Martedì della IX settimana del Tempo Ordinario




Il sangue di Cristo purifica in noi l'immagine del Padre perché possa risplendere nell'amore





αποφθεγμα Apoftegma


Siamo tutti in pericolo di vivere 
come se Dio non esistesse,
ma Dio ha mille modi, 
per ognuno ha il suo di farsi presente nella nostra anima,
di mostrare che ci conosce e ci ama
e vuol farci attenti a quei segni coi quali Dio ci tocca.

Benedetto XVI


Ahi le tasse... Chi di noi non si scontra con il problema delle tasse? Certo, molte di esse sono davvero ingiuste, ne parla con chiarezza la Dottrina sociale della Chiesa. Ma nella domanda che sorge dalla bocca di alcuni "farisei ed erodiani" si sente il sapore rancido dell'ipocrisia, mentre la trappola posta a Gesù è la stessa che il mondo e il demonio ci mette sempre davanti... Le tasse, infatti, sono un'infallibile liquido di contrasto iniettato nel nostro intimo. Non c'entra nulla l'onestà. C'entra la reazione che abbiamo di fronte all'obbligo di pagare una qualsiasi tassa, una multa o la quota condominiale. In fondo le sentiamo tutte come un'ingiustizia, e sale l'ira e la mormorazione, e perdiamo la pace. E sapete perché? Perché il mondo pone "ipocritamente" l'economia al centro dello sviluppo di una società, di una nazione e dell'individuo, facendo del sistema di tassazione la madre di tutte le felicità o infelicità, e nella questione del loro pagamento l'indice con cui giudicare moralmente le persone. Attenzione fratelli, perché nella valanga di notizie economiche che aprono i telegiornali e nell'indignazione feroce verso gli evasori fiscali, si nasconde la stessa "ipocrisia" che c'è in noi. Ehi, ehi, che dici? Ti metti a far politica? Vuoi dire che non pagare le tasse non è un peccato grave? No, sto solo dicendo che quando si parla e discute di "tasse", nove volte su dieci c'è "l'ipocrisia" che denuncia Gesù. "Ipocrita", infatti, è colui che vive una doppiezza di fondo, e fa di tutto per apparire per quello che non è. La domanda di quei "farisei" ed "erodiani" è "ipocrita" perché falsifica la realtà del loro cuore. Innanzitutto perché è posta "per coglierlo in fallo nel discorso". E poi perché, parafrasando la risposta di Gesù, scopriamo che essi "avevano dato a Cesare quello che è di Dio e a Dio quello che è di Cesare". E' questo quello che scopre e rivela Gesù. Proprio usando come trappola la questione delle tasse che bruciava sul vivo ogni ebreo che si sentiva vessato ingiustamente dai romani, rivelano che il loro cuore era avvelenato. Esattamente come accade a noi quando, sollecitati dalle notizie economiche, o quando discutiamo delle spese in famiglia e alla riunione condominiale, ci sentiamo oltremodo coinvolti. Mettila come vuoi, ma il denaro è al centro di tutto anche in noi. Il rapporto che abbiamo con esso, infatti, è l'immagine più fedele di quello che abbiamo con Dio nostro Padre. Se il primo è malato, cioè idolatrico, è perché ne abbiamo uno pessimo con Lui. Il denaro ci rappresenta il potere, la solidità, la forza, il prestigio, l'autorità. Esso significa autonomia, certezze, libertà, affetto e, spesso, amore. Non illudiamoci, il denaro è ben ancorato nei nostri cuori, e "l'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali". Per questo esso rivela la nostra ipocrisia: ci professiamo cristiani e figli di Dio, mentre parliamo e ci comportiamo da orfani, trasmettendo ai nostri figli e ai lontani dalla Chiesa una fede avariata che si è inchinata a mammona, tipica di chi adora il vitello d'oro. Portiamo in noi inscritta l'immagine celeste del Padre e viviamo come se Egli non esistesse e non provvedesse alla nostra vita. Questa è la grande "ipocrisia" madre di tutte le altre più o meno meschine con cui cerchiamo di tappezzare la nostra esistenza. Madre soprattutto di quella con cui ci avviciniamo a Cristo per "tentarlo", fingendo cioè di pregare perché ci spieghi cosa fare di fronte alle ingiustizie, mentre, nel cuore attaccato al denaro, abbiamo già deciso cosa sia "lecito" fare.


Ma anche oggi Gesù ci annuncia una buona notizia. Proprio perché è "veritiero, non si cura di nessuno" e "non guarda in faccia" alla nostra ipocrisia, ci "insegna la via di Dio secondo verità". E la prima verità è che il “tentatore”, il demonio ha usurpato il posto di nostro Padre. Per questo Gesù, “conoscendo la nostra ipocrisia”, ci chiede oggi di "mostrargli" la "moneta" che prendiamo a pretesto per "tentarlo" e "coglierlo in fallo"; ci dice cioè di "fargli vedere" la nostra vita di oggi e ci chiede: "di chi è l'immagine che vi è impressa, e l'iscrizione?", che è come dire: "a chi appartieni, a chi obbedisci, quali criteri stai servendo?". Fratelli, accettiamolo, seguiamo Cesare perché ci siamo "consegnati" al mondo, alla carne e al demonio. Esattamente come è avvenuto durante il processo a Gesù, quando è stato "consegnato" a Pilato che, nel nome di Cesare, ha approvato la condanna a morte decisa dal Sinedrio. Pensate a che contraddizione e schizofrenia ci ha spinto il demonio: ci siamo alleati con il mondo e il suo Cesare che ci tengono schiavi pur di condannare il "Giusto" che ci annunciava l'unica e autentica libertà; abbiamo scelto che ci fosse graziato il Barabba giustiziere e assassino che è in noi per giustiziare in Gesù l'unica forma "lecita" di usare del denaro, per rifiutare cioè la sola via per realizzare nella verità dell'amore la nostra vita. E Gesù, la moneta autentica che recava l'immagine perfetta del Padre, ha lasciato che l'infamia delle nostre accuse false contro Dio lo “consegnasse” a Cesare e alla Croce; ha lasciato cioè che, nel suo corpo, l'immagine di Dio scritta in ogni uomo perdesse ogni sembianza d'uomo e figlio di Dio, sino a diventare come uno davanti al quale ci si copre la faccia. Ma proprio lì, nel momento in cui sperimentava l'abbandono del Padre, la cui immagine era completamente scomparsa, il suo sangue stava lavando definitivamente l'immagine falsa del mondo e di satana che in ciascuno di noi si era sovrapposta a quella originaria. Il suo sangue ha lavato il fango e il peccato e ha ridato lucentezza a quello che in noi sembrava perduto, ricreandoci come figli somiglianti all'immagine del Padre. Coraggio fratelli, lasciamo che anche oggi il sangue di Cristo giunga a noi attraverso la Chiesa e lavi l’ipocrisia e ci faccia vivere come figli di Dio.  Perdonati e risuscitati con Lui possiamo oggi dare a Dio quello che gli appartiene, ovvero tutta la nostra vita. Ogni istante, ogni pensiero, parola, gesto. I beni che ci affida per amare, i doni e i carismi con cui compiere la missione unica alla quale il Padre ci chiama. Anche le sofferenze, i fallimenti, le umiliazioni, le ingiustizie, le malattie, tutto quello che abbiamo ritenuto "illecito" e preso a pretesto per ribellarci contro Dio. Tutto purificato perché ogni istante della nostra esistenza divenga, nell'amore, un segno della bellezza nella quale ogni uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, "la bellezza che salverà il mondo". Altro che denaro, tasse, altro che chiacchiere e talk-shows inconcludenti, la vera e unica notizia è che non siamo più orfani ma figli di un Dio che ci dà la vita in abbondanza nella quale possiamo donarci a Lui e ai fratelli.

    


QUI IL COMMENTO COMPLETO






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Marco 12,13-17. 

Gli mandarono però alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso.
E venuti, quelli gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. E' lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: «Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda».
Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare».
Gesù disse loro: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». E rimasero ammirati di lui.





Ahi le tasse... Chi di noi non si scontra con il problema delle tasse? Certo, molte di esse sono davvero ingiuste, ne parla con chiarezza la Dottrina sociale della Chiesa. Ma nella domanda che sorge dalla bocca di alcuni "farisei ed erodiani" si sente il sapore rancido dell'ipocrisia. Le tasse, infatti, sono un'infallibile liquido di contrasto iniettato nel nostro intimo: quando dobbiamo stilare la dichiarazione dei redditi emerge la verità del nostro cuore. Non c'entra nulla l'onestà. C'entra la reazione che abbiamo di fronte all'obbligo di pagare una qualsiasi tassa, una multa o la quota condominiale. E' sempre una stilettata che ci fa sanguinare il cuore... In fondo le sentiamo tutte come un'ingiustizia, e sale in noi un senso di essere derubati, e di conseguenza l'ira e la mormorazione, lo scontento, e perdiamo la pace. E sapete perché? Perché il mondo pone "ipocritamente"  l'economia al centro dello sviluppo di una società, di una nazione e dell'individuo, sino a fare del sistema di tassazione la madre di tutte le felicità o infelicità, e nella questione del loro pagamento l'indice con cui giudicare moralmente le persone. Attenzione fratelli, perché in tutta questa valanga di notizie economiche che aprono i telegiornali, nell'indignazione feroce verso gli evasori fiscali, si nasconde la stessa "ipocrisia" che c'è in noi. Ehi, ehi, che dici? Ti metti a far politica? Vuoi dire che non pagare le tasse non è un peccato grave? No, sto dicendo che quando si parla e discute di "tasse", nove volte su dieci c'è "l'ipocrisia" che denuncia Gesù: "ipocrita" è colui che vive una doppiezza di fondo, che fa di tutto per apparire per quello che non è. La domanda di quei "farisei" ed "erodiani" che si erano avvicinati a Gesù è "ipocrita" perché falsifica la realtà del loro cuore. Innanzitutto perché è posta "per coglierlo in fallo nel discorso". E poi perché, parafrasando la risposta di Gesù, scopriamo che essi "avevano dato a Cesare quello che è di Dio e a Dio quello che è di Cesare". E' questo quello che scopre e rivela Gesù. Usando come trappola la questione delle tasse che bruciava sul vivo ogni ebreo che si sentiva vessato ingiustamente dai balzelli dei romani, rivelano cioè che il loro cuore era avvelenato. Esattamente come accade a noi quando, sollecitati dalle notizie economiche che ci propongono i media e i politici, o quando discutiamo delle spese in famiglia e alla riunione condominiale, ci sentiamo oltremodo coinvolti, o perché ci adiriamo contro gli evasori alzando il vessillo dell'onestà dietro il quale pretendiamo di poterci accomodare, o perché ci sentiamo, come gli ebrei contemporanei di Gesù, vessati ingiustamente con tasse che ci tolgono il denaro che ci siamo sudati. Sì, mettila come vuoi, ma il denaro è al centro della nostra vita, ed è del denaro che Gesù sta parlando, pur senza nominarlo. Il rapporto che abbiamo con il denaro, infatti, è l'immagine più fedele di quello che abbiamo con Dio nostro Padre. Se il primo è malato, cioè idolatrico, è perché ne abbiamo uno pessimo con Lui. Il denaro è un feticcio che ci rappresenta il potere, la solidità, la forza, il prestigio, l'autorità. Il denaro significa autonomia, certezze, libertà, affetto e, spesso, amore. No non c'entra solo il sesso che si può comprare in mille modi, dai più turpi ai più eleganti. C'entrano le nostre relazioni, per la maggior parte basate e intrecciate su di esso. Non illudiamoci, il denaro è ben ancorato nei nostri cuori, e "l'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali". Per questo, sia quando ci indigniamo contro le tasse inique, sia quando ostentiamo la nostra onestà in contrasto con la disonestà altrui, si manifesta evidente la nostra "ipocrisia" che vorrebbe millantare una falsa libertà dal denaro mentre esso regna sovrano nei nostri cuori. Ed è il segno di un'ipocrisia ben più profonda: ci professiamo cristiani e figli di Dio pontificando ovunque, mentre camminiamo con la sua maschera perché da quando abbiamo accolto il denaro come signore e padrone pensiamo, parliamo e ci comportiamo da orfani. Fratelli, lasciamoci scrutare da questo Vangelo e scopriremo che stiamo vivendo contro natura, e stiamo trasmettendo ai nostri figli e ai lontani dalla Chiesa una fede avariata che si è inchinata a mammona, tipica di chi adora il vitello d'oro. Portiamo in noi inscritta l'immagine celeste del Padre e viviamo come se Egli non esistesse e non provvedesse alla nostra vita. Questa è la grande "ipocrisia" madre di tutte le altre più o meno meschine con cui cerchiamo di tappezzare la nostra esistenza. Madre soprattutto di quella con cui ci avviciniamo a Cristo per "tentarlo", fingendo cioè di pregare perché ci spieghi cosa fare di fronte alle ingiustizie, mentre, nel cuore attaccato al denaro e agli idoli di questo mondo dai quali ci illudiamo di ottenere pace e felicità, abbiamo già deciso cosa sia "lecito" fare del denaro, quando e come pagare le "tasse" a Cesare. E ciò significa cercare di "coglierlo in fallo" per essere autorizzati a fare secondo la nostra ragione avvelenata dal "tentatore" che ci ha ingannato su Dio e sulla nostra storia, ridisegnando così in noi un'immagine falsa di un dio taroccato con i tratti della giustizia carnale. 

Ma anche oggi Gesù ci annuncia una buona notizia. Proprio perché è "veritiero, non si cura di nessuno" e "non guarda in faccia" con timore alla nostra ipocrisie, ci "insegna la via di Dio", la sua volontà per noi "secondo verità". E la prima verità è che il demonio ha usurpato il posto di nostro Padre. E, orfani di quello vero, siamo caduti tra le braccia di quello falso, che si è rivelato nostro nemico e padrone. Allora, quella "moneta" tra le mani di Gesù è l'immagine di tutti noi schiavi del demonio, a cui obbediamo per appellarci a Cesare per uccidere Dio, cioè la sua immagine in noi. Per questo Gesù, "conoscendo la nostra ipocrisia, ci chiede oggi di "mostrargli" la "moneta" che prendiamo a pretesto per "tentarlo" e "coglierlo in fallo"; ci dice cioè di "fargli vedere" la nostra vita di oggi piena di mormorazioni e di peccati e ci chiede: "di chi è l'immagine che vi è impressa, e l'iscrizione?", che è come dire: "a chi appartieni, a chi obbedisci, quali criteri stai servendo?". Fratelli, accettiamolo, seguiamo Cesare perché ci siamo "consegnati" al mondo, alla carne e al demonio. E solo per farci giustizia, per rosicchiare un po' di denaro in più, per sentirci vivi e importanti, amati. Esattamente come è avvenuto durante il processo a Gesù, quando buona parte dei capi insieme a una fetta consistente del popolo lo ha "consegnato" a Pilato che, nel nome di Cesare, ha approvato la condanna a morte decisa dal Sinedrio. Pensate a che contraddizione e schizofrenia ci ha spinto il demonio: ci siamo alleati con il mondo e il suo Cesare che ci tengono schiavi pur di condannare il "Giusto" che ci annunciava l'unica e autentica libertà; abbiamo scelto che ci fosse graziato il Barabba giustiziere e assassino che è in noi per giustiziare in Gesù l'unica forma "lecita" di usare del denaro, per rifiutare cioè la sola via per realizzare nella verità dell'amore la nostra vita. E Gesù, la moneta autentica che recava l'imagine perfetta del Padre, ha lasciato che l'infamia delle nostre accuse false contro la volontà di Dio gli facesse perdere ogni sembianza d'uomo e figlio di Dio, sino a farlo diventare come uno davanti al quale ci si copre la faccia. Ha lasciato che, nel suo corpo, l'immagine di Dio scritta in ogni uomo fosse "consegnata" sino in fondo a Cesare perché l'appendesse alla Croce. Ma proprio lì, nel momento in cui sperimentava l'abbandono del Padre la cui immagine era completamente scomparsa, il suo sangue stava lavando definitivamente l'immagine falsa del mondo e di satana, quella che in ciascuno di noi si era sovrapposta a quella originaria che giaceva nascosta nel suo corpo inchiodato alla Croce. Il suo sangue ha lavato il fango e il peccato e ha ridato lucentezza a quello che in noi sembrava perduto, e ci ha ricreati come figli somiglianti all'immagine dell'unico Padre. Si fratelli, lasciamoci giudicare da questo vangelo, e lasciamo che anche oggi il sangue di Cristo giunga a noi attraverso la Chiesa perché lavi e cancelli sino al fondo del nostro cuore l'ipocrisia. Allora, in Cristo, potremo vivere come figli di Dio; è Lui, infatti, che risorgendo con noi attraverso il perdono dei peccati e il dono della vita nuova, disseppellisce in noi l'immagine che ci ha chiamati alla vita. Crocifissi con Lui possiamo oggi dare a Dio quello che gli appartiene, ovvero tutta la nostra vita. Ogni istante, ogni pensiero, parola, gesto. I beni che ci affida per amare, i doni e i carismi con cui compiere la missione unica alla quale il Padre ci chiama. Anche le sofferenze, i fallimenti, le umiliazioni, le ingiustizie, le malattie, tutto che abbiamo ritenuto "illecito" e preso a pretesto per ribellarci contro Dio. Tutto purificato perché ogni istante della nostra esistenza divenga nell'amore un segno della bellezza nella quale ogni uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, "la bellezza che salverà il mondo". Altro che denaro, tasse, altro che chiacchiere e talk-shows inconcludenti, la vera e unica notizia è che non siamo più orfani ma figli di un Dio che ci dà la vita in abbondanza; per questo la nostra "economia" si fonda sul dono totale di noi stessi: con i conti in rosso di una vita "perduta" per amore quaggiù, ma con un attivo infinito lassù, il guadagno della vita che non muore preparata per noi e per tutti quelli che ci sono affidati.  . 






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