Martedì della XIII settimana del Tempo Ordinario






αποφθεγμα Apoftegma


E in questa vita, la tempesta è quasi continua, 
e la vostra barca sempre sul punto di affondare. 
Tuttavia, non dimenticatevi, io sono qui; 
con me, questa barca è insommergibile! 
Diffidate di tutto, e soprattutto di voi stessi, 
però abbiate in me una fiducia totale che scacci ogni inquietudine.

Charles de Foucauld


La vita è una traversata per "passare all'altra riva", immagine del Cielo, solcando il mare che, spesso, nella Scrittura, è immagine della morte. La vita è, dunque, una Pasqua! Solo nella sua luce acquista senso e pienezza. E  proprio le "tempeste" definiscono la vita della Chiesa, della quale la "barca" è immagine. "tempesta" traduce l'originale greco che, letteralmente, significa “grande sisma”, usato anche nei racconti della crocifissione per il "terremoto" scoppiato alla morte di Gesù. Quella "barca" in mezzo ai marosi è dunque profezia della Croce di Cristo piantata sul Golgota e scossa dal terremoto. Sulla "barca" e sulla Croce le onde e le scosse sismiche sono il segno dello sconvolgimento innescato dal "sonno" di Gesù. Il suo "dormire", infatti, "sveglia" colui che, sino ad allora, aveva riposato tranquillo, sazio di anime. Al sopraggiungere del Signore il demonio si sente scoperto e vulnerabile. Per questo, quella "barca" non doveva arrivare in quel porto; Gadara, infatti, era in piena Decapoli, terra pagana, territorio del nemico. Gli abitanti vi si dedicavano al commercio dei maiali e all'usura. Impuri tra i più impuri, schiavi di satana che Gesù andava ad attaccare. Egli sapeva che Gesù "era venuto prima del tempo a tormentarlo", prima cioè che potesse preparare una controffensiva. Doveva difendersi e impedire a Gesù di compiere la sua missione. Quella "tempesta", dunque, non era come le altre; quel "vento" e quelle "onde" erano i rantoli di gelosia e ira del demonio e di chi ne è ingannato, che vorrebbe far annegare Gesù nella morte. Così è di ogni tempesta che infuria sulla "barca" di Gesù e Pietro, repentina come quelle che scoppiano sul mare di Galilea, e tanto "violenta che la barca si ricopre di onde". All'inizio è una brezza soave, ma poi rapidamente si fa vento gagliardo e le onde si alzano come bastioni insormontabili; infine, ecco le secchiate d'acqua, che una mano invisibile sembra rovesciare dentro la "barca". Così si insinua il demonio. E non basta averne l'esperienza; come Pietro, pur esperto del lago di Tiberiade, non poteva nulla contro l'infuriare della tempesta, neanche noi, pur essendo caduti tante volte nelle lusinghe e trappole del demonio da saperle riconoscere, abbiamo la capacità per resistere quando ci attacca con furia improvvisa. D'altronde, nessuna "tempesta" nella vita di un cristiano è davvero improvvisa: quella "barca" le attira, e proprio per questo Gesù continua a "dormire". La tempesta non lo sorprende; non si sveglia neanche quando la "barca" si riempie d'acqua. Lui aspettava quella tempesta, si era imbarcato per entrarci dentro; era un segno della sua incarnazione e una profezia del suo Mistero Pasquale. Soprattutto, sapeva che l'unico modo per passarci indenni era dormire; sapeva che il demonio vi si nascondeva, come in tutti gli avvenimenti della sua vita, e l'unico modo per compiere la sua missione sarebbe stato "reclinare il capo" sulla Croce per addormentarsi nella morte.

Gesù "dormiva" perché sapeva che per raggiungere Gadara - il mondo pagano dove eri, e sei, tu, dove è tua figlia e il tuo collega, tua nipote e il tuo vicino di banco - per raggiungere ogni uomo e liberarlo dal potere del demonio, doveva lasciare che le onde lo ricoprissero sino a togliergli la vita! Solo allora avrebbe potuto scovare il demonio a casa sua, nel suo quartier generale, e farlo saltare una volta per tutte, e così sterminare la "legione" con i suoi ufficiali e generali, rendendo impotente con la sua morte chi della morte aveva il potere, ovvero satana. Le parole che Egli usa per placare il mare sono, infatti, le stesse usate dagli evangelisti nei racconti degli esorcismi. Le stesse che, nella versione greca della Settanta, presentano il gesto di Yahvè che con l’onnipotenza della sua parola prosciuga le acque del Mar Rosso. Questa era la missione di Gesù, la stessa di Pietro e della Chiesa: "sciogliere" sulla terra quello che Lui ha sciolto per sempre. Gesù rivolge agli apostoli una domanda che potrebbe suonare beffarda: "perché avete paura?". Ma come, stiamo per affondare e tu ci chiedi perché abbiamo paura? Essi, come noi, erano "uomini di poca fede", non avevano compreso nulla di quello che stava accadendo. Perché la "fede" è entrare con Cristo nella tempesta e mettersi a dormire! E', concretamente, addormentarsi con Lui nella morte che ci attende ogni giorno, lasciando che le "onde ci ricoprano", perché - ed è il cuore del cristianesimo che batte nel Mistero Pasquale di Gesù - per "passare all'altra riva" occorre entrare nella tempesta. Per avere la vita in abbondanza bisogna perderla; per vivere bisogna morire. Non a caso "passare" in ebraico si dice HBR, da cui deriva “ebreo”; essi sono i fratelli maggiori, sul cui “passare” dall'Egitto alla Terra Promessa siamo stati innestati: “Dietro Gesù … l’evangelista … desidera che risuoni nelle orecchie dei discepoli il nome di “ebreo”. Desidera che i suoi ascoltatori abbiano l’intelligenza dell’indispensabile coesione della loro vita. Essi debbono attraversare fisicamente, concretamente, il mareAllora l’evangelista forma in greco un verbo nuovo, “diegeiro”, per dire svegliare. Impossibile da tradurre letteralmente, questo verbo ha l’accento ebraico di “passare”. Dunque, i discepoli che sono nella barca di Gesù lo svegliano… Lo chiamano…. E quando si sarà “svegliato sarà passato di là”, e tutte le cose si saranno placate, quando ci sarà la calma, l’evento non finirà lì. La “traversata” continuerà con la domanda di Gesù, alla maniera della Torah… ”Dove sei?”. Gesù dirà: “Uomini di poca fede, perché avete paura?”, Come dire: “Ebrei, dove siete? Avete dimenticato di sentire il vostro nome? Avete dimenticato il vostro nome, la vostra vita?” (M. Vidal). La stessa domanda, oggi, prorompe nella nostra vita: “Perché avete paura?”, "non avete ancora fede"? Di fronte alle "tempeste" che si abbattono su di noi siamo terrorizzati perché siamo senza discernimento; abbiamo perduto la memoria del nostro "nome" e della nostra origine. Come gli apostoli, sopraffatti dalle onde che scuotono la carne facendole lambire la morte, abbiamo dimenticato Chi ci ha "ordinato" di "passare all'altra riva". Il primo attacco del demonio, subdolo e astuto, ci ha centrati in pieno: maestro del rimestare nei ricordi per scombinarli al punto di far perdere il filo di Grazia che li lega, ci ha sottratto il ricordo della nostra chiamata. La nostra vita ha origine, senso e compimento nelle parole con le quali Gesù ci ha chiamato a "passare" con Lui "all'altra riva". Non lo abbiamo scelto noi, probabilmente neanche lo desideravamo. Noi siamo "nel mondo" proprio perché non siamo "del" mondo! L'attitudine degli apostoli nostra emersa nella "barca" è ben descritta da Peguy, amaro e crudo come sempre: "Poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non sono dell’uomo credono di essere di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio". Non amiamo nessuno, per questo abbiamo paura. Come gli apostoli, forse non siamo ancora pronti a morire con Lui. Anche gli apostoli, pur chiamati, avevano bisogno della "fede" per compiere la loro missione! Erano, secondo il greco originale, "oligopistoi": avevano solo un po' di fede, nel senso che era ancora acerba, doveva crescere... Come noi, erano incapaci di riconoscerlo nella tempesta. Senza fede non capiamo che proprio perché "dorme" ci ama come nessuno. "Dorme" e non ferma le guerre. "Dorme" e non guarisce il cancro di mio padre. "Dorme" e non cambia il carattere di mio marito. "Dorme" e non dà un lavoro a mio figlio. "Dorme" perché non mi ama... "Uomo di poca fede", non hai capito nulla! Gesù "amava Lazzaro", eppure si è fermato ancora due giorni dove si trovava senza scendere da lui ammalato, quasi aspettando che l’amico morisse. E quando infatti Lazzaro si “addormenta” Gesù dice ai suoi discepoli di essere felice per loro di non essere stato dall’amico, “affinché possano credere”. E proprio per crescere nella fede e "poter credere" stiamo "nella barca" come nell'utero della Chiesa, e questo è l'importante. Dio è fedele, e ha misericordia di noi, ha pazienza, sa che un giorno, daremo la vita per Cristo e la salvezza degli uomini; come gli apostoli che, rimanendo le stesse identiche persone, una volta pieni di Spirito Santo, invece di impaurirsi, si sono "addormentati" nel martirio! Gesù ci vede nella "barca" con Lui pieni di pura, ma guarda oltre, alle persone alle quali saremo inviati; ci vede tra qualche anno, in quella situazione nella quale daremo testimonianza al vangelo, anche a costo della vita. Per questo oggi Gesù si "desterà" ancora una volta a "sgridare i venti e i mari" perché torni la "bonaccia" nella nostra vita. Alla paura che ci fa sentire "perduti" di fronte alla Croce ascolterà ancora e sempre la nostra preghiera, e calmerà le tempeste: nella Chiesa, durante la gestazione dell'uomo nuovo, ci darà ancora segni della sua risurrezione su cui appoggiare la nostra "fede" che deve crescere, per divenire adulta e farci discernere nella tempesta il risveglio di satana nel campo della missione. 









    






L'ANNUNCIO
 (Dal Vangelo secondo Matteo 8, 23-27)
In quel tempo, essendo Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.
Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!».
Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.










La vita è una traversata per "passare all'altra riva", immagine del Cielo, solcando il mare che, spesso, nella Scrittura, è immagine della morte. La vita è, dunque, una Pasqua! Solo nella sua luce acquista senso e pienezza. Anche e soprattutto quando il mare si increspa violentemente scosso dai venti. Anzi, proprio le "tempeste" definiscono la vita della Chiesa, della quale la "barca" è immagine. E, in essa, la vita di ciascuno di noi suoi figli. E' interessante notare che "tempesta" traduce l'originale greco che, letteralmente, significa “grande sisma”, usato anche nei racconti della crocifissione per il "terremoto" scoppiato alla morte di Gesù. Quella "barca" in mezzo ai marosi è dunque profezia della Croce di Cristo piantata sul Golgota e scossa dal terremoto innescato dal suo spirare per "addormentarsi" nella morte. Sulla "barca" e sulla Croce le onde e le scosse sismiche sono il segno dello sconvolgimento innescato dal "sonno" di Gesù. Il suo "dormire", infatti, "sveglia" colui che, sino ad allora, aveva riposato tranquillo, sazio di anime. Al sopraggiungere del Signore il demonio si sente scoperto e vulnerabile; come Erode all'udire della nascita del Messia Re dei Giudei, sapeva che era finita la pacchia. Quel bambino deposto in una mangiatoia, tanto innocuo da ispirare tenerezza, lo spaventava al punto di fargli ordinare una strage. Un neonato, così piccolo e fragile che se non lo prendi bene potrebbe spezzarsi l'osso del collo, era capace di incutere tanto timore! Un piccolo capace solo di accostare la bocca al seno della madre, saziarsi e dormire, aveva il potere di suscitare una reazione tanto violenta! Proprio come la "tempesta" che aveva colto la "barca" di Gesù e dei suoi apostoli. Quella "barca", infatti, non doveva arrivare in quel porto; si trattava di Gadara, in piena Decapoli, terra pagana, territorio del nemico. Gli abitanti vi si dedicavano al commercio dei maiali e all'usura. Impuri tra i più impuri, ben stretti nelle mani di satana. E Gesù lo andava ad attaccare, per così dire, e lui non poteva restarsene con le mani in mano; era terrorizzato, al colmo della furia, come vedremo nei due indemoniati che Gesù incontrerà appena sbarcato. Il demonio sapeva che Gesù "era venuto prima del tempo a tormentarlo", prima cioè che potesse preparare una controffensiva. Doveva difendersi e impedire a Gesù di compiere la sua missione, che coincideva proprio con la sconfitta definitiva del demonio e della morte. Quella "tempesta", dunque, non era come le altre; quel "vento" e quelle "onde" erano i rantoli di gelosia e ira di Erode che si avventarono sugli innocenti; le catene che legano gli uomini al peccato; erano l'odio e il rancore, il senso di giustizia e vendetta, le vampe di passione e libidine; erano il flagello, le spine, e i chiodi che avrebbero strappato la carne di Cristo, perché il sangue lo "ricoprisse" sino a farlo annegare nella morte. Così è di ogni tempesta che infuria sulla "barca" di Gesù e Pietro, repentina come quelle che scoppiano sul mare di Galilea, e tanto "violenta che la barca si ricopre di onde". All'inizio era una brezza soave, ma poi rapidamente s'è fatto vento gagliardo, il cielo s'è tinto di nero, e le onde si sono rizzate come bastioni insormontabili; infine, ecco le secchiate d'acqua, che una mano invisibile ha cominciato a rovesciare dentro la "barca". Così si insinua il demonio. E non basta averne l'esperienza; come Pietro, pur esperto del lago di Tiberiade, non poteva nulla contro l'infuriare della tempesta, neanche noi, pur essendo caduti tante volte nelle lusinghe e trappole del demonio da saperle riconoscere, abbiamo la capacità per resistere quando ci attacca con furia improvvisa. Eppure, nessuna "tempesta" nella vita di un cristiano è davvero improvvisa: quella "barca" le attira, e proprio per questo Gesù continua a "dormire". La tempesta non lo sorprende; non si sveglia neanche quando la "barca" si riempie d'acqua. Lui aspettava quella tempesta, si era imbarcato per entrarci dentro; era un segno della sua incarnazione e una profezia del suo Mistero Pasquale. Soprattutto, sapeva che l'unico modo per passarci indenni era dormire; sapeva che il demonio vi si nascondeva, come in tutti gli avvenimenti della sua vita, negli incontri con i farisei e i dottori della legge, nella Passione. L'unico modo per compiere la sua missione sarebbe stato "reclinare il capo" sulla Croce per addormentarsi nella morte, come aveva velatamente annunciato allo scriba dell'episodio precedente. Gesù, infatti, "dormiva" perché sapeva che per raggiungere Gadara - che è come dire il mondo pagano dove eri, e sei, tu, dove è tua figlia e il tuo collega, tua nipote e il tuo vicino di banco - per raggiungere ogni uomo e liberarlo dal potere del demonio, doveva lasciare che le onde lo ricoprissero sino a togliergli la vita! Solo allora avrebbe potuto scovare il demonio a casa sua, nel suo quartier generale, e farlo saltare una volta per tutte, e così sterminare la "legione" con i suoi ufficiali e generali, rendendo impotente con la sua morte chi della morte aveva il potere, ovvero satana. Le parole che Egli usa per placare il mare sono, infatti, le stesse usate dagli evangelisti nei racconti degli esorcismi. Le stesse che, nella versione greca della Settanta, presentano il gesto di Yahvè che con l’onnipotenza della sua parola prosciuga le acque del Mar Rosso. Questa era la missione di Gesù, la stessa di Pietro e della Chiesa: "sciogliere" sulla terra quello che Lui ha sciolto per sempre, perché gli uomini possano entrare, liberi, nel Cielo preparato per loro "sin dalla fondazione del mondo". Per questo, quando si sveglia, Gesù rivolge agli apostoli una domanda che potrebbe suonare beffarda: "perché avete paura?". Ma come, stiamo per affondare e tu ci chiedi perché abbiamo paura? Essi, come noi, erano "uomini di poca fede", non avevano compreso nulla di quello che stava accadendo. Perché la "fede" è entrare con Cristo nella tempesta e mettersi a dormire! E', concretamente, addormentarsi con Lui nella morte che ci attende ogni giorno, lasciando che le "onde ci ricoprano", perché - ed è il cuore del cristianesimo che batte nel Mistero Pasquale di Gesù - per "passare all'altra riva" occorre entrare nella tempesta. Per avere la vita in abbondanza bisogna perderla; per vivere bisogna morire. Non a caso "passare" in ebraico si dice HBR, da cui deriva “ebreo”; essi sono i fratelli maggiori, sul cui “passare” dall'Egitto alla Terra Promessa siamo stati innestati: “Dietro Gesù … l’evangelista … desidera che risuoni nelle orecchie dei discepoli il nome di “ebreo”. Desidera che i suoi ascoltatori abbiano l’intelligenza dell’indispensabile coesione della loro vita. Essi debbono attraversare fisicamente, concretamente, il mare. Simultaneamente dovranno forgiare la loro tenuta spirituale per andare avanti. Dire spirituale significa dire il loro respiro del vento di Dio. Qui appunto, c’è tutto: il vento, il mare, il pericolo, le onde marine, la tempesta di vento… Allora l’evangelista forma in greco un verbo nuovo, “diegeiro”, per dire svegliare. Impossibile da tradurre letteralmente, questo verbo ha l’accento ebraico di “passare”. Dunque, i discepoli che sono nella barca di Gesù lo svegliano… Lo chiamano…. E quando si sarà “svegliato sarà passato di là”, e tutte le cose si saranno placate, quando ci sarà la calma, l’evento non finirà lì. La “traversata” continuerà con la domanda di Gesù, alla maniera della Torah… ”Dove sei?”. Gesù dirà: “Uomini di poca fede, perché avete paura?”, Come dire: “Ebrei, dove siete? Avete dimenticato di sentire il vostro nome? Avete dimenticato il vostro nome, la vostra vita?” (M. Vidal). La stessa domanda, oggi, prorompe nella nostra vita: “Perché avete paura?”, "non avete ancora fede"? Di fronte alle "tempeste" che si abbattono su di noi siamo terrorizzati perché siamo senza discernimento; abbiamo perduto la memoria del nostro "nome" e della nostra origine. Come gli apostoli, sopraffatti dalle onde che scuotono la carne facendole lambire la morte, abbiamo dimenticato Chi ci ha "ordinato" di "passare all'altra riva". Il primo attacco del demonio, subdolo e astuto, ci ha centrati in pieno: maestro del rimestare nei ricordi per scombinarli al punto di far perdere il filo di Grazia che li lega, ci ha sottratto il ricordo della nostra chiamata. La nostra vita ha origine, senso e compimento nelle parole con le quali Gesù ci ha chiamato a "passare" con Lui "all'altra riva". Non lo abbiamo scelto noi, probabilmente neanche lo desideravamo. Proprio come gli apostoli, che forse avrebbero preferito restarsene tranquilli a riposare sulla stessa riva... E invece no, su di noi pesa un'elezione misteriosa, che ci lega indissolubilmente alla vita e alla missione di Gesù. Non siamo nella Chiesa per restare fuori dal mondo! Noi siamo "nel mondo" proprio perché non siamo "del" mondo! L'attitudine degli apostoli nostra emersa nella "barca" è ben descritta da Peguy, amaro e crudo come sempre: "Poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non sono dell’uomo credono di essere di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio". Non amiamo nessuno, per questo abbiamo paura. Siamo entrati nella "barca" dimenticando di essere nati e di esistere per "passare" al Cielo, e portare con noi questa generazione. Altrimenti la Chiesa sarebbe uno dei tanti circoli elitari e autoreferenziali, non la "barca" di Cristo. Guardiamoci bene dentro allora, e scopriremo che la "paura" è figlia del nostro egoismo, dell'avidità con cui ci vorremmo saziare degli altri e delle situazioni, dimenticando che ci sono dati per "passare" al Cielo con loro e attraverso di essi. La Chiesa ha un motore invisibile ma indistruttibile, l'amore infinito di Cristo per ogni uomo schiavo del demonio. Per questo le porte dell'inferno non prevarranno su di essa. Se ci siamo dentro, è perché Lui ci ha chiamati, ci ha perdonati, curati, risuscitati e resi partecipi della sua missione; vi siamo saliti per amare oltre la morte, ovvero per "addormentarci" con Cristo. Ma oggi, come gli apostoli, forse non siamo ancora pronti a morire con Lui. Anche gli apostoli, pur chiamati, avevano bisogno della "fede" per compiere la loro missione! Erano, secondo il greco originale, "oligopistoi": avevano solo un po' di fede, nel senso che era ancora acerba, doveva crescere... Non avevano, infatti, ancora ricevuto lo Spirito Santo che li avrebbe guidati alla Verità tutta intera, "ricordando" loro tutte le parole di Gesù, soprattutto quelle con cui li aveva chiamati a "passare all'altra riva", quelle cioè con cui li aveva costituiti suoi apostoli per il mondo, altri se stesso sino ai confini della terra in balia del demonio. Così anche noi abbiamo bisogno di fede! E per riceverla dobbiamo ancora camminare nel seno della Chiesa per scoprire che, se non viviamo da figli di Dio non possiamo partecipare della sua missione! I nostri occhi sono come quelli dei discepoli di Emmaus, incapaci di riconoscerlo nella tempesta. Lo vedono "dormire" e basta; senza fede non capiamo che proprio così ci sta amando, e sta amando ogni uomo. "Dorme" e non ferma le guerre. "Dorme" e non guarisce il cancro di mio padre. "Dorme" e non cambia il carattere di mio marito. "Dorme" e non dà un lavoro a mio figlio. "Dorme" perché non mi ama... "Uomo di poca fede", non hai capito nulla! Gesù "amava Lazzaro", eppure si è fermato ancora due giorni dove si trovava senza scendere da lui ammalato, quasi aspettando che l’amico morisse. E quando infatti Lazzaro si “addormenta” Gesù dice ai suoi discepoli di essere felice per loro di non essere stato dall’amico, “affinché possano credere”. E proprio per crescere nella fede e "poter credere" stiamo "nella barca" come nell'utero della Chiesa, e questo è l'importante. Dio è fedele, e ha misericordia di noi, ha pazienza, sa che un giorno, daremo la vita per Cristo e la salvezza degli uomini; come gli apostoli che, rimanendo le stesse identiche persone, una volta pieni di Spirito Santo, invece di impaurirsi, si sono "addormentati" nel martirio! Gesù ci vede nella "barca" con Lui pieni di pura, ma guarda oltre, alle persone alle quali saremo inviati; ci vede tra qualche anno, in quella situazione nella quale daremo testimonianza al vangelo, anche a costto della vita. Vede noi come vedeva gli apostoli, dodici fringuelli impauriti, ma in quella "barca" vede anche la moltitudine immensa che si salverà grazie alla predicazione e alla testimonianza di quei poveracci, tanto simili a noi. Per questo oggi Gesù si "desterà" ancora una volta a "sgridare i venti e i mari" perché torni la "bonaccia" nella nostra vita. Alla paura che ci fa sentire "perduti" di fronte alla Croce ascolterà ancora e sempre la nostra preghiera, e calmerà le tempeste: nella Chiesa, durante la gestazione dell'uomo nuovo, ci darà ancora segni della sua risurrezione su cui appoggiare la nostra "fede" che deve crescere, per divenire adulta e farci discernere nella tempesta il risveglio di satana nel campo della missione. In virtù di questa fede, da duemila anni, si "addormenta" con Cristo, nonostante le calunnie delle ideologie! Entra, cioè, nella storia, nel martirio e nella sofferenza che suppongono l'annuncio del Vangelo e l'esorcismo del mondo. Siamo chiamati a questa fede, che ci fa aspettare e quasi desiderare, come Cristo la sua Pasqua, i rovesci d'acqua che ci sommergono: anche il licenziamento, anche una malattia, anche le sofferenze di un figlio perduto; essi, infatti, sono il segno che Cristo è vivo in noi e sta distruggendo il demonio. E' certo satana a muovere le acque della nostra vita e di quella di chi ci è accanto e amiamo; ma lo fa perché sa che è giunta la sua fine, non la nostra! Nessuna "barca" costruita con un minimo di perizia è fatta per affondare; a maggior ragione la Chiesa, "costruita" da Gesù con il legno inaffondabile della sua Croce! E così è anche la nostra vita, spinta da Gesù nel mare, ma "assicurata" contro ogni intemperie dalle sue parole. La nostra vita “passa”, infatti, attraverso questo mondo a cui non apparteniamo, e per il quale siamo stranieri e pellegrini; solchiamo "il mare" della morte, ma è per andare all'altra riva. Non è quell'acqua il nostro destino, neanche quando c'è bonaccia. Non lo sono le "onde", anche se ci stanno abbracciando, violente. Quando ciò accade, chi ha fede si mette a "dormire" con Cristo, abbracciando la Croce e le parole che l'hanno chiamato, nella pace della memoria e dei memoriali del suo amore, perché così ha visto Cristo vincere i suoi peccati. E' un'opera impossibile per l'uomo, ma proprio per questo il Signore ci chiama anche oggi ad "addormentarci" nella storia assieme al popolo santo di Dio; in pace, come Lui neonato nella mangiatoia, nell'iconografia orientale non a caso dipinta come un sepolcro; solo così potranno lasciare spazio all'opera di Dio. Allora, gli Erode che ci perseguitano sputeranno certo tutto il loro veleno malefico, ma sarà proprio quello che li ucciderà; sui cristiani, infatti, non recherà alcun danno. Perché è nella debolezza che si manifesta pienamente la potenza di Dio, scriveva San Paolo: è nella prostrazione del Getsemani, nel corpo offerto al flagello, agli sputi, alle ingiurie e alle calunnie, al legno della Croce, nel sonno della morte, che il Padre ha agito con onnipotenza in quell'impotente corpo del suo FiglioE tutti noi siamo il frutto eterno di quel mistero, annunciato in quel sonno di Gesù tra le onde del mare, l'amore infinito che ci addormenta con Lui per liberare dalla morte questa generazione. 



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