Sabato della XXXIII settimana del Tempo Ordinario. Commento completo





Esiste la risurrezione perchè esiste un altro mondo. Ed esistono coloro i quali ne sono giudicati degni. La resurrezione è vincolata ad un giudizio e la vita sulla terra non può prescinderne. Gesù risponde alla  questione posta dai sadducei, che negavano la risurrezione, rivelando il destino dell'uomo. Gesù risponde come sempre, chiamando, mettendo in movimento. Annuncia la risurrezione illuminando profeticamente la storia. Il nucleo del kerygma, dell'annuncio della Chiesa, è infatti: Gesù Cristo è il Signore! 


Nella traduzione greca dell´Antico Testamento, kyrios è presente circa novemila volte, e traduce quasi sempre il nome ebraico di Dio. Anche nel Nuovo Testamento kyrios è un termine frequentissimo, si trova in settecentodiciotto passi. Vi è un uso profano che indica, ad esempio, il padrone, il proprietario di uno schiavo, il datore di lavoro, il marito. Un altro uso riferisce kyrios a Dio. Un altro ancora, il più frequente, fa riferimento a Gesù Cristo, e attesta la sua divinità e la sua signoria. 

Dio è kyrios e si è rivelato nel suo Figlio vittorioso sulla morte. Il suo suo svuotamento, la sua umiliazione, il suo cammino sino agli abissi della morte gli ha spalancato il Regno eterno: "Per questo Dio l´ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre». Gesù è stato giudicato degno dell'altro mondo per essersi umiliato sino alla morte di croce, per non essersi difeso, per aver offerto la propria vita. E' kyrios perchè ha amato sino alla fine. 


In Lui si compie la storia della salvezza. In Lui il Dio dei vivi autentica la sua signoria sulla morte. In Lui si comprende il mistero del roveto ardente, la rivelazione di Dio attraverso il suo Nome. "Chi sei?, Chi mi manda?": nella domanda di Mosè Gesù trova la risposta per i sadducei. E' nel dialogo tra Dio e Mosè, un dialogo di elezione e missione, che bisogna cercare la risposta sulla risurrezione. 




In quel roveto che non si consuma appare Dio, Colui che è bruciando d'amore. Un amore che consuma la morte e il peccato, che perdona al di là di ogni ragionevolezza; Colui che, per amore, invia Mosè, e poi Giosuè, e poi i Giudici, e poi i Profeti, e poi il suo Figlio. La domanda dei sadducei è una traduzione della domanda di Mosè. Di fronte all'inestricabilità della schiavitù, chi può avere tanto potere da liberare un manipolo di poveri uomini dal giogo di ferro del più potente dei re della terra, e per di più attraverso un pover'uomo che balbetta? Nella resurrezione, - ammesso che ci sia... - chi sarà lo sposo di una donna che, in virtù della legge del levirato che doveva garantire una discendenza, ha avuto sette mariti? 




Io sono colui che sono! Come il roveto pur bruciando non si consuma, così non esiste fuoco di schiavitù e di morte capace di estinguere il mio amore. La vita di Dio plana sulla terra e stravolge l'equilibrio precario dettato dalla corruzione figlia del peccato. La vita di Dio scende nella vita dell'uomo e la libera dagli angusti confini della carne. Dio è Kyrios perchè manifesta il suo potere in un amore così grande da attirare l'uomo e farlo partecipare della sua vita.

E' il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio dei vivi, perchè ciò che ha iniziato in loro è portato a compimento nel suo Figlio. E' il Dio della storia che, pur essendo un roveto che brucia ogni vita nell'ineluttabilità della morte, è redenta e trasfigurata nel suo amore che nulla può consumare. L'amore rivelato in Cristo.

In Lui si inaugura il compimento della storia della salvezza. L'elezione, le promesse di libertà e pace, il Regno che non avrà fine, il roveto che non si consuma è, in Cristo, accessibile ad ogni uomo. Accogliere Gesù significa accogliere il Nome stesso di Dio, al di sopra di ogni altro potere; accogliere Lui è accogliere il suo amore capace di trasfigurare la nostra vita, i tentativi di dare senso e continuità a quello che siamo e facciamo. 

Siamo schiavi di una carne incapace di andare oltre la biologia ferita dal peccato. Siamo noi questa sposa data in sposa a sette mariti. Sette mariti, e nessun figlio. Siamo sterili, le tentiamo tutte, ma la vita ci scappa di mano. 

Come il Popolo di Israele schiavo in Egitto. Il lavoro, il matrimonio, le amicizie, sono mariti incapaci di darci una discendenza, il sigillo dell'eternità, l'amore che sfugga alla corruzione. Ma siamo chiamati a ben altro! A vivere una vita feconda, a fare frutti che rimangano, a un amore che, tra le fiamme della storia, non si consumi. Siamo chiamati ad essere figli di Dio, figli nel Figlio che ha vinto la morte. In Lui, e solo in Lui, possiamo essere giudicati degni di un altro mondo, quello dove la corruzione non infetti le relazioni, i pensieri, le opere. Il mondo di Dio, dove regna un amore che ha varcato le porte della morte. 


Tobia e Sara

In noi è vivo il "Dio dei vivi" che vuole trasfigurare la nostra carne incapace di andare oltre la biologia ferita dal peccato, come la donna data in sposa a sette mariti. Sette, come i peccati capitali, come gli sposi di Sara morti nella prima notte di nozze. Ma Gesù ha vinto il peccato e la morte e viene oggi ad unirsi a ciascuno di noi come Tobia: è Lui il Marito al quale siamo stati promessi sin dall'eternità. Egli ha inaugurato per noi l'"ottavo" giorno, del quale con i sadducei di ogni tempo anche tutti noi, schiacciati nel dubbio di fronte al dolore e alla morte, non potevamo sospettarne l'esistenza. In esso siamo chiamati a vivere già da ora attraverso una vita feconda di frutti che rimangano per l'eternità, in un amore che, tra le fiamme della storia, non si consuma, capace di perdonare e donarsi oltre i limiti della carne. 

In questo amore divino possiamo far risplendere la bellezza di un matrimonio indissolubile, impossibile per chi non lo ha sperimentato; e la gioia di una sessualità aperta alla vita come ci insegna la Madre Chiesa. Una famiglia numerosa che vive abbandonata alla provvidenza di Dio, è un fuoco che arde misteriosamente in mezzo a un mondo confuso come Babele, chiuso alla vita naturale e aperto a quella innaturale prodotta in laboratorio e affidata a relazioni che non conoscono la fecondità della diversità e complementarietà tra maschio e femmina inscritta da Dio nell’uomo. 




Siamo chiamati ad accogliere Gesù, il kyrios, il marito che ci attende per farci sua sposa per l'eternità, nella fedeltà e nell'amore, da oggi, nella storia concreta che stiamo vivendo. Esiste la risurrezione perché Dio è il Dio dei vivi, dei chiamati e amati, di Abramo, di Isacco e Giacobbe; di Gesù Cristo e di ciascuno di noi. Ascoltiamo la sua Parola che esce proprio dal fuoco che sembra volerci distruggere. E' dalle fiamme che ci avvolgono che giunge oggi a noi la Parola capace di salvarci, di farci felici, il perdono e l'amore che ci donano la certezza della risurrezione, già oggi, qui, nella nostra vita.

"Mosè, mentre pascola il gregge, vede un roveto in fiamme, che non si consuma. Si avvicina per osservare questo prodigio, quando una voce lo chiama per nome e, invitandolo a prendere coscienza della sua indegnità, gli comanda di togliersi i sandali, perché quel luogo è santo. "Io sono il Dio di tuo padre – gli dice la voce – il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe"; e aggiunge: "Io sono Colui che sono!" (Es 3,6a.14). Dio si manifesta in diversi modi anche nella vita di ciascuno di noi. Per poter riconoscere la sua presenza è però necessario che ci accostiamo a lui consapevoli della nostra miseria e con profondo rispetto. Diversamente ci rendiamo incapaci di incontrarlo e di entrare in comunione con Lui" (Benedetto XVI, Angelus del 7 marzo 2010).



La resurrezione non è un’ipotesi o un mito, ma è Dio che si rivela a Mosè, ardendo in un amore che non si consuma e brucia la morte e il peccato. Quel roveto è la vita divina che brucia senza consumare la carne di Cristo; e’ la Vergine Maria, la Chiesa, nella quale il Cielo prende dimora sulla terra; è il mistero della vita divina che scorre nella carne debole e fragile dei cristiani, la tua e la mia, e ci fa vivere da risorti in un mondo di morti, come un vessillo e un annuncio. E’ il fuoco che il mondo aspetta, l’unico che avrà ragione dell’inganno che ovunque sputa corpi e menti deturpati dal peccato. Il fuoco della vita eterna che riduce in cenere le menzogne del demonio, e illumina le tenebre del pensiero unico che mette fuori gioco Dio, e contesta le certezze agnostiche di Veronesi e di tutti gli intellettuali illuminati con l’amore che arde nelle malattie facendone un altare dove offrirsi crocifissi con Cristo. Il fuoco che assorbe nella pietà le urla delle femen e tutta la pornografia che ci assedia e uccide l’immagine divina nelle donne, vergini, spose e madri; il fuoco che è capace di bruciare le radici piantate dal demonio nel cuore degli uomini per produrre leggi assassine che scartano i deboli. Il fuoco che ci conduce fuori dall’Egitto della schiavitù per condurci sul cammino dell’amore oltre la morte; il fuoco che semina nel mondo figli santi che amano oltre la morte perché, nella Chiesa che li ha rigenerati nella misericordia, sono primizie del Cielo. 


Esiste la risurrezione perché i cristiani, ciascuno di noi, “esistiamo per Lui”; non nei salotti della televisione, ma nella vita di ogni giorno si vede che, in tutto, il Dio dei vivi è sempre con noi, come lo è stato nella storia della salvezza con Abramo, Isacco e Giacobbe. E, attraverso di noi, sta giungendo a ogni uomo per attrarlo nella Pasqua, come ha soccorso e risuscitato il suo Figlio.


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