.





αποφθεγμα Apoftegma







Il martirio di Rabbi Akiva

Secondo il Talmud, per cercare di eliminare per sempre l'Ebraismo, 
il governo Romano proibì ai Maestri Ebrei di insegnare la Torah. 
Tuttavia, Rabbi Akiva si rifiutò di seguire questo decreto 
e fu catturato e condannato a morte.
Mentre il torturatore gli bruciava la pelle, 
il Rabbino sorrideva e recitava le preghiere della sera, 
collegandosi così con il sacrificio serale nel Tempio di Gerusalemme. 
I suoi discepoli volevano risparmiargli quell'ultimo sforzo: 
"Maestro, ora però sei dispensato!".
Ma Rabbi Akiva disse:
«Per tutta la vita mi sono tormentato a causa del verso: 
"Amerai il Signore tuo Dio con tutta l'anima",
con il mio ultimo respiro,
e mi sono sempre chiesto quando sarei stato capace 
di adempiere questo precetto, 
ed ora che finalmente posso adempierlo, non dovrei farlo?»
Allora egli cominciò a recitare lo Shemà: 
"Ascolta Israele, Hashem è il nostro Dio, Hashem è uno" 
(Shemà Yisrael, Hashem Elohenu Hashem echad) 
e morì mentre pronunciava l'ultima parola.
Si racconta che in quel momento una voce dal Cielo proclamò: 
«Tu sei beato Akiva, il tuo respiro si è spento con "Echad". 
Tu sei beato Akiva, avrai una parte nel Mondo Avvenire.»

(Questo racconto si trova nel Talmud Bavlì, Berachot 61b)


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