Venerdì della IX settimana del Tempo Ordinario


Figli di Davide in Cristo per vivere regnando sul peccato




αποφθεγμα Apoftegma


Questo re che è alla destra di Dio 
e partecipa della sua Signoria, 
non è uno di questi uomini successori di Davide, 
ma solo il nuovo Davide, 
il Figlio di Dio che ha vinto la morte 
e partecipa realmente alla gloria di Dio. 
E' il nostre re, che ci dà anche la vita eterna.

Benedetto XVI



Oggi il Signore ci pone una domanda difficile, e sembra non risponde... Ci chiede che cosa pensiamo di quello che "dicono gli scribi" sul Messia. Ma che razza di domanda ci fai Signore, e proprio all'inizio di una giornata che neanche ti immagini. Mica sono un teologo, e nemmeno un esegeta eh... Che vuoi che interessi di quello che pensavano gli scribi duemila anni fa a me che devo vivere oggi; e poi, scusa, non li hai sconfessati in molte occasioni, definendoli ipocriti? Allora, abbi pazienza, ma ho un sacco di cose da fare. Non avevi proprio nulla di meglio da chiedermi? Sarebbe stato più carino interessarti di come va con mio marito, per esempio... E invece no fratelli, perché tutti siamo chiamati ad essere teologi ed esegeti! Ad ascoltare il "Logos", cioè "Dio" che ci ha "parlato" per mezzo di suo Figlio, e a conoscerlo sempre più profondamente attraverso la Scrittura, "tirando fuori" da essa la vita: "la vera es-egesi estrae dal testo il seme e lo trapianta facendolo fiorire" (G. Ravasi). E la domanda di Gesù ci riguarda proprio in tutti gli aspetti della nostra vita, anche i più marginali; con quel "come mai" ci chiede, infatti, la nostra concreta esperienza di fede, se cioè stiamo sperimentando che Lui è il Figlio di Davide, il Messia inviato dal Padre per salvarci. Ma Gesù ci conosce, e sa che anche noi, come probabilmente buona parte della folla "nel Tempio", la pensiamo come gli scribi. E sa che oggi avremmo fatto volentieri a meno di una domanda del genere, perché ci premono e preoccupano "le cose di quaggiù". Ecco, abbiamo già toccato il cuore della questione posta da Gesù. Gli scribi "dicevano" che il Messia sarebbe stato figlio di Davide secondo una linea rigorosamente geneaologica. Un messia umano insomma che avrebbe ristabilito il Regno di Israele come e meglio di Davide. Senti l'eco di questa visione messianica nel tuo cuore? Anche tu hai un regno insidiato e forse occupato da una potenza straniera, no? La suocera, per esempio, quella sì che è peggio dei Romani...

Ma Gesù ci ama, e per amore ci strattona con quel "come mai": "come mai dici di credere in me, e continui ad affannarti e a perdere la pace per i soldi?". Non è vero che Gesù non risponda agli scribi; la risposta, infatti è contenuta nella domanda, basta conoscere la Scrittura, e amarla, perché altrimenti sì che le domande che Gesù ci pone resteranno senza risposta, e la vita scorrerà senza senso. Dunque dov'è la risposta? Nel Salmo 110 che Gesù cita: "Dice il Signore al mio Signore, siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi". E' proprio questo salmo che contesta la posizione degli scribi e la nostra. Ci dice Gesù: "come possono dire gli scribi che il Messia sia figlio di Davide se Davide stesso gli riconosce una superiorità su di lui?". La Scrittura non può sbagliare e contraddire se stessa. In questo versetto, come del resto in tutto il Salmo, ci dev'essere la soluzione. Ma per trovarla dobbiamo anche noi essere "mossi dallo" stesso "Spirito Santo" che ha ispirato Davide nel comporre il salmo. Ecco il primo problema: Gesù sta dicendo che gli scribi non lo avevano, come probabilmente anche noi, nonostante si applicassero ogni giorno nello studio della Scrittura. Per questo abbiamo bisogno della Chiesa dove ricevere lo Spirito Santo per accostarci umilmente alla Parola di Dio e interpretare alla sua luce ciò che Dio vuol dirci. E che cosa ha ispirato a Davide lo Spirito Santo? Che il Messia sarebbe sì nato dalla sua discendenza, ma sarebbe stato "Signore del mio Signore", cioè anche Figlio di Dio: "Nella traduzione greca dei libri dell'Antico Testamento, il nome ineffabile sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè, YHWH, è reso con Kyrios. Da allora "Signore" diventa il nome più abituale per indicare la stessa divinità del Dio di Israele. Il Nuovo Testamento utilizza in questo senso forte il titolo di «Signore» per il Padre, ma, ed è questa la novità, anche per Gesù riconosciuto così egli stesso come Dio... perché egli è di «natura divina» e perché il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria" (Catechismo della Chiesa Cattolica n 446 ss). Lo ha esaltato dicendo appunto quello che aveva scritto Davide: "siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi". Si tratta di un'immagine del rito di intronizzazione, nella quale, sin dagli inizi, la Chiesa ha riconosciuto l'esaltazione di Gesù: il Padre innalza il Figlio facendolo sedere su un trono alla destra del suo. In comune con il Padre ha lo "sgabello", che in molti passi dell'Antico Testamento appare come "un'immagine applicata all'arca, trono visibile dell'invisibile presenza di Yahwè che amministra la giustizia schiacciando la perversità e il male" (G. Ravasi). Ma "i suoi nemici" sono anche "i nostri", la legione di demoni che ci insidiano. Gli stessi che ha combattuto Davide per intronizzare l'Arca in Gerusalemme e per difendere il Regno. Gesù dunque è "Figlio di Davide" anche perché compie in pienezza quello che nel Re era stato solo adombrato. Gesù, della discendenza di Davide, vincendo ogni nemico, cioè il peccato e la morte, ha introdotto l'Arca nel Santuario, ovvero la sua umanità nella Gerusalemme Celeste alla destra di Dio. E con la sua umanità anche la nostra, come scriveva San Paolo alla comunità di Efeso: "Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati,  da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Ef 2). San Paolo non parla al futuro, ma al passato, dando per certo e compiuto anche in noi ciò che il Salmo 110 profetizzava del Messia. Ma allora, se questo è vero, cambia radicalmente tutta la nostra vita! Fratelli, dalla spesa al cancro terminale, in tutto siamo più che vincitori perché in tutto portiamo il seme di Vita eterna che il Signore ci dona nella sua Chiesa attraverso la Parola e i sacramenti, facendoci così partecipi del trionfo del Messia. Anche noi, rinascendo ogni giorno nel grembo di Maria Madre di Gesù e Madre nostra, diveniamo discendenti di Davide, signori nella nostra vita nel Signore che l’ha riscattata. Ecco dunque "come il figlio di Davide può essere Signore": regnando sulla nostra vita! Allora possiamo rispondere così alla domanda di Gesù: "credo che sei il Figlio di Davide! Credo e per questo ti prego di attirami a te sul tuo trono, sulla Croce, perché anch'io possa regnare con te mettendo a sgabello dei miei piedi gli idoli del mondo". 



QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI



    




L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Marco 12,35-37

Gesù continuava a parlare, insegnando nel tempio: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide? Davide stesso infatti ha detto, mosso dallo Spirito Santo: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi. 
Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?». E la numerosa folla lo ascoltava volentieri.






Oggi il Signore ci pone una domanda difficile, e sembra non rispondere... Ci chiede che cosa pensiamo di quello che "dicono gli scribi" sul Messia. Ma che razza di domanda ci fai Signore, e proprio all'inizio di una giornata che neanche ti immagini. Mica sono un teologo, e nemmeno un esegeta eh... Che vuoi che mi interessi di quello che pensavano gli scribi; e poi, scusa, non li hai sconfessati in molte occasioni, definendoli ipocriti? Allora, abbi pazienza, ma ho un sacco di cose da fare, il lavoro, lo studio, i bambini, guarda che proprio stamattina uno si è svegliato con 39 di febbre, e poi la spesa, quella riunione che non lascia presagire nulla di buono, e la fidanzata che sono giorni che non la capisco. Insomma oggi non avevi proprio nulla di meglio da chiedermi? Sarebbe stato più carino chiedermi di come va con mio marito, per esempio... E invece no fratelli, perché tutti siamo chiamati ad essere teologi ed esegeti! Ad ascoltare il "Logos", cioè "Dio" che ci ha parlato per mezzo di suo Figlio, e a conoscerlo sempre più profondamente attraverso la Scrittura, "tirando fuori" da essa la vita:  "la vera es-egesi estrae dal testo il seme e lo trapianta facendolo fiorire" (G. Ravasi). E la domanda di Gesù ci riguarda in tutti gli aspetti della nostra vita, anche i più marginali, perché con essa ci chiede ragione della nostra fede; con quel "come mai" ci chiede la nostra concreta esperienza di fede, se cioè stiamo sperimentando che Lui è il Figlio di Davide, il Messia inviato dal Padre per salvarci. Ma Gesù ci conosce, e sa che anche noi, come probabilmente buona parte della folla "nel Tempio", la pensiamo come gli scribi. E sa che oggi avremmo fatto volentieri a meno di una domanda del genere, perché ci premono e preoccupano "le cose di quaggiù". Ecco, abbiamo già toccato il cuore della questione posta da Gesù. Gli scribi "dicevano" che il Messia sarebbe stato figlio di Davide in maniera rigorosamente geneaologica. Un messia umano insomma che avrebbe ristabilito il Regno di Israele come e meglio di Davide. Senti l'eco di questa visione messianica nel tuo cuore? Anche tu hai un regno insidiato e forse occupato da una potenza straniera, no? La suocera, per esempio, quella sì che è peggio dei Romani... Ed proprio perché il tuo problema è la suocera, o qualsiasi altra persona o fatto della tua storia, che non comprendi e non ti interessa la domanda di Gesù.  

Ma Gesù ci ama, e per amore ci strattona con quel "come mai": "come mai dici di credere in me, e continui ad affannarti e a perdere la pace per i soldi?". E te lo spiega proprio lasciando la domanda a mezz'aria, perché anche tu possa giungere ad "ascoltarlo volentieri" quando ti infilza alla verità perché ti converta e viva nella sua pace. Non è vero che Gesù non risponda agli scribi; la risposta, infatti è contenuta nella domanda, basta conoscere la Scrittura, e amarla, perché altrimenti sì che le domande che Gesù ci pone resteranno senza risposta, e la vita scorrerà tra un'angoscia e una sofferenza senza senso. Dunque dov'è la risposta? Nel Salmo 110 che Gesù cita: "Dice il Signore al mio Signore, siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi". E' proprio questo salmo che contesta la posizione degli scribi e la nostra. Ci dice Gesù: "come possono dire gli scribi che il Messia sia figlio di Davide se Davide stesso gli riconosce una superiorità su di lui?". La Scrittura non può sbagliare e contraddire se stessa. In questo versetto, come del resto in tutto il Salmo, ci dev'essere la soluzione. Ma per trovarla dobbiamo anche noi essere "mossi dallo" stesso "Spirito Santo" che ha ispirato Davide nel comporre il salmo. Ecco il primo problema: Gesù sta dicendo che gli scribi non lo avevano, nonostante si applicassero ogni giorno nello studio della Scrittura. Si può, infatti, accostarsi ad essa come i medici legali si avvicinano a un cadavere: come purtroppo tanti esegeti, spesso anche noi, invece di lasciarci interrogare da una Parola viva, sezioniamo i passi della Bibbia come fosse un'autopsia. Cerchiamo le cause "naturali" o "violente" della nostra sofferenza, della malattia e della morte dei nostri progetti, delle speranze, del matrimonio, del rapporto con i figli, ma non cerchiamo in essa la volontà di Dio per avere la vita. Per questo abbiamo bisogno della Chiesa dove ricevere lo Spirito Santo per accostarci umilmente alla Parola di Dio; se restiamo nella sua comunione non sbaglieremo mai ad interpretare ciò che Dio vuol dirci. Per la Parola di Dio, infatti, non esiste spiegazione privata, ma solo quella retta che ci è offerta dalla Chiesa. 

E che cosa ha ispirato a Davide lo Spirito Santo? Che il Messia sarebbe sì nato dalla sua discendenza, ma sarebbe stato "Signore del mio Signore", cioè anche Figlio di Dio: "Nella traduzione greca dei libri dell'Antico Testamento, il nome ineffabile sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè, YHWH, è reso con Kyrios. Da allora "Signore" diventa il nome più abituale per indicare la stessa divinità del Dio di Israele. Il Nuovo Testamento utilizza in questo senso forte il titolo di «Signore» per il Padre, ma, ed è questa la novità, anche per Gesù riconosciuto così egli stesso come Dio... perché egli è di «natura divina» e perché il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria" (Catechismo della Chiesa Cattolica n 446 ss). Lo ha esaltato dicendo appunto quello che aveva scritto Davide dando corpo nelle sue parole alla profezia dello Spirito Santo: "siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi". Quella descritta da Davide è un'immagine del rito di intronizzazione, e proprio in essa vediamo la realizzazione della profezia: "Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei cieli" (Eb).  Sin dagli inizi, infatti, la Chiesa ha riconosciuto in questa immagine l'esaltazione di Gesù: il Padre innalza il Figlio facendolo sedere su un trono alla destra del suo. In comune con il Padre ha lo "sgabello", che in molti passi dell'Antico Testamento appare come "un'immagine applicata all'arca, trono visibile dell'invisibile presenza di Yahwè che amministra la giustizia schiacciando la perversità e il male" (G. Ravasi), sconfiggendo i nemici. 

Ma "i suoi nemici" sono anche "i nostri", la legione di demoni che insidiano la nostra vita. Gli stessi che ha combattuto Davide per intronizzare l'Arca in Gerusalemme e per difendere il Regno. Gesù dunque è "Figlio di Davide" anche perché compie in pienezza quello che nel Re era stato solo adombrato. Gesù, della discendenza di Davide, vincendo ogni nemico, cioè il peccato e la morte, introduce l'Arca nel Santuario, ovvero la sua umanità alla destra di Dio. E con la sua umanità anche la nostra, come scriveva San Paolo alla comunità di Corinto, affrontando non a caso il fatto della resurrezione di Gesù: "Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede... e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa". 

Fratelli, vedete come la domanda di Gesù tocchi il fondamento della nostra fede? Credere che Gesù è il Figlio di Davide significa credere alla sua e alla nostra resurrezione, alla sua entrata nel Cielo con noi, dove siamo, misteriosamente, già oggi con Lui: "Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo... con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Ef 2). San Paolo non parla al futuro, ma al passato, dando per certo e compiuto anche in noi ciò che il Salmo 110 citato da Gesù profetizzava del Messia. Ma allora, se questo è vero, cambia radicalmente tutta la nostra via, tutte le cose di cui ci preoccupiamo diventano per noi, che "siamo stati salvati per Grazia mediante la fede", le occasioni per "camminare nelle opere buone che Dio ha predisposto per noi" e così "mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù". 

Fratelli, dalla spesa al cancro terminale, in tutto siamo più che vincitori perché in tutto portiamo il seme di Vita eterna che il Signore ci dona nella sua Chiesa attraverso la Parola e i sacramenti, facendoci così partecipi del trionfo del Messia. Il Padre, infatti, "ha sottomesso tutto ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, che è suo il corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose". Anche noi, in Maria, Madre di Gesù e della Chiesa, siamo adottati e accolti nella famiglia dei santi, e diveniamo discendenti di Davide; il Re più grande, l'uomo secondo il cuore di Dio, chiama anche noi, in Cristo, suoi Signori, perché con il Messia possiamo vincere il nemico più grande: "L’evento pasquale di Cristo diventa così la realtà a cui ci invita a guardare il Salmo, guardare a Cristo per comprendere il senso della vera regalità, da vivere nel servizio e nel dono di sé, in un cammino di obbedienza e di amore portato “fino alla fine”. Chiediamo al Signore di poter procedere anche noi sulle vie del re Messia, disposti a salire con Lui sul monte della croce per giungere con Lui nella gloria, e contemplarlo assiso alla destra del Padre, re vittorioso e sacerdote misericordioso che dona perdono e salvezza a tutti gli uomini. E anche noi, resi, per grazia di Dio, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa», potremo attingere con gioia alle sorgenti della salvezza e proclamare a tutto il mondo le meraviglie di Colui che ci ha «chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa»" (Benedetto XVI).


Commentando il Salmo 110, Sant'Agostino afferma che "era necessario conoscere l’unico Figlio di Dio, che stava per venire tra gli uomini, per assumere l’uomo e per divenire uomo attraverso la natura assunta: egli è morto, risorto, asceso al cielo, si è assiso alla destra del Padre ed ha adempiuto tra le genti quanto aveva promesso … Tutto questo, dunque, doveva essere profetizzato, doveva essere preannunciato, doveva essere segnalato come destinato a venire, perché, sopravvenendo improvviso, non facesse spavento, ma fosse preannunciato, piuttosto accettato con fede, gioia ed atteso". Con le parole del Vangelo di oggi la Chiesa ci "preannuncia" Colui che viene alla nostra vita per mettere sotto i nostri piedi il serpente antico, quello che, come Adamo ed Eva nel Giardino, non siamo stati capaci di dominare. Ma può capitare, come spesso accade, di "spaventarci" di fronte al potere del Signore, allo sconvolgimento provocato dalla sua "signoria". Come Erode, siamo gelosi del nostro potere, e non vogliamo perdere la regalità effimera del nostro ego ingannato. Stretti nelle catene dell'orgoglio, dell'egoismo, della concupiscenza, della menzogna e dell'ipocrisia, soffriamo, ma, paradossalmente, preferiamo questa sofferenza alla precarietà che significherebbe la libertà. Temiamo che, lasciando la nostra vita nelle mani di Cristo, si sbriciolino le nostre certezze. Siamo persuasi che obbedire ci faccia perdere la nostra identità e l'autonomia. Ci illudiamo di regnare nella nostra vita, di poter gestire affetti e situazioni, e non ci rendiamo conto che tutto ci sfugge dalle mani. 

Ma oggi il Signore viene ad annunciarci ancora una volta la Verità, il suo amore più forte di tutto, l'unico nel quale poter regnare davvero nella vita, senza essere schiavi delle opinioni, degli affetti, della carne e del mondo: "Fin dall'inizio della storia cristiana, l'affermazione della signoria di Gesù sul mondo e sulla storia comporta anche il riconoscimento che l'uomo non deve sottomettere la propria libertà personale, in modo assoluto, ad alcun potere terreno, ma soltanto a Dio Padre e al Signore Gesù Cristo: Cesare non è il Signore" (Catechismo). Il Messia vincitore e fatto Re e Signore viene a cercarci per issarci con Lui sul suo trono, la sua Croce gloriosa, dalla quale regnare liberi nel dono totale di se stessi. "E' necessario conoscere l'unico figlio di Dio" sulla croce di ogni giorno, perché "sia accettato con fede e atteso con gioia": "L’esercizio del potere è un incarico che il re riceve direttamente dal Signore, una responsabilità che deve vivere nella dipendenza e nell’obbedienza, diventando così segno, all’interno del popolo, della presenza potente e provvidente di Dio. Il dominio sui nemici, la gloria e la vittoria sono doni ricevuti, che fanno del sovrano un mediatore del trionfo divino sul male. Egli domina sui nemici trasformandoli, li vince con il suo amore" (Benedetto XVI). Ecco dunque "come Gesù può essere figlio di Davide, il Re che lo chiama Signore": regnando sulla nostra vita! Allora possiamo rispondere così alla domanda di Gesù: "credo che sei il Figlio di Davide! Credo e per questo ti prego di venire a regnare nella mia vita. Attirami a te sulla Croce perché anch'io possa regnare con te, e in te possa lottare contro le passioni, le tentazioni, gli attacchi violentissimi dei nemici e testimoniare il tuo Regno d'amore in mezzo ai regni di questo mondo.  



APPROFONDIMENTI


Catechismo della Chiesa cattolica

§ 446-451

« Davide stesso lo chiama Signore »

Nella traduzione greca dei libri dell'Antico Testamento, il nome ineffabile sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè, YHWH, è reso con Kyrios (« Signore »). Da allora Signore diventa il nome più abituale per indicare la stessa divinità del Dio di Israele. Il Nuovo Testamento utilizza in questo senso forte il titolo di « Signore » per il Padre, ma, ed è questa la novità, anche per Gesù riconosciuto così egli stesso come Dio. Gesù stesso attribuisce a sé, in maniera velata, tale titolo allorché discute con i farisei sul senso del salmo 110 (Mc 12,36), ma anche in modo esplicito rivolgendosi ai suoi Apostoli (Gv 13,13). Durante la sua vita pubblica i suoi gesti di potenza sulla natura, sulle malattie, sui demoni, sulla morte e sul peccato, manifestavano la sua sovranità divina.
Molto spesso, nei Vangeli, alcune persone si rivolgono a Gesù chiamandolo « Signore ». Questo titolo esprime il rispetto e la fiducia di coloro che si avvicinano a Gesù e da lui attendono aiuto e guarigione. Pronunciato sotto la mozione dello Spirito Santo, esprime il riconoscimento del mistero divino di Gesù. Nell'incontro con Gesù risorto, diventa espressione di adorazione: « Mio Signore e mio Dio! » (Gv 20,28). Assume allora una connotazione d'amore e d'affetto che resterà peculiare della tradizione cristiana: « È il Signore! » (Gv 21,7).
Attribuendo a Gesù il titolo divino di Signore, le prime confessioni di fede della Chiesa affermano, fin dall'inizio, che la potenza, l'onore e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche a Gesù, perché egli è di « natura divina » (Fil 2,6) e perché il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria. Fin dall'inizio della storia cristiana, l'affermazione della signoria di Gesù sul mondo e sulla storia comporta anche il riconoscimento che l'uomo non deve sottomettere la propria libertà personale, in modo assoluto, ad alcun potere terreno, ma soltanto a Dio Padre e al Signore Gesù Cristo: Cesare non è « il Signore »... La preghiera cristiana è contrassegnata dal titolo « Signore », sia che si tratti dell'invito alla preghiera: « Il Signore sia con voi », sia della conclusione della preghiera: « Per il nostro Signore Gesù Cristo », o anche del grido pieno di fiducia e di speranza: «Amen, vieni, Signore Gesù! » (Ap 22,20).



San Leone Magno ( ?-circa 461), papa e dottore della Chiesa
Discorso 1 per la Natività del Signore


Figlio di Davide e Signore dei signori

E' scelta una vergine regale, appartenente alla famiglia di David, che, destinata a portare in seno tale santa prole, concepisce il figlio, Uomo-Dio... Dunque il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che "era in principio presso Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale neppure una delle cose create è stata fatta" (Gv 1,1-3), per liberare  l'uomo dalla morte eterna si è fatto uomo. Egli si è abbassato ad assumere la nostra umile condizione senza diminuire la sua maestà. E' rimasto quel che era e ha preso ciò che non era, unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al Padre. Ha congiunto ambedue le nature in modo tale che la glorificazione non ha assorbito la natura inferiore, né l'assunzione ha sminuito la natura superiore.
Perciò le proprietà dell'una e dell'altra natura sono rimaste integre, benché convergano in una unica persona. In questa maniera l'umiltà viene accolta dalla maestà, la debolezza dalla potenza, la mortalità dall'eternità. Per pagare il debito, proprio della nostra condizione, la natura inviolabile si è unita alla natura che è soggetta ai patimenti, il vero Dio si è congiunto in modo armonioso al vero uomo. Or questo era necessario alle nostre infermità, perché avvenisse che l'unico e identico «Mediatore di Dio e degli uomini» (1 Tm 2,5) da una parte potesse morire e dall'altra potesse risorgere....
Tale natività, dilettissimi, si addiceva a Cristo, "virtù di Dio e sapienza di Dio" (1 Cor 1,24); con essa egli è uguale a noi quanto all'umanità, è superiore a noi quanto alla divinità. Se non fosse vero Dio non porterebbe la salvezza, se non fosse vero uomo non ci sarebbe di esempio.




San Cirillo di Gerusalemme (313-350), vescovo di Gerusalemme, dottore della Chiesa
Catechesi battesimale 10, 2,4,5 : PG 33, 662.663-667

« Il suo nome è Re dei re e Signore dei signori » (Ap 19,16)

Chi vuole onorare Dio, si prosterni davanti a suo Figlio. Altrimenti, il Padre non accetta di essere adorato. Dall'alto del cielo, il Padre ha fatto udire queste parole : « Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto » (Mt 3, 17). Il Padre si è compiaciuto nel Figlio, …chiamato « Signore » (Lc 2, 11) non impropriamente come lo sono i signori umani, bensì perchè la signoria appartiene a lui per natura, da sempre…
Pur rimanendo se stesso e conservando veramente la gloria immutabile del suo essere Figlio, si aggiusta alle nostre debolezze, come un medico abilissimo e un maestro compassionevole. E tutto ciò, l'ha fatto mentre era realmente Signore, senza dover a nessun avanzamento il suo potere ; infatti la gloria della signoria era sua per natura. Non era Signore alla maniera dei signori umani ; era Signore in tutta verità, esercitando la signoria sulle proprie creature con il consenso del Padre. Noi, infatti, possiamo esercitare un dominio su uomini che sono i nostri pari, sia in dignità che nelle sofferenze, anzi sovente che ci sono superiori. Invece, la signoria di Nostro Signore non è di questa natura : egli è innanzi tutto Creatore, e in secondo luogo Signore. Ha creato tutto secondo la volontà del Padre, ora esercita la signoria su quanto esiste solo per mezzo di lui.




Benedetto XVI. Il Re Messia, Salmo 110 

Catechesi di Mercoledì, 16 novembre 2011



Cari fratelli e sorelle,

vorrei oggi terminare le mie catechesi sulla preghiera del Salterio meditando uno dei più famosi “Salmi regali”, un Salmo che Gesù stesso ha citato e che gli autori del Nuovo Testamento hanno ampiamente ripreso e letto in riferimento al Messia, a Cristo. Si tratta del Salmo 110 secondo la tradizione ebraica, 109 secondo quella greco-latina; un Salmo molto amato dalla Chiesa antica e dai credenti di ogni tempo. Questa preghiera era forse inizialmente collegata all’intronizzazione di un re davidico; tuttavia il suo senso va oltre la specifica contingenza del fatto storico aprendosi a dimensioni più ampie e diventando così celebrazione del Messia vittorioso, glorificato alla destra di Dio.

Il Salmo inizia con una dichiarazione solenne:
Oracolo del Signore al mio signore: «Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi» (v. 1).

Dio stesso intronizza il re nella gloria, facendolo sedere alla sua destra, un segno di grandissimo onore e di assoluto privilegio. Il re è ammesso in tal modo a partecipare alla signoria divina, di cui è mediatore presso il popolo. Tale signoria del re si concretizza anche nella vittoria sugli avversari, che vengono posti ai suoi piedi da Dio stesso; la vittoria sui nemici è del Signore, ma il re ne è fatto partecipe e il suo trionfo diventa testimonianza e segno del potere divino.
La glorificazione regale espressa in questo inizio del Salmo è stata assunta dal Nuovo Testamento come profezia messianica; perciò il versetto è tra i più usati dagli autori neotestamentari, o come citazione esplicita o come allusione. Gesù stesso ha menzionato questo versetto a proposito del Messia per mostrare che il Messia è più che Davide, è il Signore di Davide (cfr Mt 22,41-45; Mc 12,35-37; Lc 20,41-44). E Pietro lo riprende nel suo discorso a Pentecoste, annunciando che nella risurrezione di Cristo si realizza questa intronizzazione del re e che da adesso Cristo sta alla destra del Padre, partecipa alla Signoria di Dio sul mondo (cfr Atti 2,29-35). È il Cristo, infatti, il Signore intronizzato, il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio che viene sulle nubi del cielo, come Gesù stesso si definisce durante il processo davanti al Sinedrio (cfr Mt 26,63-64; Mc 14,61-62; cfr anche Lc 22,66-69). È Lui il vero re che con la risurrezione è entrato nella gloria alla destra del Padre (cfr Rom 8,34; Ef 2,5; Col 3,1; Ebr 8,1; 12,2), fatto superiore agli angeli, seduto nei cieli al di sopra di ogni potenza e con ogni avversario ai suoi piedi, fino a che l’ultima nemica, la morte, sia da Lui definitivamente sconfitta (cfr 1 Cor 15,24-26; Ef 1,20-23; Ebr 1,3-4.13; 2,5-8; 10,12-13; 1 Pt 3,22). E si capisce subito che questo re che è alla destra di Dio e partecipa della sua Signoria, non è uno di questi uomini successori di Davide, ma solo il nuovo Davide, il Figlio di Dio che ha vinto la morte e partecipa realmente alla gloria di Dio. E' il nostre re, che ci dà anche la vita eterna.
Tra il re celebrato dal nostro Salmo e Dio esiste quindi una relazione inscindibile; i due governano insieme un unico governo, al punto che il Salmista può affermare che è Dio stesso a stendere lo scettro del sovrano dandogli il compito di dominare sui suoi avversari, come recita il versetto 2:

Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!

L’esercizio del potere è un incarico che il re riceve direttamente dal Signore, una responsabilità che deve vivere nella dipendenza e nell’obbedienza, diventando così segno, all’interno del popolo, della presenza potente e provvidente di Dio. Il dominio sui nemici, la gloria e la vittoria sono doni ricevuti, che fanno del sovrano un mediatore del trionfo divino sul male. Egli domina sui nemici trasformandoli, li vince con il suo amore.
Perciò, nel versetto seguente, si celebra la grandezza del re. Il versetto 3, in realtà, presenta alcune difficoltà di interpretazione. Nel testo originale ebraico si fa riferimento alla convocazione dell’esercito a cui il popolo risponde generosamente stringendosi attorno al suo sovrano nel giorno della sua incoronazione. La traduzione greca dei LXX, che risale al III-II secolo prima di Cristo, fa riferimento invece alla filiazione divina del re, alla sua nascita o generazione da parte del Signore, ed è questa la scelta interpretativa di tutta la tradizione della Chiesa, per cui il versetto suona nel modo seguente:

A te il principato nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato.

Questo oracolo divino sul re affermerebbe dunque una generazione divina soffusa di splendore e di mistero, un’origine segreta e imperscrutabile, legata alla bellezza arcana dell’aurora e alla meraviglia della rugiada che nella luce del primo mattino brilla sui campi e li rende fecondi. Si delinea così, indissolubilmente legata alla realtà celeste, la figura del re che viene realmente da Dio, del Messia che porta al popolo la vita divina ed è mediatore di santità e di salvezza. Anche qui vediamo che tutto questo non è realizzato dalla figura di un re davidico, ma dal Signore Gesù Cristo, che realmente viene da Dio; Egli è la luce che porta la vita divina al mondo.
Con questa immagine suggestiva ed enigmatica termina la prima strofa del Salmo, a cui fa seguito un altro oracolo, che apre una nuova prospettiva, nella linea di una dimensione sacerdotale connessa alla regalità. Recita il versetto 4:

Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek».

Melchìsedek era il sacerdote re di Salem che aveva benedetto Abramo e offerto pane e vino dopo la vittoriosa campagna militare condotta dal patriarca per salvare il nipote Lot dalle mani dei nemici che lo avevano catturato (cfr Gen 14). Nella figura di Melchìsedek, potere regale e sacerdotale convergono e ora vengono proclamati dal Signore in una dichiarazione che promette eternità: il re celebrato dal Salmo sarà sacerdote per sempre, mediatore della presenza divina in mezzo al suo popolo, tramite della benedizione che viene da Dio e che nell’azione liturgica si incontra con la risposta benedicente dell’uomo.
La Lettera agli Ebrei fa esplicito riferimento a questo versetto (cfr. 5,5-6.10; 6,19-20) e su di esso incentra tutto il capitolo 7, elaborando la sua riflessione sul sacerdozio di Cristo. Gesù, così ci dice la Lettera agli Ebrei nella luce del salmo 110 (109), Gesù è il vero e definitivo sacerdote, che porta a compimento i tratti del sacerdozio di Melchìsedek rendendoli perfetti.
Melchìsedek, come dice la Lettera agli Ebrei, era «senza padre, senza madre, senza genealogia» (7,3a), sacerdote dunque non secondo le regole dinastiche del sacerdozio levitico. Egli perciò «rimane sacerdote per sempre» (7,3c), prefigurazione di Cristo, sommo sacerdote perfetto che «non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile» (7,16). Nel Signore Gesù risorto e asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre, si attua la profezia del nostro Salmo e il sacerdozio di Melchìsedek è portato a compimento, perché reso assoluto ed eterno, divenuto una realtà che non conosce tramonto (cfr 7,24). E l’offerta del pane e del vino, compiuta da Melchìsedek ai tempi di Abramo, trova il suo adempimento nel gesto eucaristico di Gesù, che nel pane e nel vino offre se stesso e, vinta la morte, porta alla vita tutti i credenti. Sacerdote perenne, «santo, innocente, senza macchia» (7,26), egli, come ancora dice la Lettera agli Ebrei, «può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (7,25).

Dopo questo oracolo divino del versetto 4, col suo solenne giuramento, la scena del Salmo cambia e il poeta, rivolgendosi direttamente al re, proclama: «Il Signore è alla tua destra!» (v. 5a). Se nel versetto 1 era il re a sedersi alla destra di Dio in segno di sommo prestigio e di onore, ora è il Signore a collocarsi alla destra del sovrano per proteggerlo con lo scudo nella battaglia e salvarlo da ogni pericolo. Il re è al sicuro, Dio è il suo difensore e insieme combattono e vincono ogni male.

Si aprono così i versetti finali del Salmo con la visione del sovrano trionfante che, appoggiato dal Signore, avendo ricevuto da Lui potere e gloria (cfr v. 2), si oppone ai nemici sbaragliando gli avversari e giudicando le nazioni. La scena è dipinta con tinte forti, a significare la drammaticità del combattimento e la pienezza della vittoria regale. Il sovrano, protetto dal Signore, abbatte ogni ostacolo e procede sicuro verso la vittoria. Ci dice: sì, nel mondo c'è tanto male, c'è una battaglia permanente tra il bene e il male, e sembra che il male sia più forte. No, più forte è il Signore, il nostro vero re e sacerdote Cristo, perché combatte con tutta la forza di Dio e, nonostante tutte le cose che ci fanno dubitare sull'esito positivo della storia, vince Cristo e vince il bene, vince l'amore e non l'odio. È qui che si inserisce la suggestiva immagine con cui si conclude il nostro Salmo, che è anche una parola enigmatica.

lungo il cammino si disseta al torrente,
perciò solleva alta la testa (v. 7).

Nel mezzo della descrizione della battaglia, si staglia la figura del re che, in un momento di tregua e di riposo, si disseta ad un torrente d’acqua, trovando in esso ristoro e nuovo vigore, così da poter riprendere il suo cammino trionfante, a testa alta, in segno di definitiva vittoria. E' ovvio che questa parola molto enigmatica era una sfida per i Padri della Chiesa per le diverse interpretazioni che si potevano dare. Così, per esempio, sant'Agostino dice: questo torrente è l'essere umano, l'umanità, e Cristo ha bevuto da questo torrente facendosi uomo, e così, entrando nell'umanità dell'essere umano, ha sollevato il suo capo e adesso è il capo del Corpo mistico, è il nostro capo, è il vincitore definitivo (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 20: PL 36, 1462).

Cari amici, seguendo la linea interpretativa del Nuovo Testamento, la tradizione della Chiesa ha tenuto in grande considerazione questo Salmo come uno dei più significativi testi messianici. E, in modo eminente, i Padri vi hanno fatto continuo riferimento in chiave cristologica: il re cantato dal Salmista è, in definitiva, Cristo, il Messia che instaura il Regno di Dio e vince le potenze del mondo, è il Verbo generato dal Padre prima di ogni creatura, prima dell'aurora, il Figlio incarnato morto e risorto e assiso nei cieli, il sacerdote eterno che, nel mistero del pane e del vino, dona la remissione dei peccati e la riconciliazione con Dio, il re che solleva la testa trionfando sulla morte con la sua risurrezione. Basterebbe ricordare un passo ancora una volta del commento di sant’Agostino a questo Salmo dove scrive: «Era necessario conoscere l’unico Figlio di Dio, che stava per venire tra gli uomini, per assumere l’uomo e per divenire uomo attraverso la natura assunta: egli è morto, risorto, asceso al cielo, si è assiso alla destra del Padre ed ha adempiuto tra le genti quanto aveva promesso … Tutto questo, dunque, doveva essere profetizzato, doveva essere preannunciato, doveva essere segnalato come destinato a venire, perché, sopravvenendo improvviso, non facesse spavento, ma fosse preannunciato, piuttosto accettato con fede, gioia ed atteso. Nell’ambito di queste promesse rientra codesto Salmo, il quale profetizza, in termini tanto sicuri ed espliciti, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che noi non possiamo minimamente dubitare che in esso sia realmente annunciato il Cristo» (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 3: PL 36, 1447)

L’evento pasquale di Cristo diventa così la realtà a cui ci invita a guardare il Salmo, guardare a Cristo per comprendere il senso della vera regalità, da vivere nel servizio e nel dono di sé, in un cammino di obbedienza e di amore portato “fino alla fine” (cfr. Gv 13,1 e 19,30). Pregando con questo Salmo, chiediamo dunque al Signore di poter procedere anche noi sulle sue vie, nella sequela di Cristo, il re Messia, disposti a salire con Lui sul monte della croce per giungere con Lui nella gloria, e contemplarlo assiso alla destra del Padre, re vittorioso e sacerdote misericordioso che dona perdono e salvezza a tutti gli uomini. E anche noi, resi, per grazia di Dio, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa» (cfr 1 Pt 2,9), potremo attingere con gioia alle sorgenti della salvezza (cfr Is 12,3) e proclamare a tutto il mondo le meraviglie di Colui che ci ha «chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (cfr 1 Pt 2,9).




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