Gesù cammina con noi per fare di oggi il giorno della sua Pasqua
αποφθεγμα Apoftegma
Dio non è venuto a spiegare la sofferenza:
è venuto a riempirla della sua presenza
Paul Claudel
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La Pasqua è reale, non è una chimera da inseguire, un mito a cui
aggrapparsi. La Pasqua è la carne di Cristo che, scesa nel sepolcro, è risorta
in un nuovo modo di essere. La Pasqua si infila nella nostra vita per trasformarla
radicalmente attirandola nel passaggio di Cristo. La Pasqua ci prende ogni
giorno esattamente dove siamo per levarci e disinstallarci, spingendoci e
accompagnandoci in un cammino inesausto verso un altrove sempre nuovo. E noi,
anche in questo mercoledì in Albis, dove siamo? Forse galleggiamo nella
delusione e nello sconforto, perché siamo tornati al lavoro e le difficoltà
sono ancora tutte là, perché i figli danno sempre problemi, perché ci siamo di
nuovo imbattuti con la nostra debolezza, i nervi, l'impazienza, l'incoerenza.
Allora non è cambiato nulla? Una cosa sono le liturgie e una cosa la vita di
ogni giorno, o no? No, è cambiato tutto, anche se sembra non sia cambiato
nulla.
L'episodio dei discepoli di Emmaus è una parola di Dio che ci
aiuta a comprendere la profondità del Mistero Pasquale. Fateci caso, nei
vangeli delle apparizioni, il verbo più usato è "vedere", nelle varie
forme che esso assume in greco. In essi si può distinguere chiaramente come
un'apertura progressiva degli occhi su Gesù risuscitato. Perché il frutto della
Pasqua non è un cambiamento della realtà, ma occhi nuovi su di essa, dischiusi
da una luce nuova che promana dall'intimo di Maria Maddalena, delle donne e dei
discepoli, dove l'incontro con Cristo risorto ha trasformato il loro cuore e la
loro mente.
Non è fuori ma in loro che la Pasqua si stava compiendo, come un
reale passaggio dalla mentalità mondana e carnale alla fede, che è fissare le
cose di lassù nella realtà di quaggiù. Al punto che il Cielo, il destino eterno
conquistato da Cristo, diviene il fondamento delle cose che sono sulla terra e
il criterio per discernere ogni evento. La Chiesa delle origini, infatti, aveva
fatto l'esperienza di Cristo risorto nella vita dei suoi figli rigenerati dal
Battesimo, che, nel loro sguardo nuovo, potevano testimoniare con San Paolo che
Dio li aveva "liberati dal potere delle tenebre" e li aveva
"trasferiti nel regno del suo Figlio diletto", mentre ancora camminavano
sulla terra. Come gli apostoli avevano contemplato risorto e vivo Gesù di
Nazaret che avevano visto crocifisso anche dai loro tradimenti, così i
cristiani che ne avevano accolto la predicazione, avevano visto Gesù risorto
nella loro vita nuova, dopo averlo visto crocifisso nei loro peccati. Per
questo potevano affermare con San Paolo che Gesù aveva "rappacificato con
il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla
terra e quelle nei cieli".
Ecco, questa pace tra le cose della terra e quelle del Cielo in
Cristo risorto, e da Lui annunciata e donata ai discepoli la sera di Pasqua,
costituisce la luce che trasforma lo sguardo dei cristiani sulla loro storia e
su quella del mondo. Lo sguardo della fede che è "fondamento delle cose
che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (Eb 11,1). Lo sguardo
dei due discepoli di Emmaus, dischiuso a poco a poco dall'esperienza della
Pasqua che si era fatta passaggio nel loro stesso cammino della delusione e
dello sconforto. Cristo risorto, infatti, li aveva raggiunti proprio sui loro
passi che li allontanavano da Gerusalemme, dal luogo della sua risurrezione. In
questi due discepoli è annunciata l'esperienza che attende ciascuno di noi. In
queste "sette miglia" che distava Emmaus da Gerusalemme si è compiuta
la Pasqua di quei due discepoli, come si può compiere nelle "sette
miglia" che abbiamo percorso dalla notte di Pasqua allontanandoci da
quell'esperienza.
I due di Emmaus, infatti, erano rimasti con niente: il passato
precedente all'incontro con Lui non li attirava più, il presente era solo
struggimento e delusione, il futuro senza sicurezze, da morire di paura. I
due di Emmaus, immagine d'ogni discepolo, stavano patendo la purificazione
decisiva, quella che passa per la scomparsa dell'amato stesso: "Noi
speravamo che fosse lui a liberare Israele". Il cammino
dei due discepoli di Emmaus è il cammino dell'amore deluso, il compimento
assaporato e strappato via, che inchioda a un ricordo colmo di nostalgia. La
tristezza stampata sul loro volto, che San Tommaso definisce come l'attesa
di un bene assente. Assente Cristo, tutto diviene triste. Era
svanita la passione, si doveva compiere quel passaggio al di fuori di se stessi
Nel "discutere" dei discepoli di Emmaus scopriamo la
nostra incapacità di dare un senso agli eventi di dolore e fallimento della nostra
vita, nonostante la Pasqua celebrata! Dietro
a tutte le nostre discussioni in cerca delle cause e dei colpevoli per le
nostre sofferenze, vi è sempre una speranza delusa, perché abbiamo
sì sperato in Gesù, ma non in Gesù crocifisso e risorto. A noi, infatti, Gesù
serve solo se risorto, per non dover passare attraverso la Croce... Per
questo spesso neanche la predicazione è sufficiente, ovvero "l'annuncio
delle donne che hanno visto gli angeli e il sepolcro vuoto"; troppo deboli
gli indizi per chi ha "dimenticato e non compreso le parole dei profeti e
del Signore stesso", "quel parlare era rimasto oscuro". Neanche
l'annuncio di Pietro e di Giovanni corsi al sepolcro bastano: "Lui non
l'hanno visto", perché vogliamo vedere la salvezza compiuta
secondo i pensieri mondani, non ci interessa altro.
Infatti, "Gesù in persona si accostò e camminava con loro,
ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo". Gesù era lì, accanto ai discepoli come oggi è accanto a te e
me. Ci parla, ci pone domande, ci cerca. Ma, preda della delusione
post-Pasquale, tipica di chi vive le cose a livello sentimentale come una
domenica in campagna scivolata via troppo presto, di chi cioè spera "la
liberazione di Israele" e non quella del proprio cuore, Gesù ci
appare come l'unico "così estraneo ai nostri pensieri da non sapere quel
che è successo". Così lo vediamo, un estraneo ai nostri bisogni e
speranze, soprattutto alle nostre sofferenze perché siamo ancora convinti che è
da fuori di noi che esse ci giungano, e non possiamo credere in Colui che la
realtà non l'ha cambiata. Magari crediamo pure che Gesù è risorto, e che un
giorno risorgeremo anche noi, ma oggi, oggi non è cambiato nulla, anzi...
Ma Gesù non è lontano, proprio quando non lo riconosciamo e la
fede fa acqua, il suo amore infinito lo spinge al bordo della nostra
vita, e Lui sì che ci riconosce. Gesù sa quello che gli è
successo! "Stolti e tardi di cuore", non abbiamo compreso il cuore
della nostra vita raggiunta da Cristo, come i due di Emmaus "non avevano
compreso il senso profondo delle Scritture": che cioè gli eventi occorsi a
Gerusalemme nei giorni più santi della storia, quelli che hanno infranto la
loro speranza, riguardavano Lui perché riguardavano loro e ogni uomo! Tutto
era accaduto per noi! Gesù non era "così forestiero in Gerusalemme"
da non sapere, era molto di più, era Lui che, proprio nella morte e nella
discesa nel sepolcro si era fatto il più prossimo a loro, al punto di dilatare
la realtà della sua Pasqua sin dentro la loro realtà di stolta e dura incredulità.
Al punto di trasformare ogni nostro giorno di delusione, tristezza e sofferenza
nello "stesso primo giorno della settimana". Ogni giorno può essere
Pasqua, anche oggi, perché dove riconosciamo Cristo tutto è trasfigurato ai
nostri occhi, come accadde a Maria Maddalena, agli apostoli, ai discepoli di
Emmaus.
Coraggio allora, perché proprio quando emerge l'incredulità
che sgorga dalla delusione della carne, al culmine della frustrazione e della
disperazione, "cominciando da Mosè e da tutti i profeti" Gesù ci
parla spiegandoci "in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui".
Quando la storia, attraverso l'umiliazione del nostro io orgoglioso e
capriccioso, ci apre un pochino l'orecchio, Gesù, che non ha mai smesso di
camminarci accanto, comincia ad annunciarci il Vangelo attraverso la
predicazione della Chiesa. Lui ci sa aspettare, sino a che ci scontriamo con la
durezza del nostro cuore, per purificarlo dalle scorie del sentimento e degli
entusiasmi. Solo quando lo scopriamo vuoto Egli "ci apre il cuore alle
Scritture", svelando il profondo del suo cuore: Lui ci ama, e per questo
"doveva" soffrire, "doveva" morire
per risorgere e riscattarci! Così anche la nostra storia doveva essere e deve
essere così come è, perché ogni suo istante "si riferisce a Cristo",
come una preparazione al compimento della sua Pasqua
Chi, al colmo dello sconforto, ascoltando queste parole, non
sente "ardere il cuore nel petto"? Chi di noi, oggi, sperimentando la
delusione, è ancora tanto indurito nei propri schemi, nei propri progetti, da
non sentirsi bruciare dentro il desiderio di vedere e stare con Colui che ci
parla del suo amore per noi? Chi, ascoltando l'annuncio della Buona Notizia,
non si sente trafiggere il cuore aggrappandosi a Colui che l'ha compiuta e la
vuol compiere oggi nella propria vita? Vuoi restare chiuso nella tua delusione
udendo che Dio dalla Creazione ad oggi ha fatto tutto per te, perché tu possa
accogliere il suo amore eterno fatto pane da mangiare in Gesù? No vero, anche
tu con i due di Emmaus oggi puoi implorare il Signore di "restare con
te", con la tua famiglia, nella notte che sta avvolgendo la tua
vita.
Non importa se ancora non lo hai riconosciuto. Ascolta la
predicazione di questo Vangelo e lascia aperta ad essa una fessura del tuo
cuore: è il tuo modo di dire a Gesù di entrare con te nel "villaggio"
dove ti sei rifugiato per scappare dalla Croce e poter piangere la tua
delusione. E' proprio lì che Gesù vuole farsi una carne con te, dove tu sei
oggi. Ma attento, perché sta facendo come per "andare più lontano".
Fermalo, chiamalo, digli che se c'è una possibilità di risuscitare per guardare
alla vita e alla storia come la Chiesa ha visto il sepolcro vuoto e contempla
Cristo risorto in ogni evento di morte, tu la vuoi cogliere oggi! Che entri a
far Pasqua con te oggi, nella tua Emmaus.
Credimi, come dice
l'Apocalisse, Lui "entrerà e cenerà con te", nella tua comunità
cristiana: e accadrà come ai due di Emmaus quando "sedette a tavola con
loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro":
"ed ecco" si apriranno i tuoi occhi e lo riconoscerai! Gesù,
infatti, si fa presente nella Chiesa, nella predicazione e nei
sacramenti; si mostra vivo come nostro compagno di viaggio,
per educarci a guardare con occhi di fede il suo amore deposto
dove gli occhi della carne non vedono amore alcuno. Il "Pane
spezzato" diviene allora il segno dell'amore di Dio in ogni frammento
della nostra vita che sino ad allora eravamo incapaci di decifrare. Dove
tutto si corrompe, l'incorruttibile Pane del Cielo, Cristo risorto, diviene
l'unica Verità, il Pane della Vita nella morte ci nutre per vivere
nella notte. Il "pane spezzato" infatti, è il Corpo di Cristo risorto
che semina la sua vita nei dolori, nelle angosce, nei fallimenti, nei
tradimenti, nelle malattie, nelle ingiustizie. Dire "Amen" nel
ricevere il suo Corpo significa allora accogliere Cristo risorto per entrare
con Lui nella morte che ci attende, riconoscendo in essa la volontà del Padre
che è la nostra salvezza. "Amen", "è certo e degno di
fede" il tuo amore Signore, è certa la tua morte ed è certa la tua
risurrezione, e io voglio mangiare la tua Pasqua per esserne partecipe, perché
la mia vita diventi un passaggio negli eventi unito a te, nel tuo amore che
supera la morte.
Perché la mia vita sia un "partire senza indugio" per "tornare" nella storia che non avevo compreso e dalla quale sono fuggito, con la certezza che è stata definitivamente "rappacificata" con il Cielo! Correre verso i fratelli dove sperimentare la comunione e l'amore che ci aiutano a credere che davvero Cristo è risorto e ha abbattuto ogni barriera che ci separava da Dio e dal Paradiso. La comunione fondata nella stessa Pasqua compiuta nei fratelli è, infatti, il segno che siamo già "trasferiti nel Regno di Cristo" e che la nostra vita sulla terra è divenuta una prova del Cielo da offrire al mondo. Il frutto della Pasqua non può essere che la missione bagnata dal martirio, che raggiunge ogni uomo pellegrino che vaga triste perché non riesce a vedere il Cielo nella terra su cui posa i piedi. La nostra missione, che è camminare accanto a ogni persona annunciando con zelo il Vangelo, perché Cristo faccia "ardere nel loro cuore" il fuoco della speranza.
QUI TANTI APPROFONDIMENTI
L'ANNUNCIO |
Nello stesso primo giorno della settimana, due discepoli di Gesù erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Èmmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.
Ed egli disse loro: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.
E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”.
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Dal Vangelo secondo Luca 24,13-35)
Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele... La Pasqua, Cristo nostra Pasqua, giunge in questo cammino a ritroso, sui passi che ripercorrono il nostro antico andare dietro di Lui, nel ricordo che si fa ogni giorno, ogni istante di più, struggimento, delusione e rimpianto. Come quando sfogliamo le foto di qualcosa di bello che non è più, i luoghi, i sorrisi, e quel volto che ci aveva rapito il cuore, quel sorriso, quell'inconfondibile tenerezza che ci aveva scossi e mossi a fissare tutto noi stessi in Lui; pensieri, corpo, cuore in uno Shemà innamorato, totalizzante, quel tutto che aveva afferrato tutto e che ora non è più. Il cammino dei due discepoli di Emmaus è il cammino dell'amore deluso, perché la speranza è sempre frutto della felicità indomita dell'amore. E' l'amore che ha spinto Maria Maddalena ad incollarsi piangente dinanzi alla tomba del suo Signore. E' l'amore strozzato, il compimento assaporato e strappato via, che inchioda i due di Emmaus ad un ricordo colmo di nostalgia. La tristezza stampata sul loro volto, la tristezza che San Tommaso definisce come l'attesa di un bene assente. Assente Cristo, tutto diviene triste.
Maria Zambrano scrisse che l’amore "trascende sempre, la sua promessa indecifrabile squalifica ogni raggiungimento, ogni realizzazione... L’azione dell’amore, il suo carattere di agente divino nell’uomo, si riconosce soprattutto da quell’affinamento dell’essere che lo patisce e lo sopporta. E anche da uno spostamento del centro di gravità dell’uomo. Perché essere uomini significa essere stabili, significa pesare, pesare su qualcosa. L’amore provoca non la diminuzione bensì la scomparsa di quella gravità… Il centro di gravità della persona si è trasferito alla prima persona amata e, nel momento in cui la passione svanisce, resterà quel movimento, il più difficile, dello stare “fuori di sé”… Vivere fuori di sé per vivere oltre se stessi. Vivere disposti al volo, pronti a qualunque partenza. È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente" (L’uomo e il Divino). E' proprio questa l'esperienza dei due discepoli sul cammino di Emmaus, un percorso duro, quello che conduce alla scomparsa della gravità, del fondamento umano che ci fa familiare la vita, che ci concede di gestire gli affetti, il lavoro, in un recinto che garantisca, senza sussulti, l'esistenza. L'incontro con Gesù aveva sconvolto la mappa faticosamente disegnata, nella quale ritrovare ogni cosa al suo posto, indirizzi certi dove traghettare i giorni. La chiamata di Gesù aveva raggiunto i discepoli nella loro esistenza reale, e quell'irresistibile sguardo d'amore li aveva attirati in un esodo inaspettato verso la promessa indecifrabile che squalifica, rende piccola e quasi meschina ogni altra realizzazione; Gesù aveva svelato la friabilità d'ogni altra speranza; il suo amore aveva, irrevocabilmente, messo a nudo l'inconsistenza di tutto quanto non fosse Lui o in Lui, di ogni pensiero e affetto che non scaturisse da Lui. Quella chiamata li aveva segnati e santificati, messi a parte per un altro centro di gravità.
E ora i due di Emmaus, immagine d'ogni discepolo, stavano patendo la purificazione decisiva, quello che passa per la scomparsa dell'amato stesso, dell'origine di quella svolta così travolgente che aveva segnato l'inizio della sequela. Era svanita la passione, si doveva compiere quel volo al di fuori di se stessi, la stessa esperienza della Maddalena sulla soglia del sepolcro. Sulla strada verso Emmaus i due discepoli, immagine della Chiesa e di ciascuno di noi, avevano intrapreso, inconsapevolmente, il movimento più difficile, quello dello stare fuori di sé, l'attitudine che volge l'uomo nella sua interezza verso l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente.
Con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. I discepoli si trovano ancora nel sepolcro, in quel lasso di tempo dove avviene la purificazione decisiva e la sofferenza giunta al suo apice lascia spazio alla morte, all'abbandono di ogni speranza, allo sfinimento impotente della carne. Sì, il passo decisivo doveva attraversare la delusione più cocente, doveva essere sottratto tutto, anche Lui! I due discepoli si trovano in quell'anfratto dell'esistenza che è il Sabato Santo, il sepolcro che avvolge ogni certezza acquisita, lo svuotamento di ogni umana speranza. Il sepolcro, seno fecondo dove è gestata una vita nuova, viscere benedette dove il seme dell'amore immortale purifica ogni passione, il dolore che brucia ogni residuo dell'illusione.
Paul Claudel scriveva che "tutta la sofferenza che c'è nel mondo non è la sofferenza dell’agonia, ma il dolore del parto". Il dolore acuto che percuoteva il petto dei discepoli era dunque il dolore del parto, la sofferenza di una travaglio che conduce a un amore nuovo, al compimento di quello che l'ardere del nostro cuore realmente desidera. Nel "discutere" dei discepoli di Emmaus scopriamo la nostra incapacità di dare un senso agli eventi di dolore e fallimento della nostra vita, l'impossibilità di accogliere ciò che trascende la nostra ragione, la difficoltà di definire e accogliere in esso un amore che brucia le scorie dell'egoismo, dell'autocompiacimento, della consolazione. Dietro a tante, forse a tutte, le nostre discussioni, ai nostri discorsi, alle nostre interminabili ricerche di verità e di soluzioni, dietro ai sofismi e alle indagini circa i responsabili dei mali che ci affliggono e deturpano il mondo, dietro alla quasi totalità dei nostri pensieri e delle nostre parole vi è una speranza delusa. Meglio sarebbe dire una speranza buttata.
Come per i discepoli, è Cristo la nostra speranza, l'incontro con Lui ci ha stregati. Lo abbiamo seguito, ma non perché abbiamo visto dei segni, semplicemente perché abbiamo mangiato il pane e ci siamo saziati, riempiendo il vuoto che umilia la carne. Ma il sopraggiungere della Croce, la deposizione di quello stesso pane nel sepolcro, il suo permanere in quell'oscurità priva di vita, ha fatto saltare gli schemi, quel pane che ci aveva saziati è divenuto un pane inaccettabile, un "discorso duro" da mandar giù. Abbiamo sperato in Gesù, ma non in Gesù crocifisso. Per noi, la gloria che attendiamo e speriamo, per essere proprio quella che i nostri cuori carnali desiderano, deve eludere la croce. Cancellare i problemi. Eliminare i fallimenti, le solitudini, la maggior parte di quel che ci tocca vivere ogni giorno. E discutiamo, litighiamo, ci appassioniamo, indaghiamo, scartavetriamo ogni angolo dell'esistenza mentre gli occhi guardano e non vedono, inchiodati alla maledizione di "chi confida nell'uomo e nella carne", di colui che "quando viene il bene non lo può vedere". Viene il Signore e non lo riconosciamo, la carne desidera vedere altro, e neanche può sospettare qualcosa che non solo compia i suoi angusti desideri, ma che li superi, li trascenda e apra orizzonti vasti come l'infinito. Anche la predicazione non è sufficiente, "l'annuncio delle donne che hanno visto gli angeli e il sepolcro vuoto", troppo deboli gli indizi per chi aveva "dimenticato e non compreso le parole dei profeti e del Signore stesso", "quel parlare era rimasto oscuro". Neanche l'annuncio di Pietro e di Giovanni corsi al sepolcro erano bastati: Lui non l'hanno visto, perché la carne vuole la carne, la speranza di libertà che portiamo dentro vuole vedere realizzarsi quella, di altro non è capace, non le serve.
Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Gesù è lì, accanto ai discepoli come a noi. Ci parla, ci pone domande, ci cerca. Ma noi, dove siamo? Dove son perdute le nostre ore, tra angosce e mormorazioni? Quali speranze hanno fagocitato la nostra vita facendone un'unica, interminabile disputa con tutti e su tutto? La nostra esistenza, una campagna elettorale permanente, sulla via che fugge da Gerusalemme. Gesù ci appare come l'unico "così estraneo ai nostri pensieri da non sapere quel che è successo". Questo è quel che pensiamo di Lui, un estraneo ai nostri bisogni, alle nostre lacrime, alle nostre speranze. Certo, probabilmente non bestemmiamo, preghiamo e andiamo in Chiesa, ma il cuore è avariato, spera male ed è strozzato nella delusione.
Ma Gesù non è lontano, proprio quando non lo riconosciamo e la fede fa acqua, il suo amore infinito lo spinge sino al bordo della nostra vita, e Lui sì che ci riconosce. Lui sì che conosce quello che si agita nei nostri cuori. Lui intercetta con uno sguardo di mite misericordia i nostri occhi tristi. Gesù sa quello che gli è successo! "Stolti e tardi di cuore", non abbiamo compreso il cuore della nostra vita raggiunta da Cristo, come i due di Emmaus "non avevano compreso il senso profondo delle Scritture": gli eventi occorsi a Gerusalemme nei giorni più santi della storia, quelli che hanno infranto la loro speranza, riguardavano Lui perché riguardavano loro! Tutto era accaduto per loro! Gesù non era "così forestiero in Gerusalemme" da non sapere, era molto di più, era Lui il "profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo" ucciso sulla Croce! Era Lui che, proprio nella morte e nella discesa nel sepolcro si era fatto il più prossimo a loro, sino a discendere nell'abisso più profondo della loro speranza infranta. Era apparso lì in quell'istante con carne e parola, ma non aveva smesso un istante di essere con loro, a camminarvi accanto, il più familiare di tutti. No, Gesù non è un estraneo, Gesù è dentro ogni avvenimento della storia, nei campi di concentramento e nelle camere a gas, nei sussulti della terra terremotata e sommersa dagli tsunami, laddove si abortiscono bambini innocenti, nella terra insanguinata dalla guerra, negli ospizi della solitudine, ovunque si sopprimano vite che per il mondo non hanno più nulla da dire, laddove i bambini son violati, e donne stuprate, e ovunque la violenza e l'ingiustizia, la terribile banalità del male gonfia il mondo di dolore; Gesù è nelle nostre case, negli uffici e nelle scuole, negli ospedali e negli ingorghi. Gesù è nelle ansie e nelle difficoltà del matrimonio, nella fragilità dei figli, nel timore del fidanzamento, nella fatica del lavoro e dello studio, nella stanchezza della malattia. Gesù è al centro di ogni Gerusalemme disseminata nella storia di ogni uomo, dove "i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso", per salire al Golgota, discendere nel sepolcro e risorgere vittorioso. Gesù è con noi, con ogni uomo, sempre.
E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Come ai due di Emmaus, ci annuncia il Vangelo, ci parla della Storia d'amore di Dio con il suo popolo, ci ricorda la fedeltà, l'alleanza, le profezie. Ci apre il cuore alle Scritture, svelando il profondo del Suo proprio cuore: Lui doveva soffrire, doveva morire, non poteva far altro che amare di quell'amore assoluto, infinito, che supera le barriere della morte e della carne. L'amore sino alla fine. Speriamo male perché non capiamo di sperare il suo amore credendo di sperare altro, soluzioni, successi affettivi, lavorativi, economici, e Gesù ad esaudire, magari spruzzandoci su qualche goccia di acqua benedetta. Mentre in ogni nostra speranza è inscritto il Suo amore, basta riconoscerlo. E sapere di sperarlo. Abbiamo ricordi ma non memoria, ed essi si fanno nostalgia, laddove il memoriale, invece, aprirebbe alla speranza, come è accaduto alle donne accostatesi al sepolcro, come poi anche ai due di Emmaus, per incontrarsi con "la novità di Dio: Gesù è risorto, è il Vivente!... E i due uomini in abito sfolgorante introducono un verbo fondamentale: «Ricordatevi come vi parlò, quando era ancora in Galilea… Ed esse si ricordarono delle sue parole» (Lc 24,6.8). E’ l’invito a fare memoria dell’incontro con Gesù, delle sue parole, dei suoi gesti, della sua vita; ed è proprio questo ricordare con amore l’esperienza con il Maestro che conduce le donne a superare ogni timore e a portare l’annuncio della Risurrezione agli Apostoli e a tutti gli altri. Fare memoria di quello che Dio ha fatto e fa per me, per noi, fare memoria del cammino percorso; e questo spalanca il cuore alla speranza per il futuro. Impariamo a fare memoria di quello che Dio ha fatto nella nostra vita!" (Papa Francesco, Omelia nella Veglia Pasquale, 30 marzo 2013). Purtroppo, schiavi delle passioni, noi abbiamo ricordi ma non memoria, e questi si fanno sempre nostalgia, mentre il memoriale, invece, aprirebbe alla speranza. Per questo la Pasqua e ogni eucarestia inizia sempre con il canto delle opere di Dio in un memoriale che accoglie il compimento del suo amore nel presente della celebrazione. Così siamo chiamati a vivere, in un memoriale che non ha fine, che illumina ogni istante e ogni relazione, assorbendo la nostra storia nel compimento della volontà di Dio.
Un personaggio di un film di Bergman, il sacrestano di Luci d’inverno, invita il pastore in crisi di fede a fissare la sofferenza di Cristo: «Pensi al Getsemani, signor pastore. Tutti i discepoli si erano addormentati. Non avevano capito nulla. Ma non era ancora il peggio. Quando il Cristo fu inchiodato sulla croce e vi rimase, tormentato dalle sofferenze, esclamò: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Il Cristo fu preso da un grande dubbio nei momenti che precedettero la sua morte. Dovette essere quella la più crudele delle sue sofferenze. Voglio dire il silenzio di Dio». In quel silenzio Gesù si era fatto nostro compagno di viaggio, in quella mancanza di speranza, in quella disillusione, in quell'abbandono, sulla via verso Emmaus.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Per questo Gesù si fa presente in Parola e carne, nella Chiesa, nella predicazione e nei sacramenti, si mostra vivo come nostro compagno di viaggio, per educarci a guardare, per insegnarci a fare memoria e cominciare a sperare. Il suo amore che scaturisce dalle sue parole ci apre gli occhi. Il suo corpo donato ci svela l'oggetto vero del desiderio nostro più profondo: saziarci di Lui, mangiare del Suo amore deposto laddove noi non vediamo amore alcuno, nell'abbandono di ogni speranza. Conoscere questo amore e in esso riposare. Il Pane spezzato diviene allora il segno che sino ad allora eravamo incapaci di decifrare, il segno luminoso nell'oscurità di ogni altro segno. E' laddove dove tutto è fallito e nulla può più saziare che quel Pane spezzato diviene segno e significato, Gesù Cristo stesso, il Pane che non perisce. Dove tutto si corrompe, l'incorruttibile Pane del Cielo diviene l'unica Verità, incontestabile perché deposta proprio laddove tutte le altre presunte verità si sono rivelate menzogne.
Così, sorge nei discepoli, al limite estremo della delusione, la memoria destata da quella sua presenza fatta parola, annuncio e poi pane. Sorge lì, nell'abisso del dolore, il desiderio autentico, e il cuore spicca il volo decisivo: "resta con noi!" Resta nella nostra notte, vogliamo il Pane capace di saziare la notte, per vivere nella notte del dolore, del nulla, della solitudine, della paura. Vogliamo il pane della Vita nella morte. E così imparare a sperare, in tutto, niente altro che Lui. E riconoscere che tutto, anche i dolori, le angosce, i fallimenti, i tradimenti, le malattie, le ingiustizie disseminate nella nostra vita e nella storia, che proprio tutto, in ogni istante, ci dona e consegna Lui, il Pane sostanza quotidiana, la volontà di Dio compiuta perché anche noi la si possa compiere. Dire Amen nel ricevere il suo Corpo significa allora accogliere, con la bandiera bianca di chi si è arreso, l'unica autentica possibilità offerta alla nostra vita: entrare con Lui nella morte che ci attende, nella volontà del Padre che è la Pasqua di liberazione, per risorgere ad una vita nuova, trasfigurata, purificata da ogni concupiscenza. "Amen", "è certo e degno di fede" il tuo amore, in questo pane è seminato l'alimento della volontà di Dio compiuta e offerta perché, cibandocene, possiamo sperimentare il mistero di un amore che supera la morte, e gustare la sua vita che assorbe la nostra nel compimento gratuito del suo mistero pasquale. In tutto Lui è entrato e ne è uscito vittorioso. Sì, ogni momento della nostra vita è pieno di Lui, del suo amore, e vivere pienamente non è altro che riconoscerlo, di fermarsi con Lui, di saziarsene.
Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture? Ecco la notizia meravigliosa del Vangelo di oggi. Il nostro cuore arde e non ce ne rendiano conto. Tutto di noi spera il Suo amore e non lo sappiamo. Per questo Lui si avvicina, cammina con noi, ci seduce con la sua Parola e ci sospinge a desiderare che resti con noi, che la predicazione che ci aveva arso il cuore si faccia qualcosa di più, diventi carne, vita nella nostra vita. Lui accende il desiderio, ed è l'opera della stoltezza della predicazione della Chiesa intrisa di Spirito Santo, della stessa presenza del Signore risorto. E Lui, dopo essersi fatto breccia nei cuori come il desiderato, si fa desiderio appagato, entra con noi nella nostra notte, e ci apre gli occhi su quello che Lui, da sempre, ha seminato in noi. Il pane spezzato dischiude i nostri occhi sul Suo volto, perchè la nostra speranza ad esso si rivolga, e non rimanga delusa. Ogni giorno. Come recita il verso del Paradiso: «Già non attendere’ io tua dimanda,/ s’io m’intuassi, come tu t’immii» (IX,80-81); Giussani commentava: «Una frase potente, strapotente, tutta quanta nata dalla frase di san Paolo: “Vivo, non io; sei Tu che vivi in me”. Questa è la grande norma… “intuarci”, renderci “tu”, così come Egli è diventato nostro, come Egli è diventato uomo, è diventato te, perché chiamandoti è diventato te… Tu accetti e desideri di amarlo: da’ te stesso per lui» (Le mie letture). La vita consegnata a Lui, vita nella Vita, pane nel Pane, in una relazione pura, celeste, dove la sua stessa assenza, il suo sparire dalla vista si traduce in uno zelo e un ardore che bruciano le distanze, la carne, e abbraccia il mondo. La sua assenza diviene così presenza ancor più intima, in un amore che spinge e urge ad annunciarlo; una conoscenza nuova, un'intimità che apre ad un amore infinito, un desiderio di salvezza che raggiunga ogni uomo, un "guai a me se non annunciassi il Vangelo" che pervade ogni istante, in un dono e una consegna di se stessi che ci fa, ogni istante, più intimi all'Amato. E' il paradosso di Emmaus, l'assenza diviene la presenza più autentica e colmante, traboccante, al punto di divenire un fiume in piena che tracima, e nutre, e feconda, e sazia il mondo. Perdere la vita è ritrovarla, perdere Cristo dalla vista carnale è ritrovarlo vivo e più intimo che mai nell'annuncio del Vangelo, nel dimenticare se stessi, nell'amore che ci ha colmati ben oltre ogni limite. Così, in Cristo, perdere lungo la vita per gli eventi, anche per gli stessi peccati, la relazione schiacciata nella sola carne con il coniuge, con i figli, il fidanzato o l'amico, è ritrovarla nuova, purificata, libera: perdere l'egoismo che fa dell'altro la mia speranza per diventare io speranza per lui, testimone e annunciatore della parola e carne risorta di Cristo cui possa consegnare la propria vita.
E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme. Correre, senza perdere un istante, come Maria un istante dopo aver ricevuto l'annuncio dell'angelo, verso il mondo, a deporre nel sepolcro di questa generazione il seme della Vita che non muore, Cristo risorto unica speranza. Correre senza indugio ad incontrare ogni uomo pellegrino senza meta, triste per l'attesa di un bene assente, di un bene per la propria vita che non vede da nessuna parte e che si fabbrica in illusioni moralistiche o libertine. Come diceva don Giussani al Sinodo del 1987, "Ciò che manca non è tanto la ripetizione verbale dell'annuncio quanto l'esperienza di un incontro". Solo chi, come i discepoli sulla strada di Emmaus, ha incontrato Cristo vivo e si è lasciato attrarre da Lui sino a vivere la sua stessa vita, può percorrere le strade delle infinite Emmaus deluse di questa generazione, farsi compagno di viaggio dell'infinita schiera di tristi e delusi viandanti, e innescare il fuoco della speranza nei loro cuori disperati.
APPROFONDIMENTI
Ratzinger - Benedetto XVI. Catechesi sui discepoli di Emmaus
Ratzinger - Benedetto XVI. "Noi speravamo".... Leggere l'enciclica "Spe salvi" per meditare e approfondire il Vangelo
Ratzinger - Benedetto XVI. La Resurrezione è il fatto centrale della nostra fede, l'esempio dei discepoli di Emmaus
Don Divo Barsotti Apparizione ai due discepoli di Emmaus
P. R. Cantalamessa: la Parola di Dio è luce, incoraggiamento e vita
P. R. Cantalamessa: E' RISORTO IN VERITA'. Commento per la III domenica di Pasqua, anno A
P. Cantalamessa. Discepoli di Emmaus ed eucarestia.
P. R. Cantalamessa: Emmaus, una sola fede: Eucarestia e carità
Emmaus "icona" della lectio divina
G. Ravasi. GESU' DI EMMAUS
Giovanni Paolo II L'EUCARISTIA MISTERO DI LUCE NEL VANGELO DI EMMAUS
Giovanni Paolo II. Omelie per la III domenica di Pasqua anno A
C. Caffarra. Omelie sulla III domenica di Pasqua
Sulla Strada di Emmaus. Trovare la chiave che apre il significato delle Scritture.
Carlo Maria Martini, Partenza da Emmaus
I DISCEPOLI DI EMMAUS. Meditazioni di Eugenio Pramotton
COMMENTI PATRISTICI
Sant' Agostino. I due discepoli di Emmaus, uomini di fede debole.
Sant' Agostino. La fede dei discepoli di Emmaus e la fede di Pietro.
ARTE E LITURGIA
I discepoli di Emmaus. Lettura spirituale e teologica dell'opera di Duccio da Boninsegna, I pellegrini di Emmaus, Siena
TEOLOGIA
J. Galot. Il sepolcro vuoto: Da piccoli indizi, lo stupore della fede
Catechesi di Giovanni Paolo II sulla Resurrezione
J. Ratzinger. La fede nella Risurrezione
Paul O’Callaghan. Resurrezione. Teologia
MISTERO PASQUALE
Giovanni Paolo II:L’amore misericordioso di Dio si rivela pienamente e definitivamente nel Mistero pasquale.
Paolo VI. Il Mistero Pasquale
H. U. Von Balthasar. Mysterium Paschale. La Consegna
J. Ratzinger. La fede nella Risurrezione
J Jeremias La Pasqua
Mons. Caffarra. Testi sulla Pasqua
La pasqua dei primi secoli
Sant''Agostino. "Fides christianorum resurrectio Christi est"
Catechesi di Giovanni Paolo II sulla Resurrezione
Meditazione di Don Divo Barsotti sulla Pasqua
Ignace DE LA POTTERIE. Testi sulla Risurrezione di Gesù in Giovanni
La Pasqua dell''ebreo GesùI giorni della Pasqua
J Jeremias La Pasqua
Ratzinger - Benedetto XVI. Meditazione sulla La Pasqua
Tutti i passi della storia varcano il sepolcro vuoto
Meditazione di Don Divo Barsotti sulla Pasqua
Mons. Caffarra. Testi sulla Pasqua
J. Galot. Il sepolcro vuoto: Da piccoli indizi, lo stupore della fede
LA TOMBA VUOTA E LA SINDONE DI TORINO
Presenza di Maria nel mistero pasquale
tomba vuota e panni sepolcrali
Padre Raniero Cantalamessa. La storicità della risurrezione di Cristo
Sant''Agostino. "Fides christianorum resurrectio Christi est"Marc Chagall. Il mistero della Pasqua
A. Socci. Ipotesi su Gesù e la sua resurrezione.
Don Giussani: Cristo contro il nulla
Paul O’Callaghan. Resurrezione. Teologia
LE APPARIZIONI «UFFICIALI» DEL RISORTO AL GRUPPO APOSTOLICO (GV 20,19-31)
αποφθεγμα Apoftegma
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