Giovedì della XXV settimana del Tempo Ordinario



αποφθεγμα Apoftegma


Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo 
imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo 
impegnandoci ad essere testimoni del suo amore.
Diveniamo testimoni quando, 
attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, 
un Altro appare e si comunica. 
Si può dire che la testimonianza è il mezzo 
con cui la verità dell'amore di Dio raggiunge l'uomo nella storia, 
invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. 
Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, 
al rischio della libertà dell'uomo.

Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis
    






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 9,7-9.

Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti»,
altri: «E' apparso Elia», e altri ancora: «E' risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.



Ascoltare umilmente per vedere Cristo risorto nella nostra vita


Erode
Nel mezzo della missione della Chiesa appare la figura del tetrarca Erode. Egli è immagine di ogni potere mondano sul quale si riversa, come uno tsunami, l'annuncio del Vangelo. Ma anche noi siamo tetrarchi della porzione di vita che ci è stata assegnata: in famiglia, al lavoro, nella comunità cristiana, spesso ci comportiamo come Erode, ingannati dalla menzogna di satana che ci fa astuti come lui, che Gesù appunto chiamava "la volpe". Una volpe travestita da dio che, illudendosi di decidere da sé cosa sia bene e cosa sia male, tradisce il suo Creatore per unirsi alla carne; e, una volta scoperto e smascherato dal profeta, decapita la Verità che lo avrebbe salvato. Perché ogni volta che si fa tacere la Parola profetica che illumina la nostra vita uccidiamo noi stessi, condannandoci alla sterilità, come, secondo la Scrittura, accade a chi prende in moglie la sposa del proprio fratello. Chi taglia con la Verità prende la sua vita e la getta nella pattumiera. Che astuzia, vero? Confessiamolo oggi, è la stessa che bussa al nostro cuore ogni volta che ascoltiamo il Vangelo e, come Erode e il mondo, sentiamo parlare dell'avvenimento cristiano, e ci imbattiamo nei segni della fede offerti dalla comunità cristiana. Restiamo "perplessi", come paralizzati in una strada senza uscita. E' questo, infatti, il senso originale del termine greco, che deriva da "aporia": "aporìa significa letteralmente dubbio. L'aporia è la difficoltà irrisolvibile che fa riferimento a un determinato procedimento razionale. E' una impasse logica legata ad uno stato oggettivo del problema, nel quale la realtà che si mostra nell'esperienza entra in conflitto con la realtà mostrata dalla logica" (Dizionario filosofico). La logica dei nostri pensieri secondo il mondo si scontra con il Cielo che si fa carne nella Chiesa, e per questo non riusciamo ad afferrare la promessa che ci viene fatta con la predicazione. Cristo infatti, si accoglie umilmente, non si afferra. E' sì come uno dei profeti, risponde cioè a quello che il nostro cuore, illuminato dalla predicazione, desidera, ma non come noi vorremmo o ci aspetteremmo. 


Gesù Cristo è risorto, ed è infinitamente di più di ogni possibilità che possiamo immaginare e offrire alla nostra vita, al nostro matrimonio, ai figli. E' l'amore che supera ogni intelligenza, e risuscita dalla morte anche il più grande peccatore. Anche Erode, come accadde per Davide. Ma tra i due c'è una differenza fondamentale: la contrizione e l'umiliazione del cuore, che accetta le conseguenze dei propri peccati. In Davide c'era, in Erode no. Davide ascolta la parola del Profeta, e il segno della sua conversione autentica è proprio l'accettazione delle conseguenze del suo peccato. Il perdono di Dio non è uno smacchiatore, che "resetta" tutto. No, perché altrimenti accadrebbe in noi come nei computer resettati: perderemmo la memoria dell'amore di Dio, confondendolo con qualcosa di dovuto, perché perderemmo la memoria della nostra realtà. Che è proprio ciò che ha fatto Erode decapitando Giovanni Battista. Invece nella Chiesa l'annuncio del vangelo e il perdono dei peccati, il battesimo e i sacramenti, sono solo l'inizio del cammino in una vita nuova, che segue le orme di Cristo crocifisso. Il cristiano, infatti, è colui che, come Davide, sa discernere nella storia le orme di Dio, e le segue, sapendo che proprio in esse vi è il suo amore. Un orgoglioso, come spesso siamo noi, come lo sono i nostri figli che ascoltano ma non vogliono accettare di umiliarsi, non capirà nulla, e continuerà a sbattere, come Erode, sulla realtà di un amore che sfugge al controllo e al quale solo ci si può abbandonare rinnegando noi stessi. Per questo Erode incontrerà Gesù nel momento culminante della sua missione, nel mezzo del suo Mistero Pasquale. E non udrà altro che il suo silenzio di Agnello muto di fronte ai suoi tosatori. Di fronte a lui, come a noi, induriti nell'orgoglio. Sì fratelli, quando Dio tace significa che ci sta amando sino alla fine; sa che non ascoltiamo, conosce la durezza del nostro cuore astuto di malizia. Per questo tace, nell'estremo tentativo di far crollare le barriere di orgoglio con cui difendiamo il cuore avvelenato. Il suo silenzio, che può attirare il disprezzo e la "nullificazione" di Gesù da parte di Erode, oppure il sincero pentimento di Giobbe che apre finalmente gli occhi sull'amore di Dio e tace, per far parlare Lui. 




QUI UN ALTRO COMMENTO E GLI APPROFONDIMENTI



Il destino dell'apostolo: perdere la vita affinché sorga, nel cuore di ogni uomo, la domanda decisiva. Giovanni doveva diminuire, scomparire per preparare la strada all'avvento del Signore. La missione di ogni apostolo è annunciare la Verità, non sostituirsi ad essa. Per questo il suo destino non può che essere lo spossessamento di se stesso perché in lui e attraverso di lui appaia Cristo. Non vi è profezia senza martirio. Diversamente gli occhi degli uomini, di per sé inclini a creare eroi e miti da idolatrare, si fermerebbero irrimediabilmente sull'annunciatore, perdendo di vista l'Annunciato. Ma la storia della Chiesa ci insegna che Erode ha sempre decapitato Giovanni. Il potere, la carne ed il mondo, tentando di far tacere la Verità profetica, non ha mai smesso di uccidere i cristiani. E la persecuzione ha sempre ridestato l'interrogativo capace di sconvolgere la vita ed aprire alla salvezza: "Chi è costui del quale sento dire queste cose?". Proprio quando i suoi discepoli sono perseguitati e martirizzati, la fama del Signore si fa più viva; nei momenti più difficili, quando i cristiani sembrano lasciare la scena di questo mondo, Egli continua ad operare, ed è qualcosa che inquieta il cuore di chi "non sa cosa pensare" di un avvenimento che supera logiche e ragioni solo umane. Nella morte appare la vita, il cuore del cristianesimo, il paradosso che schianta ogni certezza. La testa di Giovanni, morte certa, visibile, incontrovertibile, invece di decretare la fine segna l'inizio di qualcosa di nuovo e sorprendente. Come è stato al principio, quando la Croce, la pietra e le guardie non sono state capaci di dare vittoria alla morte, così il mistero di una vita e di una Grazia che opera prodigi al di là del martirio, rompe l'indifferenza, interpella, desta lo stupore. Come scriveva Don Primo Mazzolari, “la testa del Battista grida molto di più quando è sul vassoio che non quando era sul collo”. La morte di Giovanni ha puntato la luce su Gesù, la sua testa recisa ha indicato l'Agnello sgozzato che ha redento il mondo. Così accade a ciascuno di noi, chiamati a partecipare della missione profetica della Chiesa. Perché Erode si spinga a cercare di vedere Gesù è necessario che sia dissipata ogni incertezza. Non è Giovanni il Messia, come non lo siamo noi. Per "cercare di vedere Gesù" Erode aveva bisogno della testa di Giovanni. E così nostra moglie, i figli, gli amici, i colleghi, tutti hanno bisogno della nostra testa per cominciare a interrogarsi e a credere. C'è molta confusione intorno alla figura di Gesù, oggi come duemila anni fa. E, al massimo, oggi come allora, la sapienza carnale riesce solo a riconoscerlo come uno dei profeti; la stessa parola tagliente, lo stesso discernimento, un identico potere. Ma Dio no eh, Dio in una carne umana non è credibile. Chi di noi, infatti, si è svegliato oggi benedicendo Dio per la propria debolezza, per i difetti e le ferite? Nessuno. Eppure lasciarsi tagliare la testa significa proprio questo: lasciare che Erode, immagine del mondo e di quella sua parte che appare in chi ci è accanto, apra il sipario sulla nostra realtà. Perdere la testa per il Signore significa consegnare a Lui il comando, la visibilità, la gloria che gli spetta. Senza testa un corpo non può vivere, è evidente. 

Ebbene, anche oggi siamo chiamati a lasciarci tagliare la testa, ovvero che gli altri contestino i nostri criteri, le idee, e i progetti; che la moglie smascheri i pensieri stolti che millantiamo come molto sapienti; che i figli svelino errati i nostri calcoli; che la storia demolisca la nostra presunta abilità. Che ci sia tagliata la testa con cui cerchiamo di governare la nostra vita. A lasciare la plancia a Gesù, perché chiunque ci è accanto, al vedere il nostro corpo - cioè le nostre parole, i nostri gesti e i nostri atteggiamenti - possano chiedersi "chi è costui" che prima non poteva perdonare e ora perdona, prima non sapeva essere casto e ora custodisce il suo corpo in santità, prima mentiva per difendersi e ora vive nella verità. E così, al vedere il nostro corpo vivere una vita nuova, possano cominciare a "cercare di vedere Gesù", perché è Impossibile che noi si possa vivere una vita celeste essendo solo povera e debole carne, come tutti. Non è possibile che, nonostante ci abbiano tagliato la testa, la nostra vita continui, e molto meglio di prima: libera, seria, umile e per questo piena di un amore e di una dedizione che non è di questo mondo. Solo la nostra testa tagliata rimanda alla testa di Cristo, alla sua sapienza, al suo sguardo di misericordia, alla sua vita più forte della morte e della debolezza. Per questo agli apostoli, a noi, è dato l'ultimo posto. Per questo le difficoltà, i fallimenti, le debolezze, la morte, l'insignificanza, l'insuccesso nel mondo; i nemici ci nascondono agli occhi del mondo perché questi siano puntati su Cristo, e sorga nel cuore la domanda decisiva che schiuda alla salvezza. La Croce alla quale la storia ci inchioda ogni giorno è il dardo d'amore con il quale Dio desidera scuotere il cuore distratto e perduto del mondo: secondo la tradizione ebraica infatti, "il martire è come il legno profumato del sandalo, profuma anche l'ascia che lo colpisce e lo taglia". E' l'onore più grande, il vanto di San Paolo: nelle nostre debolezze si manifesta la potenza di Dio. Nei peccati brilla la misericordia di Dio capace di creare una vita talmente nuova e senza limiti da poter essere offerta; la consegna di se stesso che si realizza in un uomo  sino ad allora capace solo di difendersi e rubare la vita altrui: "Quando la luce... cresce in colui che viene illuminato, costui diminuisce in se stesso quando viene abolito in lui ciò che era senza Dio. Infatti l’uomo, senza Dio, non può nulla se non peccare, e la sua potenza umana diminuisce quando trionfa la grazia divina, distruttrice del peccato. La debolezza della creatura cede alla potenza del Creatore e la vanità delle nostre passioni egoiste crolla davanti all’amore, mentre Giovanni il Battista dal fondo della nostra miseria, ci grida la misericordia di Gesù Cristo: Egli deve crescere e io invece diminuire" (S. Agostino). Dalla rinascita nella misericordia scaturiscono la forza e la gioia del martirio, il dissolversi dell'uomo vecchio e l'apparire dell'uomo nuovo, la presenza viva del Signore: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma è vivo in me Cristo" (Gal. 2,20). Nel nostro morire agli occhi del mondo brilla il volto di Cristo, il mistero deposto in vasi di creta su cui si infrangono le certezze della carne perché trovi posto la fede nell'unica certezza, l'amore infinito ed eterno di Dio, quello che ogni Erode cerca di vedere, anche quando si trova immerso nei propri peccati.



APPROFONDIMENTI



Si può diventare così cattivi a tal punto da azzittire completamente la propria coscienza? Credo di sì. Ma questo non fa smettere alla coscienza di parlare escogitando tutti i modi possibili. Quello che non riusciamo ad ascoltare dentro di noi, comincia a gridare fuori di noi. Forse è questa l’esperienza di Erode. Nonostante fece decapitare Giovanni Battista, questo non bastò a tacitare la verità che il Battista gli diceva in faccia. Così la predicazione di Gesù risveglia in lui la stessa sensazione che destava il Battista quando gli parlava: curiosità mista a rabbia: “Ma Erode diceva: ‘Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?’. E cercava di vederlo”. Perché cerca di vederlo? E perché si sente costantemente perseguitato da Giovanni Battista? In fondo l’ha ucciso. Ma ha ucciso un uomo, non la verità di quel uomo. Questa è una brutta notizia per Erode ma è una buona notizia per noi, perché ciò significa che per quanto possiamo perderci o sbagliare, non potremmo mai sopprimere fino in fondo quell’anelito di verità che ci brucia dentro. Ci brucia talmente tanto che quando ci mettiamo contro ci fa male, invece quando lo assecondiamo ci illumina e ci riscalda. Quello che fa male a Erode dice in realtà che Erode ha ancora speranza. Finché sentirà quel dolore potrà ancora ravvedersi. Ma egli rimane libero. Libero di cambiare o di sbagliare comunque.

(Don Luigi Maria Epicoco - Dal Vangelo del giorno)


San Francesco Saverio. Le Grazie della missione tra i pagani, tra le quali la più grande è il martirio

"E per questo Dio ci ha fatto una grazia assai grande e particolare nel portarci in questi luoghi di pagani affinchè non ci dimenticassimo di noi stessi, dato che è una terra tutta di idolatrie e di nemici di Cristo. Noi non abbiamo in chi poter confidare e sperare se non in Dio, dato che non abbiamo qua parenti, né amici né conoscenti e non vi è alcuna pietà cristiana, perché tutti sono nemici di Colui che fece il ciclo e la terra. E per questa ragione siamo costretti a riporre tutta la nostra fede, speranza e fiducia in Cristo nostro Signore e non in alcuna creatura vivente poiché, per il loro paganesimo, tutti sono nemici di Dio. In altri luoghi, dove il nostro Creatore, Redentore e Signore è conosciuto, le creature sogliono essere causa e impedimento per farci dimenticare Dio, come è l'amore del padre, della madre, dei parenti, amici e conoscenti, oppure l'amore per la propria patria e l'avere il necessario, tanto essendo sani come nelle malattie, possedendo beni temporali o amici spirituali che ci aiutano nelle necessità corporali. Nel considerare questa grande grazia che Dio nostro Signore ci fa insieme a molte altre, rimaniamo confusi nel vedere la misericordia cosi manifesta che Egli usa verso noialtri. Noi pensavamo di rendere a Lui qualche servizio venendo in questi luoghi per accrescere la Sua santa fede, ma adesso, per la Sua bontà, ci ha fatto chiaramente conoscere e capire la grazia cosi immensa che ci ha concesso nel condurci in Giappone, liberandoci dall'amore di molte creature che ci impedivano di avere maggiore fede, speranza e fiducia in Lui

Giudicate ora voi, se noi fossimo quello che dovremmo essere, quanto tranquilla, confortata e tutta piena di gioia sarebbe la nostra vita, sperando solamente in Colui dal quale procede ogni bene e che non inganna coloro che in Lui confidano, ma anzi è più generoso nel dare di quello che non siano gli uomini nel chiedere e nello sperare. Per amore di Nostro Signore aiutateci a render grazie di cosi grande dono affinchè non cadiamo nel peccato di ingratitudine. Infatti in coloro che desiderano servire Dio, questo peccato è la causa per cui Dio nostro Signore tralascia di fare maggiori grazie di quelle che concede, non essendo essi a conoscenza di una grazia cosi grande in modo da potersi servire di essa. 

In questi luoghi quello che noi pretendiamo è di portare le genti alla conoscenza del loro Creatore, Redentore e Salvatore Gesù Cristo nostro Signore. Viviamo con molta fiducia, sperando in Colui che ci darà le forze, la grazia, l'aiuto e il favore per mandare avanti tutto questo. Non mi pare che la gente del posto, per quanto li riguarda, ci contrasterà o perseguiterà, a meno che non sia a causa dei molti fastidi da parte dei bonzi. Noi non intendiamo avere divergenze con loro, ma neanche per timore di loro tralasceremo di parlare della gloria di Dio e della salvezza delle anime: ed essi non ci potranno fare più male di quanto Dio nostro il Signore permetterà loroE il male che da parte loro ci venisse, rappresenta una grazia che ci farà Dio nostro Signore se, per suo amore e servizio, e zelo delle anime, ci abbreviassero i giorni della vita ed essi fossero gli strumenti per mezzo dei quali finisca questa continua morte in cui viviamo e si adempiano in breve i nostri desideri, andando a regnare per sempre con Cristo. La nostra intenzione è di spiegare e palesare la verità, per quanto essi ci possano contraddire, poiché Dio ci obbliga ad amare di più la salvezza del nostro prossimo che non la nostra vita corporale. Noi desideriamo, con l'aiuto, il favore e la grazia di nostro Signore, di adempiere questo precetto, dandoci Lui la forza interiore per manifestarlo in mezzo a tante idolatrie come vi sono in Giappone.

(Lettera 90, da Kagoshima)

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