Giovedì dopo le ceneri. Commento completo




Il nostro cammino quotidiano è guidato da un imperativo categorico, un'irrefrenabile esigenza di auto-affermazione, di essere, per qualcuno, per sé stessi. Ma, alla fine di "ogni giorno", è sempre solitudine e tristezza, il destino di chi, per "salvare la propria vita", "segue" solo se stesso e le proprie concupiscenze, perché la sua autoaffermazione entra in collisione con le autoaffermazione degli altri. Il Figlio dell'Uomo, invece, ha un'altro imperativo: "deve" essere "riprovato" per "essere messo a morte" e così "risorgere". E' la sua missione, per ogni uomo. Nell'originale greco il verbo "riprovare", apodokimazo, deriva da dokimos, che significa fidato, attendibile, provato, e, come termine tecnico, indica una moneta autentica, circolabile; è riferito anche a persone cui è tributato comune riconoscimento. Nella traduzione della Bibbia greca della LXX il termine era usato esclusivamente per qualificare le monete valide. Il verbo che ne deriva, dokimazo traduce l'ebraico bakhan = provare con il crogiuolo. Gesù dunque è dovuto passare per il crogiuolo del Sinedrio, ed è stato a-podokimazo, ri-provato. 

Lui non era la moneta di cui "gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi" avevano bisogno. Essi "rappresentano l'avere, il potere e il sapere. La ricchezza, la vanagloria e la superbia, strette parenti delle tre concupiscenze di 1 Gv. 2,16, sono le tre maschere del nemico, e le tre apparenze del frutto di Gen. 3,6: buono, bello e desiderabile" (S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Luca). Il demonio, mascherato subdolamente da uomo religioso, ha rigettato Gesù. Come accaduto già quando era stato tentato nel deserto, ora nel crogiuolo del Sinedrio Gesù smaschera ogni ipocrisia religiosa: quando la religione è nemica della Croce, quando l'interpretazione della Parola di Dio ci induce a sfuggire la storia, allora è opera del nemico. Proprio per questo era necessario che satana gettasse fuori il Figlio dell'uomo: quella moneta era autentica, non gli apparteneva. Gesù è, invece, la moneta del Padre suo, gettata nel mondo per pagare il riscatto di ogni uomo imprigionato nel peccato. 

Così, mentre satana rigettava Cristo, il Padre accoglieva noi, monete da Lui coniate con amore che però avevano perduto bellezza e identità. Il sangue e l'acqua colati sul legno della Croce hanno riportato alla luce l'immagine e l'iscrizione di nostro Padre che portiamo impresse. Ci ha creato per essere monete autentiche, immagini fedeli del suo amore. Per questo oggi Gesù ci chiede "se vogliamo andare dietro Lui" nel mondo a pagare il riscatto per i peccatori. Se vogliamo essere una moneta autentica. Lo desideriamo sinceramente? Ecco allora per noi la Quaresima porci dinanzi lo stesso cammino di Gesù: ad ogni passo la storia ci chiede di rinnegare noi stessi. Dire no a satana e alla parte di noi che gli appartiene e fa di noi monete false. 

Questo significa, concretamente, rinnegare la giustizia umana che reclama i propri diritti dimenticando il perdono, la pazienza, la tenerezza nei confronti di chi ci è accanto; rinnegare la concupiscenza che brucia la carne, facendo un passo indietro per lasciare l'altro libero; rinnegare l'accidia che ci distoglie dalla fedeltà alle piccole responsabilità di ogni giorno; rinnegare l'avarizia che ci fa arpionare cose e persone per chiuderle nella cassaforte del possesso; rinnegare ideali e idoli che invadono la nostra volontà per distoglierla dall'adeguarsi a quella di Dio. E, soprattutto, "prendere la croce ogni giorno".

Qual'è oggi la tua croce? Forse neanche la vediamo, forse quella che pensiamo non è una croce. Guarda Cristo e capirai. Contempliamolo mentre cammina sulla via del Calvario. Che cosa oggi ci assomiglia a Lui? Che cosa ci inchioda e ci umilia impedendoci di fare quello che vorremmo? Che cosa ci pesa tanto sulle spalle da farci cadere obbligandoci a chiedere aiuto? Quale sete ci stringe la gola lasciandoci senza parole? Chi oggi ci allarga le braccia e ci strappa il respiro? Forse proprio la persona che ami di più ti umilia e ti assedia esigendo da te tutta la vita, sino all'ultimo respiro. Ecco, questa è la nostra croce, dove sperimentiamo di non poter andare oltre e amare sino a tanto; di cadere sotto il peso di quella malattia; di soffocare senza lavoro e stipendio; di perdere sangue dal cuore per la morte di tuo padre. 

Ecco, le grandi e piccole croci sono i fatti e le persone dove Cristo ci attende per accoglierci così come siamo, perdonarci e farci sperimentare il potere della sua risurrezione. La Croce non è una condanna, è "il letto d'amore dove ci sposa il Signore" (Inno del IV secolo). Su di essa si consuma l'unione intima e indissolubile con Cristo, sostanza del nostro essere suoi, nella fecondità che ne attesta il compimento. Sulla Croce si ama come si è amati, è impossibile autoaffermarsi. "A che giova", infatti, "guadagnare il mondo intero" se l'anima sperimenta la "perdizione", l'infelicità di chi ha perduto l'amore di Cristo? "A che giova" affermare le nostre ragioni contro moglie, marito, colleghi e amici, giudicando, mentendo, adirandoci e mancando di carità se il salario del peccato è la morte? Per entrare nel Cielo "giova" solo "seguire" il Signore nella vita di ogni giorno: così "perderemo la vita" che ci ha condotto alla morte, per ricevere in cambio la sua Vita, che non si esaurisce mai e trasforma in gioia anche il dolore più grande.





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