29 aprile. Santa Caterina da Siena


Piccoli per il giogo di Cristo






E' tutto troppo più grande di noi. Non sappiamo. Non conosciamo. Non capiamo. Accettiamolo. Tu ed io, oggi, come Santa Caterina da Siena, siamo "quelli ai quali" il Padre "vuole rivelare suo Figlio". Perché? Perché siamo “piccoli”, nonostante ci atteggiamo a grandi. Non a caso, sono proprio i bambini che imitano gli adulti. Così anche noi, adulti per l'anagrafe, ma con un inguaribile cuore di bambini, ci trucchiamo, mascheriamo, cercando di sollevarci una spanna sugli altri, per apparire quello che non siamo, maturi, saggi, affidabili. Ma se gli eventi ci svelano che siamo così, non stupiamoci, e accettiamo d'essere “piccoli”, senza giudicarci e disprezzarci, perché quando la storia ci smaschera è una "benedizione".

Benedetti i giorni così come "piacciono" a Dio, perfetti per la nostra conversione alla santità. Benedetti coloro che non ci lasciano navigare tranquilli a cento metri d'altezza; benedetta nostra moglie quando ci dice la verità e ci scopre a cercare consolazioni effimere di carne malsana davanti al computer; benedetto nostro marito quando ci svela intrappolate nella vanità; benedetti i genitori che sanno rimproverare e richiamare alle responsabilità e all'obbedienza i propri figli; benedetti i mal di denti che ridimensionano i muscoli cesellati in palestra; benedetto il capoufficio che non ci fa sentire unici e indispensabili; benedetta la fidanzata che ci richiama al rispetto.

Benedetta la storia quando ci umilia, perché ci rende capaci di ascoltare le confidenze del Signore con le quali ci rivela i misteri del Regno. Dove c'è già qualcosa di "grande", ovvero la "sapienza" e l'"intelligenza" della carne, non c'è spazio per la "grandezza" delle "cose" di Dio e di Gesù. La Trinità si ferma dinanzi alla superbia, si "nasconde", tace e occulta i suoi segreti. Solo chi accetta di essere “piccolo”, “infante” ovvero senza parole né forze di fronte alla grandezza della Legge e delle sue esigenze che ci superano, può lasciarsi attirare dalla Croce di Gesù, l’unico luogo dove abbandonarsi per “trovare riposo” autentico.

Su di essa, infatti, “impariamo” ad essere “miti e umili di cuore” come Gesù. Mite è colui che è stato domato, che cioè ha "imparato" ad obbedire. Etimologicamente la mansuetudine, la mitezza è caratteristica dell'animale ammansito perché sia docile nel sottoporsi al “giogo”. Coraggio fratelli, perché Gesù sa che siamo “piccoli” proprio per “imparare da Lui”, attraverso il suo "giogo soave". Solo Lui può domare l'animale selvatico che è in noi perché non ci impone nulla, non insegna dall'alto della sicumera, ma si è fatto mettere il “giogo” della Croce per accoglierci e camminare con noi sulla via della conversione. Il suo “giogo” non ci fa sbandare, non ci strattona, non ci fa cadere. E' "dolce" perché è perfetto per ciascuno di noi: innanzitutto perché è fatto con il Legno impregnato del sangue di Cristo. E che cosa c'è di più “dolce” dell'amore distillato in quel sangue colato per cancellare ogni nostro peccato e riportarci tra le braccia del Padre, mansueti come agnellini?

Inoltre, il suo "carico è leggero" perché lo ha portato Lui per primo, e non smette di portarlo. Gesù, infatti, è sceso, e scende anche oggi, esattamente dove siamo, spogliandosi di tutto pur di farsi come noi, eccetto il peccato. Come noi in questo momento, capite? Come sei ora, come stai? Ebbene Lui si è già fatto come te, per starti accanto, senza scandalizzarsi per come ti sei ridotto. Per questo, la Croce con la quale ci ammaestra ha le nostre misure di oggi: è adatta alla nostra “piccolezza”, cioè a tutte le manifestazioni del nostro orgoglio, alle parole, ai progetti, agli schemi, agli atteggiamenti, per potare tutto dolcemente nel suo amore. Se Lui è accanto a noi portando il “giogo” con noi, significa che ogni passo che faremo sarà immerso nella misericordia e nell'amore. Proprio la Croce l'unica scuola adatta a noi; ciò che ci sembra assurdo e inaccettabile nella nostra vita è l'unico giogo adeguato a noi. Per questo, l'umiltà e la mitezza si "ascoltano" nella storia attraverso la quale il Signore ci parla e dove scende per raggiungerci; e si accolgono, come Parole di Dio che hanno il potere di realizzarsi. “Rimanete nel mio amore prendendo il mio giogo sopra di voi”, ecco cosa significa “imparare” da Gesù. Solo così potremo trovare "ristoro", la pace che il mondo non conosce perché, come spesso facciamo anche noi, la cerca nelle creature. 

Mentre nella Chiesa stiamo “imparando” che l'unico ristoro autentico è l'amore di Cristo, immutabile, che c'è e ci colma a prescindere da ogni attività. Non dobbiamo far altro che imparare sulle sue orme, laddove e come Lui ha “imparato” a obbedire, ovvero dalle cose che patì. Sulla croce di oggi potremo anche noi “imparare” l'obbedienza, unica porta al vero riposo. Diversamente saremo sempre assaliti da scrupoli e dubbi. Chi non obbedisce non è mai certo di fare la cosa giusta, mentre chi è unito a Cristo nel suo “giogo” conoscerà la pace di chi compie la volontà di Dio. Oggi, nella semplicità delle ore che ci accolgono, negli incontri, nelle cose da fare e ripetere mille volte, si compie una liturgia d'amore. Come il Cireneo porteremo la Croce con Cristo. Forse inconsapevoli, ma aggrappati alla sua Croce; mentre crediamo di portarla scopriremo che è proprio essa a portarci alla pace e al riposo: "Ho capito che c'è solo un modo per essere felici: essere agnelli. Prendere su di sé anche il male degli altri, oltre al proprio, non entrare in risonanza con le malignità, porgere mitemente il collo. L'agnello lo fa non perché sia masochista e gli piaccia soffrire, né quando sia represso. Lo fa quando ha un pastore buono che gli vuole bene veramente e si prende cura di lui. Allora niente che succeda può portarci via la contentezza" (Costanza Miriano).
    

"Tutto” di noi, infatti, “è stato dato a Gesù"; nulla, neanche il momento più buio, è fuori del suo controllo amorevole. E in questa esperienza del potere infinito della sua misericordia che "tutto" copre e "tutto" perdona, “conosceremo il Figlio”, una persona viva, un fratello che non ci giudica mai. Non sono la carne, la volontà umana, gli sforzi a farci "conoscere il Padre": "nessuno se non il Figlio" e ciascuno di noi ai quali, nella Chiesa e per pura Grazia, giorno per giorno, Gesù “ci rivela” la bellezza e la pienezza di una vita da figli liberi, perdonati, sanati, amati. Proprio come aveva sperimentato Santa Caterina da Siena: "Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell'anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità. Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d'amore ti sei dato agli uomini. Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità. Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza. Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna!"


   






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse: 
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».










APPROFONDIMENTI




αποφθεγμα Apoftegma

Nessun commento: