Mercoledì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario. Commento completo




Tutta la nostra vita è una magnifica occasione. Permeata di Grazia, ogni nostra parola può sgorgare dalle stesse labbra di Dio. Ovunque e in ogni circostanza, tutto di noi e della nostra vita è l'occasione di una testimonianza. Siamo martiri, sempre in trincea. La nostra vita è uno specchio dove l'amore di Dio ha scelto di rifrangersi per la salvezza d'ogni uomo. Non v'è un istante della nostra vita, non v'è un aspetto, anche il più nascosto e segreto, che non sia irripetibilmente importante.

La perseveranza, rimanere abbandonati nel suo amore, è la chiave che apre la nostra vita al proprio compimento. Essa è come una saetta che preannuncia un temporale. La verità sfregia irreparabilmente la menzogna e ne svela l'effimera sostanza. Dove ha messo radici la menzogna, la verità nel suo incedere crea sconquassi, rompe equilibri acquisiti, l'agognato quieto vivere se ne va a carte e quarantotto. Perseverare, dal latino per - a lungo - e severus - rigoroso. La perseveranza è una virtù per la quale, dice San Tommaso d'Aquino, è necessaria la Grazia santificante, come tutte le "virtù infuse". Essa ci viene data attraverso un cammino di conversione lungo e severo, rigoroso. La perseveranza si impara sperimentando i frutti del combattimento sulla via della Croce, la preparazione del catecumenato che ogni cristiano è chiamato a compiere, perché all'uscita delle acque del battesimo ci attende l'arena del martirio.


 La vita che ha preparato il Signore per noi non è propriamente una vita di pace, quella dell'elettroencefalogramma piatto, dell'assenza di conflitti. Gesù ci ha lasciato una pace diversa da quella soffice e avvelenata del mondo. La pace del mondo stringe in un abbraccio mortale, narcotizzando a poco a poco la vita sino a renderla insopportabile, mentre la pace del Signore è il frutto della sua personale guerra vittoriosa con il demonio e con la morte. La pace di Cristo è quella che ci traghetta dentro le persecuzioni che si scatenano in noi e contro di noi dai rantoli del mondo, della carne e del demonio. "Anche noi dunque, circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (Eb. 12, 1-2). La perseveranza è l'attitudine dell'amore. E' tenere fisso lo sguardo su Cristo, come un atleta fissa il traguardo, anche quando non lo può ancora vedere con gli occhi. Se non c'è traguardo non c'e amore, e quindi neanche la perseveranza. Per tagliare un traguardo si superano gli ostacoli, si soffre, ci si sacrifica, si combatte. 


Quando nella vita viene a mancare lo scopo, il telos, il compimento, tutto diviene pesante, svuotato di senso, e la carne, il mondo e gli inganni del demonio prendono facilmente il sopravvento. Così ad esempio nello studio, o nei rapporti con le persone amate, gli amici, i fidanzati, gli sposi. Tutto è una corsa, un agôna, una lotta nella quale tenere fisso lo sguardo su Gesù nell'altro: questa è la chiave. 

Il traguardo di ogni mia parola, di ogni pensiero, di ogni azione è Cristo, è l'affermazione e la vita di Lui in chi mi è di fronte, come anche nelle cose che faccio, nello studio, nel lavoro, nelle faccende domestiche, nello svago. Perseverare nelle fiamme della fornace ardente significa non smettere di contemplare il volto di Cristo, l'unico che è insieme autore e perfezionatore; fissare Colui che ha dato forma e vita a chi ho dinanzi, alla mia attività, e che, solo, può portare a compimento, al traguardo, al destino per il quale tutto è dato. Se il traguardo è Cristo, fissando Lui contemplo anche il mio tagliare il traguardo, perché in Lui il destino è già compiuto. Non batto l'aria, come dice San Paolo, perché il mio traguardo non consiste in qualcosa di corruttibile, ma è la corona che Gesù ha conquistato per me. Trattare duramente il proprio corpo per ridurlo in schiavitù, la perseveranza unita alla temperanza che fa combattere contro le concupiscenze e l'avidità idolatrica, non è un masochismo per privarsi di qualcosa di bello e buono; è invece l'abito di chi fissa Cristo, di chi ama anelando all'autenticità, al destino eterno, al desiderio più profondo del proprio cuore. E', secondo l'accezione di perseverare che si trova in Omero, "rimanere indietro, arrestarsi e non deviare, tenere duro, resistere" per non cadere e dimenticare il traguardo.

Ma è anche attesa, un protendersi come quello di una corda tesa, qaw in ebraico, da cui qawāh (aspettare, sperare) tradotto dalla versione greca della LXX  proprio con hypomonê - perseveranza. Perseverare è dunque vivere in una tensione carica di attesa, l'amore che desidera il ben dell'altro in tutto, il compimento della Verità in ogni momento, e per questo il cuore e la mente sono sempre desti, fissi su Cristo. 




Se fisso Lui nella fidanzata, persevero nell'amore, perché non mi perdo in quello che, in lei, non c'entra con Lui; e così posso portare il peso dell'odio di quella parte dell'altro e di me che non c'entra nulla con Cristo. Senza preoccuparsi di nulla, perché per chi ha il cuore retto, perseverante, lo Spirito Santo provvederà a tutto, a parole colme di sapienza, capaci di resistere ai sofismi della carne. 

Parole spirituali, che non cadono nel sentimentalismo, nella gelosia, nell'invidia, buone solo per ferire e mostrarsi indifesi; parole e pensieri dettati dalla Sapienza della Croce, capace di dare ragione, e perseverare in essa, degli atteggiamenti santi ispirati dallo Spirito Santo. E' Lui che ci fa stare saldi nella castità, nella verità che rifugge l'ipocrisia, nella sobrietà e nella purezza. E' Lui che persevera in noi, che ci attesta che nessun capello del nostro capo perirà, e che tutto di noi è custodito per essere trasfigurato e consegnato a Cristo. 


Scriveva San Benedetto nella sua Regola: "Come c’è uno zelo amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. È a questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali… Si vogliano bene l’un l’altro con affetto fraterno… Temano Dio nell’amore… Nulla assolutamente antepongano a Cristo il quale ci potrà condurre tutti alla vita eterna" (capitolo 72). La perseveranza di cui parla il Signore è un combattimento intriso d'amore, per non anteporre nulla a Lui, assolutamente




Da questo assoluto scaturisce l'odio! Non possiamo far finta che non esista in un buonismo che uccide. Il Signore non fa giri di parole: "Chi non odia ... non può essere mio discepolo"; l'odio è l'altra faccia dell'amore, e la perseveranza nell'amore ci rende paradossalmente oggetto di odio da ciò che il nostro amore non abbraccia, anzi, da ciò che è raggiunto dal nostro stesso odio. Chi è amico del mondo è nemico di Dio. L'amicizia di Dio che ci ha raggiunti, e coinvolti in un cammino di reale conversione alla Verità, al Bello, al Buono, sovverte ogni dato acquisito nella nostra esistenza spesa a mettere faticosamente a posto, tra un compromesso e un'impennata d'orgoglio, ogni tessera del mosaico. 


Giuseppe venduto dai fratelli

Chiaro che tutto si ribelli, si rivolti contro Chi tenta di rimettere le cose nel proprio ordine autentico. Come accadde ai fratelli di Giuseppe, che non riuscivano a gestire la profezia che egli annunciava con la sua sola presenza, con i suoi sogni e la sua vita. Erano carne della sua carne, e lo odiavano. Ma proprio quell'odio, ferendo il fratello, apriva misteriosamente la via alla loro salvezza. Ma doveva colpire Giuseppe, l'eletto di Dio, immagine dell'agnello che non avrebbe resistito all'odio del mondo intero. Giuseppe, profezia della Chiesa, e di ogni suo figlio, apostolo della misericordia che dissolve l'odio, dell'amore al nemico che disintegra il peccato nel sangue di Cristo.

Siamo quindi traditi da chi si sente da noi tradito. Da chi è sconvolto dalla Verità che ci fa liberi. Siamo tacciati di integralismo e fondamentalismo, perché abbiamo incontrato l'integrità della vita abbandonando la dissipazione, il fondamento che resiste alla dissoluzione. E siamo messi a morte, dai parenti, i più stretti, i più vicini. E forse dovremo salutare gli amici più cari, tagliare con il fidanzato, opporre una ineludibile durezza a nostro figlio. Saremo odiati anche dal nostro stesso uomo vecchio, quello che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici, spesso vestite di luce, come lo studio, il lavoro, gli affetti.




Odiati da tutti. Esattamente come il nostro cuore ha sempre orgogliosamente odiato tutti e tutto, quando questi ci hanno sconvolto l'esistenza annunciandoci, con un fatto o una parola, la verità. Ma la Verità, Cristo, è il compimento della nostra vita. La sua pienezza qui ed ora è la Verità che si traduce in libertà. Per questo saremo consegnati ai tribunali, ai parenti, agli amici, ai colleghi di lavoro, a chiunque incontreremo. Perché in noi sarà consegnato Cristo. La nostra vita sconvolta e rovesciata dal suo amore come un cassetto ricolmo di oggetti da buttare, ci è donata per sconvolgere il piano del demonio, per essere un segno di contraddizione. Come lo fu Cristo con Giuda. Chi lo avrebbe immaginato che quel sangue sarebbe ricaduto sugli assassini per lavare ogni loro peccato? Chi lo può immaginare che il tuo sangue offerto per la moglie, il marito, i figli, i colleghi, per chi odia Cristo e la Chiesa, ricadrà su di loro anche oggi per scagionarli e socchiudergli il cammino al Cielo? 

Nulla è per caso. Ogni persona che appare al nostro orizzonte non è un incontro fortuito, ma un dono di Dio per il quale noi stessi, e Lui in noi, siamo dono. Spesso un regalo rifiutato e odiato. Sì, saremo odiati perché il mondo sia salvato. E sarà odio benedetto perché sarà odiato Cristo in noi, e si incarnerà e svelerà la sua Croce che salva, la maledizione che dona la vita. Il suo sangue "ricaduto" sui suoi assassini come un lavacro di misericordia e di rigenerazione. Il suo mistero d'amore e di salvezza vivo e attuale sacramentalmente in noi.

Il martirio di Santo Stefano, miniatura, 1350-1378, Parigi, Biblioteca Nazionale
Questo sono, ovunque e nel corso dei secoli, la Chiesa e i suoi figli: "sacramento di salvezza", come i tre giovani gettati nella fornace che, prendendo l'odio e il peccato su di sé, lo distruggono uniti a Cristo nella misericordia, per donare in cambio il perdono e la Vita nuova ed eterna. Questo siamo noi, odiati e rifiutati in questo mondo per servire e salvare la generazione che lo abita. La nostra vita è l'avvento di speranza nella quale ogni uomo può essere destato alla Verità. Siamo la carne di Cristo offerta ad ogni uomo, che si sta formando nel seno della Chiesa. Con amore infinito, come Stefano, il nostro sguardo fisso su Cristo e il volto come quello di un angelo, saremo ogni giorno testimoni credibili e fecondi dell'amore contemplato e sperimentato.






Paolo e Sila frustati









San Lorenzo difronte a Decio



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