Venerdì della III settimana del Tempo Ordinario




Come semi nascosti nella terra


Spesso il Vangelo ci trascina in un violento testacoda, come quando Gesù parla del Regno di Dio, oggetto preferito delle confidenze sussurrate "in privato" ai suoi amici. Gli apostoli, infatti, hanno molto a che fare con esso. Quando Gesù afferma che "il Regno è come un uomo che getta il seme nella terra", oppure "come un granellino di senapa", sta dicendo che il Regno di Dio non è un luogo circoscritto ma "si può paragonare" a un evento sempre in evoluzione. Lo può "descrivere" solo una "parabola" che racconta una storia, ma allo stesso tempo è molto più di un semplice oggetto. Il Regno è come un uomo che semina, ma è anche come il seme, che "cresce e germoglia". E' una persona, ma è anche la sua vita. E' un piccolo resto che distende le sue radici nella terra ma non resta fermo; come il popolo di Israele si muove nel buio dell'Egitto, buca la superficie della terra uscendo dalla schiavitù, esce alla luce passando attraverso il mar Rosso, e continua a crescere nel deserto puntando il Cielo della terra promessa per diventare un popolo che, come un segno dell'amore di Dio, distende i suoi rami, "tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra". Il Regno di Dio è Cristo, che getta se stesso nella storia di ogni uomo, ma è anche il Popolo unito a Lui come la terra al seme. Egli ne assorbe le speranze e i fallimenti, le gioie e i dolori, anche i peccati, per trasformare tutto in un prodigio di amore robusto e fecondo. E' un mistero, è il Mistero Pasquale nel quale il corpo esanime di Gesù è trasformato in un corpo glorioso capace di dispensare vita senza fine. Mette i brividi, eppure neanche l'uomo Gesù "sapeva come" ciò sarebbe potuto accadere. E lo si vede bene nel Getsemani, quando, prostrato nell'angoscia, chiede al Padre di risparmiargli il calice della Passione. Quella notte Gesù si trovava proprio come un contadino che getta il seme in terra: questi sa che lì dentro accade qualcosa capace di trasformare quel puntino che teneva in mano in una pianta o in un albero, ma non sa come ciò si realizza. Il contadino, infatti, non è mai stato un seme, e per quanto le conoscenze scientifiche attuali ce lo sappiano spiegare, nessuno di noi ha mai vissuto l'esperienza di un seme gettato in terra. Così Gesù è dovuto entrare nell'ignoto, in quel passaggio doloroso e sconosciuto che il demonio ha colto a pretesto per tenerci schiavi tutta la vita. Sapeva che lo avrebbero preso, insultato, deriso, flagellato e appeso alla croce; sapeva che sarebbe morto e risorto, ma come ciò sarebbe accaduto non lo sapeva. Era certo che il Padre non lo avrebbe abbandonato, ma doveva entrare senza mappe né istruzioni in quel pezzo di terra a forma di sepolcro; doveva, per essere il primogenito di molti fratelli, la primizia del Regno di Dio, il Capo che porta alla salvezza il suo Popolo. Doveva perché in Lui tutti noi, scelti e chiamati a far parte del suo Corpo vivo nella storia, potessimo entrare nella terra buia che ci attende per uscirne vittoriosi come un albero che abbraccia nella salvezza le Nazioni pagane ancora schiave del demonio. Ecco, le parabole di oggi annunciano il Regno di Dio come il passaggio dalla morte alla vita: lo profetizzano per Gesù ma anche per ciascuno di noi; e anche per ogni uomo, per chi ci è accanto in ufficio e per il quale pensiamo non vi sia più speranza. Anche per tuo figlio o tuo cugino, anche per un pedofilo o un terrorista. Non sappiamo come possa accadere che anch'essi si salvino. Certo sono liberi, possono rifiutare sino in fondo l'occasione. Ma per tutti, misteriosamente, c'è un pezzo di terra dove Cristo si getta per morirvi con loro e così strapparli alla dannazione unendoli a sé nella risurrezione. E quel pezzo di terra è proprio quel momento in cui la persona accanto è più indurita, ci aggredisce e ci insulta, ci rifiuta e disprezza; ci uccide dentro. E' il kairos, il momento favorevole in cui la terra si spacca, magari impercettibilmente, per accogliere il nostro amore, che significa la nostra morte. Perché così è accaduto a Gesù, quando ha gettato se stesso nella terra della nostra vita che con i peccati lo ghermiva per ucciderlo. No, non sappiamo che cosa succederà dopo, quanto tempo dovremo restare in quel sepolcro spalancato dai peccati dell'altro. Lo sa una moglie abbandonata da un marito? Lo sanno il padre e la madre di un figlio che li detesta e se ne va di casa? Lo sa chi è stato truffato e derubato, insultato e calunniato? Lo sa un missionario rifiutato e perseguitato? No, nessun cristiano che offre la sua vita lo sa, ma ha la certezza che darà frutto, perché allo stesso modo l'amore di Cristo ha dato frutto in lui. Nel Vangelo di Giovanni Gesù invita gli apostoli a "guardare i campi - tutto il mondo! -che già biondeggiano per la mietitura"; e nel brano di oggi, dove si legge di "metter mano alla falce", l'originale greco ha "apostellei", che significa "inviare", da cui deriva "apostolo". La mietitura è dunque l'invio degli apostoli, perché l'annuncio del Vangelo è già l'inizio della raccolta dei frutti! Non è questione di "dormire o vegliare", perché "il chicco pieno nella spiga" non dipende dagli apostoli, ma da Cristo. E' Lui che ha già dato la sua vita per tutti, ed è ancora Lui che parla e agisce nei cristiani. Per questo Egli vede anche nel più grande peccatore, anche nelle zone del mondo più pagane e indifferenti al vangelo, la salvezza che gli uomini non vedono perché non sanno: Lui sa perché è entrato nella morte ed è risorto perché il suo mistero di Pasqua dia frutto in tutti. C'è una "spontaneità" del bene più forte del male che è sempre innaturale. Essa si sprigiona nell'uomo quando egli viene a contatto con l'origine e il compimento del bene; quando cioè Cristo tocca il suo cuore e vi entra per risuscitare in lui e far crescere e fruttificare il seme divino che vi giace sin dalla creazione. E' quanto accade come un segno di speranza in chi è accolto nella Chiesa attraverso un lungo cammino iniziato con la semina della Parola; in virtù del suo potere, essa "cresce in lui spontaneamente" generando fede, speranza e carità, i segni della vita nuova che estenderà i suoi rami per accogliere i peccatori nella misericordia.
















L'ANNUNCIO
Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa. 
 (Dal Vangelo secondo Marco 4, 26-34)







Tutto il Vangelo è percorso da una linea rossa di follia, la stoltezza della Croce. La Scrittura ci trascina in un violento testacoda, e ci ritroviamo spaesati, stranieri in un mondo che non ci appartiene. E' il Regno di Dio descritto nelle parabole del Vangelo di oggi, che non sono zuccherini per consolare e invitare alla pazienza. Non sono solo questo. Occorre innanzi tutto orecchi e cuore aperti per lasciarsi trascinare fuori dalle proprie sicurezze e, attraverso fallimenti ed angosce, giungere ad assaporare qualcosa di completamente diverso, il vino nuovo del Regno. Occorre essere in cammino, in conversione. Chi è installato, seppur veda sbriciolarsi la vita tra le mani, non comprenderà nulla di queste parabole. Le prenderà come utopia o con sentimentalismo e moralismo, ma non sposteranno di un centimetro il suo sentire profondo. Si tratta delle confidenze di Gesù ai suoi amici, dei misteri del Regno riservate ai suoi eletti. Nel Vangelo, infatti, a proposito della mietitura, laddove leggiamo "porre mano alla falce", l'originale greco ha "apostellei" che significa inviare, da cui deriva la parola apostolo. Per comprendere il significato di questo termine occorre rifarsi all'ambiente ebraico nel quale è nato il Nuovo Testamento. Lo "schaliah", tradotto con "apostello", in ebraico rappresenta un procuratore nel quale è considerato presente colui che lo ha inviato. Il Talmud ripete più di venti volte che "lo schaliah di una persona è un altro se stesso". Così è, ad esempio, per Eleazaro, il servo-schaliah di Abramo, in occasione del matrimonio di Isacco, al punto che esso fu considerato definitivo allorchè Eleazaro scelse Rebecca ed ella acconsentì. Nel Nuovo Testamento la consapevolezza di uno schaliah di essere un altro se stesso di colui che lo inviava, dal piano della finzione giuridica passa a quello di una realtà mistica ed esistenziale. Per lo Spirito Santo, Cristo dimora negli Apostoli: essi non solo lo rappresentano giuridicamente, ma divengono essi stessi la sua presenza. L'Apostolo di Cristo è Cristo stesso, il suo potere si esprime attraverso di lui, quello che legherà in terra sarà legato in Cielo. Questa profonda intimità è la chiave delle Parabole del Vangelo di oggi. L'apostolo ha lo stesso sentire di Colui che lo ha inviato, ha il suo pensiero dirà San Paolo. Ma se c'è una perfetta identità tra l'apostolo e Gesù, vi è anche tra il Signore ed il Regno dei Cieli. E' Lui stesso il Regno della parabola, "l'uomo" che getta il seme che cade in terra, muore e risorge. Attraverso il Mistero Pasquale, il Regno di Dio è seminato irrevocabilmente nella storia, in ogni generazione. Esso segue il percorso di sviluppo proprio di un seme. E' la Grazia che lo feconda, che ne protegge gli inizi, che lo porta a maturazione. Per questo Gesù dice che la terra produce "spontaneamente", letteralmente "senza una causa spiegabile" - come è stato per Lui stesso nel grembo di Maria prima e nel sepolcro poi - "stelo, spiga e chicco pieno". Gli apostoli, gli altri se stessi del seminatore, che sono inviati a raccogliere, attraverso la predicazione, il grano ormai pronto. Nel Vangelo di Giovanni Gesù invita i discepoli a "guardare i campi che già biondeggiano per la mietitura", proprio nel momento in cui annuncia che "deve mangiare un pane" diverso, sconosciuto sino ad allora, l'opera di Colui che lo ha inviato, la volontà del Padre che si definisce nella Croce che lo consegna in riscatto per ogni uomo. Gesù vede profeticamente il suo mistero di Pasqua come un frutto maturo, ed invita i suoi discepoli ad alzare lo sguardo e ad avere il suo stesso pensiero, gli stessi occhi profetici sul mondo e sugli uomini; su chi ci è accanto oggi, ora, e magari ci sta facendo del male. Quando in una persona è stato seminato il Vangelo, stiamone certi, darà frutto. Forse tra vent'anni, e il seme dovrà disfacersi nella terra, e lo stelo dovrà farsi strada in una terra arida e indurita; forse tra peccati e sofferenze inenarrabili. Eppure, senza che noi possiamo comprenderne lo sviluppo, il Vangelo darà frutto in nostro figlio... E' strano che Gesù dica che il seminatore non sappia come il seme dia frutto. Certo a quel tempo non vi erano le conoscenze di oggi, ma il punto non è questo. Significa che c'è un mistero che supera le conoscenze umane, le previsioni di tempi e dimensioni; nel Regno di Dio vige una legge che ci sfugge; si compie "sia che dormiamo sia che vegliamo", trascende i nostri sforzi, le nostre precauzioni, qualunque criterio. Guardiamo a certi fiori cresciuti su rocce impervie, al buio, misteri insondabili di una natura che oggi dovremmo conoscere perfettamente. Così è di chi ci è accanto, di ciascuno di noi... C'è tanto che non conosciamo e non comprendiamo, e, soprattutto, non possiamo prevedere modi e tempi dell'opera di Dio. Ma possiamo sperarne con infinita confidenza il compimento, e così potremo "dormire e vegliare" con libertà e senza pretendere nulla, rispettando l'opera di DIo in ciascuno. Tutto "perchè si rallegri insieme chi semina e chi miete" (cfr. Gv. 4,14ss), nella completa identità tra Gesù e i suoi "inviati". Per questo Gesù nella sua predicazione dice che il Regno è vicino, mentre agli apostoli inviati in missione raccomanda di annunciare che il Regno di Dio viene con loro. Si tratta di Lui che è vicino, e di loro, che portano dentro il Signore, nella consapevolezza che ovunque vi sono chicchi pieni da mietere. 

"Il Regno è come un uomo che getta il seme...", e quell'uomo è Cristo. Il Regno di Dio è tutta la parabola, non soltanto l'albero cresciuto a raccogliere tra le sue fronde "gli uccelli del cielo", immagine biblica che descrive i popoli pagani. Il Regno è l'uomo, è il seme, è la terra, è il processo di crescita, e, finalmente, l'albero compiuto. Gli apostoli sono inviati a raccogliere, per Lui ed in Lui, la sua vittoria. L'annuncio del Vangelo è già la mietitura! E' questo il testacoda delle parabole odierne. E' un cambio radicale di prospettiva. Non vi sono misure e parametri umani per il successo dell'evangelizzazione, come per qualunque aspetto, opera o parola della nostra vita. Per questo il Signore utilizza la metafora del "granello di senapa", il più piccolo tra i semi della terra. Ma come, per l'opera più importante, per la salvezza di ogni uomo, si parla di senapa? Certo, e non può essere diversamente! Il pensiero di Dio non è il pensiero dell'uomo, perché per Lui il successo è già, anche se non ancora. E' già perchè Cristo ha vinto la morte, ed il seme invincibile della sua vittoria è già all'opera, misteriosamente, nel mondo. Non ancora perchè la carne impedisce la pienezza, riservata al Cielo. Su questa certezza la Chiesa ha lasciato il Monte delle Beatitudini e si è lanciata sui sentieri del mondo, sino agli estremi confini della terra. Alla Chiesa, come a ciascuno di noi, è necessario un solo atteggiamento interiore: accettare di non sapere "come" Dio opera nella storia. Il demonio, invece, ci inganna spesso con un cortocircuito velenoso: quello che non si sa, non si comprende e non si vede non esisteSe non capisco come Dio sta operando in mio figlio, non significa che Egli non lo stia conducendo alla salvezza. La via di Dio, infatti, passa sul mare della morte e le sue orme restano invisibili. Accettare di non capire e non sapere è la più grande professione di fede, l'unica che ci apra le porte dell'autentico riposo: "dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa". Ma per chi ha la certezza del compimento della salvezza, per chi vive in Cristo, per i suoi apostoli, il non sapere non costituisce problema. Certo le tentazioni di sconforto sono quotidiane. L'evangelizzazione non è una passeggiatina: perchè l'annuncio risuoni e faccia apparire il chicco maturo occorre che riproduca lo stesso suono, la nota capace di liberare nei cuori la musica nascosta: la Passione del Signore. Per questo la storia dell'evangelizzazione è stata e sarà sempre storia di martirio, di solitudine, di umano fallimento. La pazienza nelle sofferenze e la perseveranza nelle tentazioni , provano l'elezione dell'apostolo. Ma la fede è un cammino, la certezza non è frutto di alchimie. Occorre sperimentare, a poco a poco, nella propria vita, la presenza di Cristo, e così lasciare il mondo e i suoi criteri per approdare al pensiero, al sentire di Cristo. E vivere come dentro una profezia compiuta ma non ancora visibile: imparare a vedere, nel deserto, i fiumi di acqua viva promessi. E' come un rivolo d'acqua sotto le rocce, invisibile a chi pretende di vedere, ancor prima della fonte, un fiume nel suo fluire maestoso. Ma il rivolo c'è, e si fa fonte, e poi ruscello e poi fiume, e poi mare. Così per un apostolo è ragionevole quanto per il mondo è irragionevole, anche la sua stessa vita, gettata come un seme su terra arida, la follia più sapiente. La vita nascosta con Cristo in Dio, il pensiero fisso nel Cielo, per ricondurvi ogni figlio disperso nel buio della solitudine. Così vive ogni istante la Chiesa, seme invisibile, calpestato, ma con dentro la forza e l'onnipotenza di Dio. La Chiesa che mostra al mondo il riposo e la Vita proprio nei rami distesi della Croce, i suoi figli perseguitati nel martirio della storia. La Chiesa è già un rifugio per le Nazioni, i pagani avvolti dalle tenebre della menzogna; ma non ancora, perchè il Vangelo deve essere annunciato ad ogni creatura. Solo allora sarà la fine, quando le braccia crocifisse di Cristo potranno, attirare tutti a sé per l'eternità. 





αποφθεγμα Apoftegma



Nuova evangelizzazione non può voler dire: attirare subito 
con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa. 
No - non è questa la promessa della nuova evangelizzazione. 
Nuova evangelizzazione vuol dire: 
Non accontentarsi del fatto che dal grano di senape 
è cresciuto il grande albero della Chiesa universale, 
non pensare che basti il fatto che nei suoi rami 
diversissimi uccelli possono trovare posto, 
ma osare di nuovo con l'umiltà del piccolo granello lasciando a Dio, 
quando e come crescerà
Le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo 
ed i movimenti di massa sono sempre effimeri.


Benedetto XVI


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