Sabato della XIV settimana del Tempo Ordinario. Commento completo e approfondimenti





Siamo parte della famiglia di Gesù. Tutto quello che riguarda Lui riguarda anche noi. La nostra vita è legata indissolubilmente alla sua, perché siamo nati per essere conformi alla sua immagine: "Tra il Figlio di Dio fatto carne e la sua Chiesa v'è una profonda, inscindibile e misteriosa continuità, in forza della quale Cristo è presente oggi nel suo popolo. È sempre contemporaneo a noi, è sempre contemporaneo nella Chiesa costruita sul fondamento degli Apostoli" (Benedetto XVI, Catechesi del 15 marzo 2006). Il Signore è il primogenito della nuova creazione e, come Lui, in Lui e per Lui, non possiamo che suscitare sconcerto, scandalo, persecuzione. L'apparire di Gesù scatenava l'ira dei demoni, stanati nell'ombra delle loro menzogne. Allo stesso modo l'avvento della Chiesa nella parola e nella vita degli apostoli, svela le trame occulte del principe di questo mondo, perché la Verità illumina la menzogna, inescusabilmente. Così, quando in ufficio, a scuola, tra gli amici, nelle diverse relazioni, si fa presente l'avvenimento di Cristo incarnato negli apostoli, tutto quello che non gli è conforme - i nemici della croce - è come risucchiato in superficie, e, una volta smascherato, schiuma ira e calunnia, e violenza che giunge ad uccidere, pur di ricacciare nell'ombra la menzogna di un'esistenza preda dell'inganno. Come Giovanni fu inviato a svelare i pensieri di molti cuori, il Signore stesso fu, ed è e nei suoi apostoli, segno di contraddizione. Quando al supermercato, all'uscita dall'asilo o spesso, purtroppo, anche a messa, appare una mamma circondata dalla nidiata dei suoi cinque, o sette, o dieci figli, è come una saetta precipitata laddove si sono posati i suoi piedi: risolini, ghigni, ironie, e insulti. E' la Verità che sconfessa la menzogna, il velo del Tempio squarciato dalla stessa carne di Cristo. In quella madre, come in ogni cristiano che incarni il vivere di Cristo, appare il Maestro, il Primogenito risorto e vivo che ha vinto la morte dell'egoismo, della paura e del pensiero del mondo; quei bambini che le fanno ressa ululante intorno sono il frutto dei "segreti" che Gesù le ha "sussurrato all'orecchio" e che lei "annuncia alla luce e predica dai tetti"; i suoi figli sono il corpo di Cristo che squarcia il velo del Cielo, e ne lascia intravvedere la bellezza e la pace, l'infinita estensione nell'amore che non conosce barriere. Quei volti venuti alla luce per un miracolo di amore e risurrezione sono il profumo del Regno, la testimonianza dell'unica Verità capace di rendere libero l'uomo. L'impatto con la dura scorza della menzogna provoca, inevitabilmente, il grido violento di chi ha ceduto all'inganno, e si è accomodato sul sofà tranquillo dell'egoismo mascherato di ragionevolezza. Ma senza questo grido che sale dal cuore, simile a quello di una bestia ferita, non si schiuderebbe la soglia del cuore alla Grazia e alla Misericordia; il loro cammino all'interno dell'uomo, infatti, è lo stesso percorso dal grido ribelle dell'orgoglio, ma all'inverso. Uno sale dal cuore per vomitare ira e violenza, l'altro vi scende, per sanare con amore. In ogni uomo è inscritto il codice genetico dell'amore, la volontà di felicità che ne ha disegnato la mappa del Dna spirituale. Quando, in quella mamma, come in ogni apostolo, lo Spirito Santo fa visibile quel codice nell'esistenza quotidiana, come un liquido di contrasto intercetta il grumo di cellule impazzite che ha attaccato il Dna per stravolgerlo e lo attacca come una massiccia dose di chemioterapia spirituale; allora si palesano gli stessi effetti di quella usata nei protocolli medici oncologici: nausea, vomito, debolezza, e l'uomo vecchio aggredito dal cancro lascia il passo, con dolore, alle cellule rinnovate. E quanta violenza e resistenza, perché il cuore, come la carne, non accetta di essere crocifisso. Ma sotto, nel fondo nascosto di tanta ira, si ode il grido incancellabile che reclama giustizia, il seme di vita eterna deposto da sempre nel cuore. La persecuzione che si scatena contro la Chiesa è sempre dettata dall'orgoglio che induce a non arrendersi, a difendere le certezze acquisite, non importa se gravide di morte; la superbia che spinge a non abbandonarsi alla misericordia. La persecuzione, la calunnia, l'odio che gli apostoli attirano su di sé, sono il segno inequivocabile che il Regno dei Cieli è arrivato e il regno di satana ha le ore contate: è segno di debolezza, la stessa che gridavano i demoni alla vista di Gesù: "Che cosa abbiamo in comune con te, Gesù nazareno? Sei venuto a rovinarci?". Sì, Gesù è venuto per la rovina dei demoni, e per questo, dopo di Lui, il "padrone della casa" che è immagine della Chiesa, anche "i suoi familiari", ovvero gli apostoli, saranno identificati come demoni a servizio del principe dei demoni, perché l'opera più astuta di satana è proprio quella di camuffarsi e scambiare il bene con il male, Gesù con il demonio. E' quanto abbiamo sotto gli occhi ogni giorno: è bene uccidere un bambino nel seno di sua madre, è male farlo nascere se solo esiste la remota possibilità di una malformazione, o solo perché non ci sono i soldi per assicurare quello che si crede sia importante. Beelzebùl è Cristo, il Papa suo Vicario, e ogni apostolo che incarna il Vangelo della vita, che osa credere che l'omosessualità sia un disordine; mentre la compassione, la pietà, il bene sono le virtù di quanti operano per cancellare il dolore, fuggire la sofferenza, accettare ogni forma di passione e libidine e farne legge dello Stato, disintegrare l'uomo peccatore per far posto all'uomo dei diritti, impedendogli così l'incontro con la misericordia autentica che schiude alla felicità eterna. La Chiesa è inviata come un agnello in mezzo ai lupi, ad attirare su di sé il disprezzo, il rifiuto, la morte vomitati da satana: "l’annuncio del regno di Dio non è mai solo parola, mai solo insegnamento. E’ avvenimento, così come Gesù stesso è avvenimento, parola di Dio in persona. Annunciandolo, conducono all’incontro con Lui. Poiché il mondo è dominato dalle potenze del male, quest’annuncio è allo stesso tempo una lotta contro queste potenze. “I messaggeri di Gesù mirano, al suo seguito, ad un’esorcizzazione del mondo, alla fondazione di una nuova forma di vita nello Spirito Santo, che liberi dall’ossessione diabolica” (R. Pesch)... Si sente tutto l’impeto di quest’irruzione nelle parole di Paolo, quando dice: “Nessuno è Dio se non uno solo. E in realtà, anche se vi sono cosìddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per noi c’e un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per Lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per Lui”. In queste parole c’e un potere liberatorio - il grande esorcismo che purifica il mondo. Per quanti dèi possano fluttuare nel mondo - Dio è uno solo e uno solo è il Signore. Se apparteniamo a Lui, tutto il resto non ha più potere, perde lo splendore della divinità" (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I). La missione è, dunque, una lotta, è parte del combattimento escatologico che appare nell'Apocalisse, soprattutto al Capitolo XII. La Donna è perseguitata dal grande drago che vuole divorare il bambino appena nato, Cristo fatto carne nella Chiesa, nei suoi fratelli più piccoli. Ogni istante della loro vita, ogni aspetto della nostra esistenza è un capitolo unico e inevitabile di questa grande e cruenta battaglia. Ma non siamo soli, tutto ci accade perché siamo di Cristo che è vivo in noi. Con Lui ci accompagnano i martiri di ogni generazione, e i fratelli che subiscono le stesse prove in ogni angolo della terra. Al lavoro, a casa, a scuola, con amici e colleghi, con il fidanzato o con i parenti, ovunque e sempre ci è consegnata una tessera del mosaico che compone la volontà di Dio su ogni uomo. Per poterla deporre al suo posto è necessario che sia "esorcizzata" e tolta la tessera falsa, apparentemente somigliante, ma inautentica. E questo accade non senza pagare un prezzo spesso salatissimo: la nostra dignità, il nostro onore, l'amicizia, la stima, l'affetto. Caricarsi, con Cristo, del peccato e del male che si scatena intorno e verso di noi, è l'amore più grande, l'unico autenticamente gratuito, che libera e conduce al Regno: "Ma nella fede, nella comunione con l’unico vero Signore del mondo, è donata all'apostolo l’“armatura di Dio”, con cui può opporsi a queste potenze, sapendo che il Signore ci restituisce nella fede l’aria depurata da respirare - il soffio del Creatore, il soffio dello Spirito Santo, nel quale soltanto il mondo può essere risanato" (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I). In questa guerra contro satana, non dobbiamo "temere" nessuno; non dobbiamo temere l'esercito nemico, i pensieri, le tentazioni e coloro che, in questo mondo, obbediscono ai suoi ordini: il demonio non ha il potere di uccidere l'anima! Non c'è peccato, per quanto grande, che possa uccidere definitivamente l'anima! Siamo invece chiamati a temere Cristo, che significa abbandonarsi fiduciosi al suo amore. Temere di perderlo, di entrare nella morte soli, senza il nostro Avvocato, nella superbia di chi bestemmia l'opera dello Spirito Santo, l'unico che, nel giudizio, potrà difenderci. E questo ogni giorno: anche oggi ci attende un giudizio, al quale giungeremo passando attraverso gli eventi che ci metteranno a morte. Non sono questi, non sono i nemici che dobbiamo temere; dobbiamo invece fuggire con paura anche solo l'ipotesi di entrare nella storia soli con la nostra superbia, di trovarci davanti al Padre nudi come Adamo, senza l'armatura di Cristo. Se così accade, stasera ci sentiremo soli e condannati, perderemo la speranza per il matrimonio, per i figli, per la nostra vita, assaporando le primizie della "Geenna" invece di quelle del Paradiso, e l'accidia malmostosa prenderà il sopravvento. Siamo invece chiamati a chiedere al Padre il dono del santo timore, "il sentimento sincero e trepido che l'uomo prova di fronte alla «tremenda maiestas» di Dio, specialmente quando riflette sulle proprie infedeltà e sul pericolo di essere «trovato scarso» nell'eterno giudizio, a cui nessuno può sfuggire. Il credente si presenta e si pone davanti a Dio con lo «spirito contrito» e col «cuore affranto», ben sapendo di dover attendere alla propria salvezza «con timore e tremore». Ciò, tuttavia, non significa paura irrazionale, ma senso di responsabilità e di fedeltà alla sua legge. E' tutto questo insieme che lo Spirito Santo assume ed eleva col dono del timore di Dio. Esso non esclude, certo, la trepidazione che scaturisce dalla consapevolezza delle colpe commesse e dalla prospettiva dei divini castighi, la addolcisce con la fede nella misericordia divina e con la certezza della sollecitudine paterna di Dio che vuole l'eterna salvezza di ciascuno. Con questo dono, tuttavia, lo Spirito Santo infonde nell'anima soprattutto il timore filiale, che è sentimento radicato nell'amore verso Dio: l'anima si preoccupa allora di non recare dispiacere a Dio, amato come Padre, di non offenderlo in nulla, di «rimanere» e di crescere nella carità" (Giovanni Paolo II)Il santo timore sigilla in noi che "ogni capello del nostro capo è contato": siamo già cittadini del Cielo, non un secondo della nostra vita scivola dalle mani di Cristo. La fiducia e l'abbandono alla sua volontà è l'unico che ci viene richiesto: dare spazio alla Grazia, all'autentica libertà, all'amore che vince il timore e la morte, e fa di noi luce splendente della Verità che ogni uomo, anche se violento e nemico, attende con ansia. Chiuderci alla Grazia è rinnegare Cristo, sciogliere nell'acido la nostra identità autentica, scappare dalla sua famiglia, e cadere prede della Geenna. Ma come potremo farlo se anche oggi, ora, stiamo sperimentando l'amore infinito che ci perdona, consola, accompagna, protegge e ci fa felici davvero? Nulla di quello che ci accade è fuori dalla volontà di Dio, eccetto il peccato. Vivere in questa certezza è già compiere la missione, in mezzo a un mondo che contesta l'esistenza e l'amore di Dio. Chi vive nel mistero pasquale di Cristo in ogni circostanza "lo riconosce" davanti agli uomini, così come Lui, anche quando cadiamo nel peccato, "riconosce" in noi la sua opera più forte della debolezza. "Non riconoscerlo" significa opporsi alla Grazia e rifiutare, con la storia e le persone, il suo annuncio, l'irrompere dello Spirito Santo, il suo farsi carne in noi: come potrà allora Gesù, in chi ostinatamente lo ha scacciato, "riconoscere" se stesso davanti al Padre? Temiamo dunque il Signore, abbandoniamoci alla sua fedeltà, Lui che ha "il potere" di condurci al porto sospirato della Vita eterna dove ci "riconoscerà" come suoi fratelli. 





APPROFONDIMENTI



Benedetto XVI. La missione grande esorcismo del mondo

San Paolo, nella Lettera agli Efesini, ha descritto una volta, da un’altra prospettiva, questo carattere esorcistico del cristianesimo, dicendo: “Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza! Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,10-12). Heinrich Schlier ha spiegato così questa rappresentazione della lotta del cristiano, che oggi ci appare sorprendente o anche strana: “l nemici non sono questo o quell’altro e nemmeno io stesso, non sono carne e sangue [...], il contrasto va più nel profondo. Si rivolge contro una quantità innumerevole di nemici che sono instancabilmente all’attacco, avversari non ben definibili che non hanno veri nomi, ma solo denominazioni collettive; sono anche a priori superiori all’uomo e questo per la loro posizione superiore, per la loro posizione “nei cieli” dell’esistenza, superiori anche per l’impenetrabilità e l’inattaccabilità della loro posizione. La loro posizione è, appunto, l'“atmosfera” dell’esistenza, un’atmosfera che essi stessi diffondono intorno a sé, essendo infine tutti ricolmi di una malvagità sostanziale e mortale”. Chi non vedrebbe che queste parole descrivono proprio anche il nostro mondo, nel quale il cristiano è minacciato da un’atmosfera anonima, da quello che “è nell’aria”, che vuol fargli apparire ridicola e insensata la fede? E chi non vedrebbe che ci sono avvelenamenti mondiali del clima spirituale che minacciano l’umanità nella sua dignità, addirittura nella sua esistenza? La singola persona, anzi, le stesse comunità umane sembrano irrimediabilmente abbandonate all’azione di queste potenze. Il cristiano sa che, da solo, neppure lui può riuscire a dominare questa minaccia. Ma nella fede, nella comunione con l’unico vero Signore del mondo, gli è donata l’“armatura di Dio”, con cui - nella comunione dell’intero Corpo di Cristo - può opporsi a queste potenze, sapendo che il Signore ci restituisce nella fede l’aria depurata da respirare - il soffio del Creatore, il soffio dello Spirito Santo, nel quale soltanto il mondo può essere risanato.


San Patrizio (circa 385-vers 461), monaco missionario, vescovo 
Confessione, § 43- 47 ; SC 249, 119 


« Quello che ascoltate all'orecchio, predicatelo sui tetti »


        Non per mia iniziativa ho cominciato questa opera, ma Cristo Signore mi ha ordinato di venire a trascorrere tra i pagani Irlandesi il resto dei miei giorni – se lo vuole il Signore e se mi custodisce da ogni via cattiva... Ma non confido in me stesso «finché sono in questo corpo votato alla morte» (2 Pt 1,13; Rm 7,24)... Non ho condotto una vita perfetta come altri fedeli; ma lo confesso al mio Signore e non arrossisco alla sua presenza. Infatti non mentisco: da quando l'ho conosciuto nella mia giovinezza, l'amore di Dio è cresciuto in me, insieme al suo timore, e fino a oggi, per la grazia del Signore, «ho conservato la fede» (2 Tm 4,7).

        Rida dunque e mi insulti chiunque vorrà; io non tacerò e non nasconderò «i prodigi e i miracoli» (Dn 6,28) che il Signore che conosce ogni cosa mi ha mostrato, molti anni prima che succedessero. Per questo dovrei rendere senza sosta grazie a Dio, che tanto spesso ha perdonato la mia stupidità e la mia trascuratezza e non si è irritato neanche una sola volta contro di me, nonostante sia stato eletto vescovo. Il Signore mi «ha fatto grazia», «in favore di mille generazioni» (Es 20,6), perché ha visto che ero disponibile... Infatti numerosi erano coloro he si opponevano a questa missione; parlavano anche fra di loro a mia insaputa e dicevano: «Perché costui si getta in un'impresa pericolosa presso degli stranieri che non conoscono Dio?» Non per malizia si esprimevano così; io stesso lo attesto: a causa della mia rustichezza non potevano capire perché io fossi stato nominato vescovo. Neanch'io sono stato pronto a riconoscere la grazia che era in me. Ora tutto questo è diventato chiaro per me.

        Ora dunque, espongo semplicemente ai miei fratelli e ai miei compagni di servizio che mi hanno creduto, perché «ho predicato prima e lo ripeto ora» (2 Cor 13,2), allo scopo di fortificare e di confermare la vostra fede. Possiate anche voi ricercare scopi più elevati e compiere opere più eccellenti. Questo sarà la mia felicità, poiché «il figlio saggio rende lieto il padre» (Pr 10,1).




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